Il coraggio
Data: Domenica, 19 agosto 2012 ore 04:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Falcone e BorsellinoRitengo che sia alquanto difficile, al giorno d’oggi, parlare di coraggio e di uomini coraggiosi. Tuttavia cercherò di parlare di quest’argomento solamente dal punto di vista letterario – filosofico.
Il termine coraggio è un sostantivo maschile che proviene dal provenzale “coragte”, a sua volta dal latino “cor”, “cordis” che proviene da cuore, quindi, il coraggio è “la forza  d’animo nell’affrontare pericoli o situazioni difficili”. Il coraggio è, quindi, sinonimo di ardimento, intraprendenza, bravura, prodezza, temerarietà.
Il coraggio “civile” significa affrontare rischi e pericoli per il bene pubblico, per i propri cari, o per amore della verità e della giustizia.
Si deve avere il coraggio delle proprie azioni od opinioni, e sostenerle senza paura e a viso aperto.
Si può fare coraggio, cioè rincuorare, esortare gli altri a farsi forza in un momento difficile.
Ci si può anche perdere di coraggio, cioè scoraggiarsi, come si può prendere il coraggio “a due mani” e farsi forza dopo molte incertezze per affrontare decisamente e risolutamente un momento, o una situazione difficile.
Il coraggio, “virus – fidentia”, “animus”, da cuore (cor, cordis), cioè, la forza d’animo per cui un uomo mette tutto se stesso per agire in una determinata situazione che si prospetta difficile o addirittura pericolosa e prendere “a cuore” il problema per affrontarlo e risolverlo.
Nei libri di storia abbiamo letto di tanti uomini valorosi e coraggiosi nell’affrontare “il nemico” sul campo di battaglia. A tal proposito, io farei una distinzione, pur non togliendo nulla al valore dell’azione in battaglia, credo, però, che vi sia “una spinta” collettiva diretta per la conquista di qualcosa. Certo, l’ardimento personale nell’azione, quando viene dimostrato, bisogna anche apprezzarlo, ma io voglio soffermarmi su un’altra forma di coraggio, sul coraggio civile che il più delle volte è “individuale” e quindi molto personale.
Questo tipo di coraggio (quando si ha) si acquista analizzando se stessi, oserei dire, “parlando” nel proprio intimo, “parlando” al proprio cuore per sentire quello che dice, quindi, dopo questa autoanalisi, dopo essersi interrogati ed analizzando anche i rischi a cui si va incontro, che si ha il coraggio delle proprie azioni e delle proprie opinioni per affrontare il tutto a viso aperto senza paura. Questo, per me, è il coraggio.
Penso ai tanti martiri uccisi sotto l’Impero Romano, torturati, sbranati dalle bestie feroci, trucidati in vari modi, per aver dimostrato il coraggio delle proprie idee, della propria fede. Chissà in quale “stato emozionale” si sono trovati in quei momenti, eppure hanno avuto la forza d’animo e il coraggio, di non rinnegare il proprio credo. Questo è il coraggio personale, molto individuale.
Penso ai tanti contadini ugonotti, perseguitati e uccisi, in Francia, in Spagna, nell’Italia del Nord, in altre parti d’Europa, caduti sotto gli armigeri di Carlo V. Penso a Giovanna d’Arco, a Girolamo Savonarola, a Giordano Bruno, ad Arnaldo da Brescia, a Jan Hus, bruciati sul rogo perché non hanno abiurato la loro fede.
Martin Luther King, in un suo meraviglioso libro, ha scritto, “Il coraggio di amare, non il proprio padre, la propria madre, fratello, figlio, ma chi non ha il colore della pelle come il nostro, chi non la pensa come noi. In questi casi è difficile amare, eppure questo tipo di coraggio, quello di amare, è molto raro possederlo perché è un coraggio che viene dal profondo del cuore, e siccome è una virtù lo può dare solo il Signore”.
Faccio una distinzione tra due tipi di coraggio. Il coraggio “collettivo”, sotto la spinta di un’idea, che viene contrapposta ad un’altra idea. Dove, da una parte e dall’altra, ci sono degli “eroi”, coraggiosi, che si battono per il rafforzamento della propria dottrina. Il coraggio “personale”, dell’individuo di ogni giorno, dove si ha il coraggio di non perdersi d’animo, nonostante le avversità, a causa di un lutto familiare, di una grave malattia, di una catastrofe. Il coraggio di esporre le proprie idee, ma senza astio, senza rancore, senza denigrare od inveire, possibilmente, amando e rispettando l’altro, pur sapendo che, molto spesso, non sei ricambiato.
In questi tempi bui ed “aridi” in cui versa la nostra società, bisogna, soprattutto, avere il coraggio di gridare, ai quattro venti, che c’è un Dio  che, un giorno, giudicherà ognuno di noi secondo le azioni che abbiamo compiuto.
Camminare con coraggio e a “testa alta”, rispettando e tollerando gli altri anche se non si condividono le loro idee, significa possedere una grande virtù, un grande coraggio, significa, soprattutto, poter dire agli altri una parola buona, positiva, piena di speranza.
Infine, a tal proposito, voglio esprimere la mia solidarietà a tutti i servitori dello Stato, ai tanti “silenziosi” servitori che in vari campi si prodigano ogni giorno per il benessere della società con professionalità, abnegazione e con coraggio. A tutti quei servitori che sono morti nell’adempimento del loro dovere, andando contro corrente e quindi con coraggio. “Beati quelli che sono affamati ed assetati di giustizia. Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il Regno dei Cieli”.
E mi piace ricordare una frase pronunciata dal grande Martin Luther King: “Anche se avrò aiutato una sola persona a sperare, non avrò vissuto invano”.
Tale è l’intendimento di queste mie brevi riflessioni. Aiutare qualcuno a sperare e ad avere coraggio. Anche questo è coraggio!

Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it





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