La paura del vuoto
Data: Domenica, 12 agosto 2012 ore 05:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Quando attorno a noi vi è solo incertezza e instabilità, quando siamo circondati da scenari di crisi e di precarietà, prende il sopravvento la paura e l’angoscia, e si entra in una situazione di inquietudine e di perdita di prospettive per il futuro. Vacilla la speranza e aumenta la demotivazione, mentre cresce, dentro di noi, la delusione e viene a mancare l’energia vitale per affrontare i problemi di tutti i giorni.
Quindi, al desiderio del futuro subentra la paura del futuro dove si percepisce solo “il vuoto e il nulla”, e si vive la “paura del vuoto”.
C’è un canto che dice, “nulla so del mio domani”, e quest’incertezza, questo non sapere nulla che fa entrare l’individuo in una profonda crisi, che può determinare un lungo periodo di “turbamento psicologico” che se non viene superato, si trasforma in depressione o in varie forme patologiche, ma soprattutto, si entra in una vera e propria forma di “depressione esistenziale”, cioè l’individuo non riesce più a trovare un senso alla propria esistenza.
Il “vuoto” è sinonimo di vacuo, che non contiene nulla e che non si ha nulla da fare. Vuoto significa anche essere privo di idee, di interessi e si entra nell’inerzia intellettuale, nella incapacità di connettere, nell’insoddisfazione e nella noia.
E la paura del vuoto genera l’angoscia più assoluta, in modo particolare, in questi tempi bui, vengono colpite le persone più giovani e indifese che manifestano un disagio che è sotto gli occhi di tutti.
A questo “stato di patimento”, fisico e psicologico, l’organismo umano produce delle sostanze naturali che tendono a bloccare i recettori nervosi e ad innalzare la soglia di tolleranza al dolore ed alla serpeggiante tristezza. Ed è a questo punto di distanza dalle emozioni negative che, paradossalmente, si cade in un’affannosa ricerca di fuga dalla realtà, che è solo maniacale, cioè si cerca di stare il più lontano possibile dal sentire e dallo stare a contatto con la sofferenza e dal disagio, e questo “non voler soffrire”, neanche per un minuto, fa entrare l’individuo in una “dimensione di cronica eccitazione”.
Ed è in questa forma “patologica” che si cercano, in “modo inflazionistico”, i contatti virtuali, oggi tanto in auge, i cento o mille, “amici” di Facebook e di Twitter, oppure si cerca lo “stordimento permanete di un mondo sonoro”. In altri casi, non bastando questo, si ricorre alle “sensazioni più forti” attraverso le dipendenze da alcol, droghe, gioco d’azzardo, guida spericolata.
Altri ancora, invece, “per non soffrire”, si buttano nelle tendenze più recenti: balconing (saltare da un balcone all’altro), drinking (bere spericolato), poi ci sono i “giochi erotici e fisici”. E tutto questo per entrare “nell’euforia assoluta” e dimenticare “la paura del vuoto”.
Le situazioni, sopracitate, colpiscono, soprattutto, le fasce giovanili, ma anche gli adulti cercano il “loro stordimento” per cercare di allontanare, anche loro, la tristezza, l’angoscia e “la paura del vuoto”.
Questa situazione, sicuramente, è determinata dalla profonda crisi che stiamo vivendo, una crisi che non è solo economica e sociale, ma anche, e soprattutto, culturale, morale e politica.
Una crisi dove non si intravede nessuna “parvenza di speranza”, e dove, addirittura, assistiamo ad un continuo imperversare di “suicidi” che, il più delle volte, non hanno un’origine prettamente “patologica”, ma sono “suicidi esistenziali”. Ma la speranza non può essere uccisa, proprio in questi momenti bui e pieni di angoscia, deve essere, invece, custodita ed alimentata per dare un senso alla propria vita.
La speranza, però, non deve diventare un alibi o un’abitudine, ma deve essere il nostro imput per rialzare la testa e poter “guardare in alto” ritornando alle nostre radici, riconquistando i valori perduti, sapendo che non bisogna abbattersi perché “non c’è notte senza l’aurora” e dopo “l’inverno viene la primavera” ed con essa spunta il  “sole dell’avvenire”!
Questa mia esposizione non è frutto dell’ingenuità ma è certezza totale e piena fiducia, perché ho imparato a saper “guardare oltre” ed a riscoprire le “radici” delle cose.
Il “guardare oltre” si acquista, soprattutto, dando voce alla propria coscienza, come dicevano i nostri saggi nonni, e avendo piena fiducia in se stessi. Fiducia intesa come “fede”, come certezza nelle cose che si sperano. Per concludere, quindi, invece di andare alla ricerca di scelte di vita sempre più facili ed arrendersi al cupo pessimismo, occorre avere “uno scatto di reni” per dare un senso della vita, agli affetti ed ai valori della e rimettere in moto il desiderio di felicità e agire per il bene.

Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it





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