NOI E GLI ALTRI - Piccolo elogio della solitudine nella stagione dei social network
Data: Mercoledì, 25 luglio 2012 ore 00:10:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Siamo
sempre connessi, ma vivere nascosti ha ancora senso - La popolazione della Terra ha
superato i sette miliardi e la solitudine è in aumento. Ci si sente
soli anche quando si è prigionieri del traffico o mentre si passeggia
in una via affollatissima di una metropoli. I social network hanno
moltiplicato i contatti tra le persone, ma non sostituiscono la
presenza umana. Si avverte l'isolamento se manca lo sguardo, un gesto,
l'odore dell'altro. O se non si è capiti. O per altri milioni di motivi
che tendono sempre a crescere. Gli
esempi? Sono numerosissimi. E l'estate, tra spiagge affollate e
sentieri perduti, li mette in evidenza. Ieri sulla prima pagina online
del New York Times Cara Buckley raccontava la domenica di luglio di una
persona nella Grande Mela: la passa isolata, ora dopo ora, lontana da
tutto. E sul Guardian di sabato scorso Marion McGilvary rifletteva
sulla sua solitudine, anche se temporanea, pur avendo quattro figli.
Una strana condizione, ma il telefono non squilla, la casa è vuota,
nessuno ti attende. Comunque, basta aprire il Grande dizionario della
lingua italiana di Salvatore Battaglia, pubblicato in 21 volumi dalla
Utet, per accorgersi che nella storia del nostro idioma i termini
«solitario» o «solitudine» hanno avuto più fortuna che non
«solidarietà». Anche l'editoria nostrana, che rappresenta un mercatino
rispetto ai numeri inglesi, tra testi originali e traduzioni offre
circa trecentocinquanta titoli con la parola «solitudine». Ce n'è di
ogni genere. Un'affollata solitudine, per esempio, indica nella Bur le
«poesie eteronime» di Fernando Pessoa; Eugenio Borgna, invece, ha
titolato un suo recente saggio La solitudine dell'anima (Feltrinelli),
proprio per ricordare che essa è «una condizione ineliminabile della
vita». Ma si trova anche, a seconda dei bisogni, qualcosa sulla
solitudine del manager, delle madri, del cittadino globale, del
maratoneta, dei numeri primi e dei numeri uno, della ragione, del
morente, dell'America latina, della destra, dell'Occidente, di Elena
(quella che ha causato la rovina di Troia), della tecnologica,
dell'animale, del satiro (è in un titolo di Ennio Flaiano, ora edito da
Adelphi). Non possiamo fornirvi l'elenco completo, ma non è esagerato
scrivere che la solitudine gode di credito. O, se si volessero
utilizzare le parole dei direttori commerciali, che «tira». Il periodo estivo, dicevamo,
mette in luce meglio di altri le solitudini. Il caldo, chissà perché,
oltre a stanare quelle vecchie induce taluni a crearne di nuove. Le fa
confondere con il riposo. Sovente però diventano disperazione. Il tempo
libero delle ferie, insomma, le chiama a raccolta. E questo anche se
non stiamo parlando di un fenomeno stagionale. Nicola Abbagnano ci confidò il giorno
in cui riabbracciava Ludovico Geymonat, dopo anni di reciproco
silenzio, che alcune solitudini si scelgono e altre invece ce le
troviamo addosso. Si può, per esempio, condurre una vita casta per
motivi religiosi o perché è preferibile ai guai che prima o poi causa
l'amore; in tal caso ci rifugiamo in una solitudine sessuale, utile per
evitare quei tormentoni di coppia che sono la parte più cupa
dell'esistenza. Sant'Agostino che fu un maestro di solitudine, così
come molti filosofi, la riteneva indispensabile per avviare un rapporto
con Dio. Ma non è esagerato credere che anche il motto degli antichi
Stoici, «vivi nascosto», nacque per motivi spirituali più che sociali.
I seguaci di Epicuro, invece, sceglievano un'«autarchia» per essere più
liberi. Il sommo Michel de Montaigne sommò l'una e l'altra. Fece della
solitudine un capolavoro: si ritirò nella torre del suo castello a
scrivere gli Essais, in compagnia dei soli classici. Ogni giorno si
allenava a sorridere del mondo e degli uomini, a non credere a quanto
veniva strillato. Si limitò a ricordare la vanità di tante fatiche,
l'inutilità di troppi progetti. Una frase gliela prendiamo in prestito
per rammentare quanto sia attuale la sua filosofia: «Quando gli uomini
si riuniscono le loro teste si restringono». I credenti trovano grandi solitudini
nella Bibbia: Mosè, per esempio, è solo per incontrare Dio sul
Sinai; Gesù si prepara alla vita pubblica con quaranta giorni nel
deserto, anzi sovente si ritira a pregare in luoghi isolati. I monaci
parlarono ben presto dell'habitare secum, dell'abitare con se stessi; o
anche di «cella interiore», luogo di intimità con l'Altissimo che
portiamo con noi. Giacomo Leopardi inserisce fra gli Idilli il
componimento poetico La vita solitaria, una delle tante testimonianze
che riflettono la sua vita isolata. E Friedrich Nietzsche? Altro
campione del genere che cercava di socializzare il meno possibile,
lasciando frammenti come questo: «Lontano dal mercato e dalla gloria
nacquero da che è mondo gli inventori dei nuovi valori». Beethoven
diventò sordo: il suo udito costrinse la musica ad abbandonarlo. Le solitudini più fascinose?
Sono forse state quelle degli anacoreti della Tebaide. Credevano,
celati nelle loro grotte, nell'austerità della vita eterna. Per questo,
sentendo venir meno le forze, cominciavano a ridere e proseguivano per
giorni, sospirando e sghignazzando. Volevano esaurire, prima del grande
passo, le scorte di comicità a disposizione della carne.
Armando Torno
www.corriere.it
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