TALENTI ALL'ESTERO - Il docente: Tutti i miei migliori studenti sono obbligati ad andarsene''
Data: Sabato, 11 agosto 2012 ore 07:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Roberto Merletti, storia
di un «cervello in fuga»: «Anch'io lasciai l'Italia per gli Usa. In 40
anni nulla è cambiato» - TORINO - Roberto Merletti, 67 anni, professore
ordinario di Ingegneria Biomedica al Politecnico, è il papà dei
«cervelli in fuga». Per inseguire il suo sogno di ricerca, è emigrato
nel ’69 negli Stati Uniti, in Ohio. In quegli anni, in Europa non c’era
accademia che si dedicasse allo studio della bioingegneria. L’Italia,
però, non è mai sparita dal suo orizzonte. E oggi, che il suo impegno
in un centro di ricerca d’eccellenza è a Torino, «per amore del nostro
Paese, per rispetto della mia città, mi si stringe il cuore a pensare
che in quarant’anni la situazione non è cambiata di una virgola». Tutti
i suoi migliori studenti - racconta - sono costretti ad emigrare per
lavorare ad alti livelli. Dopo una formazione al Poli, «il mercato del
lavoro li scoraggia, scommette poco o nulla sul loro futuro». Andare
all’estero, per i giovani emigranti del 2000, non è più una sfida.
Piuttosto una sicurezza per stare meglio: «Il mio azzardo, come dicono
gli amici, è stato di rientrare qui nel ’72. Ho lavorato alla Sorin, mi
occupavo di peacemaker». Fino a che non è arrivata la cattedra al
Politecnico, la sua ambizione. Per l’accademia universitaria torinese
ha dato vita a un centro di ricerca, il Lisin, un laboratorio di
ingegneria del sistema neuromuscolare. «L’abbiamo attivato con fondi
europei e delle fondazioni bancarie torinesi, Compagnia di San Paolo e
Fondazione Crt», dice.
I risultati
In 15 anni, lui e i suoi ricercatori, ingegneri elettronici e
biomedici, hanno portato a termine ben 6 progetti, ricevendo
sovvenzioni per 7-8 milioni di euro, privati e della Ue. Appena qualche
centinaia dal pubblico. Con 20 cervelli al suo servizio, per la metà
stranieri, stanno studiando oggi «piani di prevenzione di patologie da
lavoro, per diagnosticare in modo precoce l’insorgere di malattie
muscolari create dalla catena di montaggio e non solo», spiega il
professore. Un’analisi che sta per essere applicata in molte aziende
del manifatturiero. Ma non è il solo ambito di ricerca del Lisin: «In
parallelo, ci occupiamo di prevenzione delle patologie da parto, che
possono portare all’incontinenza nelle donne». L’esperienza di Merletti
nel settore è maturata nei lunghi anni di insegnamento all’università
di Boston, tra l’89 e il ’94. Forte dell’esempio americano, che in
quegli anni stava facendo nascere come funghi punti qualificati di
formazione accademica, ha deciso di importare il modello del centro di
ricerca finanziato da privati qui da noi. «L’assurdo è che non abbiamo
problemi di soldi, anche se la ricerca è sempre in sofferenza, ma di
personale - ammette il docente -. Dopo due o tre anni, i miei studenti
vengono chiamati all’estero. Per loro, l’alternativa è il buio»,
l’insoddisfazione professionale, le borse post dottorato e il posto
fisso a cui quasi nessuno riesce ad accedere. Un suo studente dirige un
dipartimento all’univerin Germania, un altro a Stoccolma, uno ad
Harvard, un altro ancora a Lugano.
Gli stranieri
Per contro, decine di stranieri si sono catapultati qui: cinesi,
brasiliani, iraniani, sudafricani, romeni, canadesi, danesi, francesi.
«La maggior parte di loro ha ottenuto sovvenzioni dal paese d’origine».
La grande differenza, è che alcuni di questi stati li lasciano andare,
ma li costringono a tornare, terminati gli studi.
Letizia Tortello
www3.lastampa.it
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