Dagli Uffizi all’Abruzzo, la forza della natura
Data: Martedì, 07 agosto 2012 ore 06:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La Galleria degli Uffizi, rinnovando l'esperienza dell'anno passato con la mostra "Condivisione d'affetti", ha portato una nuova esposizione d'opere "Paesi, pastori e viandanti" a Santo Stefano di Sessanio, terra aspra e bella d'Abruzzo, dove l'uomo s'è contentato d'esigui crinali per abbarbicare le sue dimore. L'idea è germinata dall'aspirazione a tener desto il legame antico con Firenze. Legame nato nel 1579 per volere di quel Francesco I dei Medici che, appena due anni dopo, agli Uffizi si sarebbe inventato il suo museo di sogni preziosi. Se dunque le relazioni fra la città toscana e i paesi abruzzesi nacquero in virtù di ragioni mercantili e politiche, oggi quelle stesse relazioni si possono celebrare esibendo  -  e per la seconda volta in due anni  -  opere d'arte che appartengono alla Galleria fiorentina, essa pure sgorgata dalla medesima costola. La mostra di Santo Stefano di Sessanio prende le mosse da una veduta di piazza della Signoria, luogo di Firenze a tutti noto, cuore della città (del suo governo e della sua cultura). E' luogo da cui si diparte l'architettura degli Uffizi, progettata da Giorgio Vasari su ordine di Cosimo I, che di Francesco era padre. Alla costruzione di quell'edificio, solido eppure aereo, avevano indotto esigenze amministrative (ma già allora le necessità d'immagine contavano parecchio e il potere andava sfoggiato perché fosse considerato e temuto). La piazza dei Signori è dunque l'opera che aprirà il tragitto dei paesaggi. Oltre le mura di Firenze, s'apriva  -  allora libera  -  la campagna. Ma delle distese d'erbe fuori porta, delle colline che poco lontano s'alzavano, del fiume che seguitava il suo corso verso il mare, delle selve che coprivano le forre si principiò a serbar memoria autonoma soltanto dal '600; secolo d'oro per i paesaggi. E furono soprattutto i pittori stranieri, venuti d'oltralpe, a essere suggestionati dalla poesia della natura mediterranea. Erano olandesi, fiamminghi, francesi, tedeschi, che in Italia, e a Roma in particolare, scendevano per un soggiorno ch'era d'obbligo per chi volesse educarsi all'arte. È la natura a primeggiare in ogni opera esposta a Santo Stefano di Sessanio. L'uomo s'adatta docile al ruolo di comparsa. Le sue posture, nel vigore esuberante d'alberi e d'erbe, ne qualificano il mestiere: pastori a guardia d'armenti che punteggiano di bianco i terreni, contadini affaticati nelle incombenze imposte dalle stagioni, pescatori accucciati sulle sponde di specchi d'acqua che allagano gli spazi lasciati liberi dal folto della vegetazione. Lavori antichi; buoni per i contorni di Firenze come per le terre d'Abruzzo. A icona della mostra par quasi assurgere, però, lo struggente marmo classico, a forte sbalzo su un fondo astratto, un uomo seduto. Pensoso com'è e col corredo d'un cappello, d'una bisaccia e d'un bastone, varrà, per noi e per chi si muoverà fra le opere esibite, come figura d'un pastore, leopardianamente assorto a guardare in alto o lontano, un poco distraendosi, per un'interiore meditazione, dalla custodia del gregge. Ma potrà anche valere come figura d'un viandante che profitta d'una sosta di riposo per un raccoglimento quieto. Ecco cosa potrebbe diventare, nell'estate 2012, un soggiorno a Santo Stefano di Sessanio: l'occasione  -  al cospetto di capi d'opera d'una collezione che fu dei Medici  -  per riflettere sui tempi trascorsi e su quelli presenti, nel cuore coltivando l'auspicio che la nobiltà austera del passato possa rivivere in virtù d'una cultura più saggia e consapevole.

Direttore della Galleria degli Uffizi, Firenze
Antonio Natali







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