La misura e’ colma – Il TAR annulla il concorso a Dirigente Scolastico in Lombardia- Un’immediata indagine amministrativa e si colpiscano i responsabili
Data: Venerdì, 20 luglio 2012 ore 11:14:25 CEST
Argomento: Associazioni


www.adiscuola.it Le ripetute responsabilità dell’Amministrazione in questo concorso e i danni causati alla scuola e alle persone sono sotto gli occhi di tutti.
E’ l’Amministrazione che pastura i ricorsi, ma le questioni attinenti ai concorsi non possono nascere e concludersi nelle aule dei tribunali.
L’ADi chiede che si avvii un’immediata indagine amministrativa su tutte le fasi concorsuali, poiché, come abbiamo ripetutamente segnalato, sono state gestite con totale incompetenza, superficialità e arbitrarietà.

Alessandra Cenerini

L’ADi ritiene, alla luce di  tutti gli elementi raccolti, che ci siano gli estremi perché siano assunti alcuni provvedimenti esemplari a vari livelli di responsabilità. Tale indagine dovrebbe comunque anche servire ad avviare immediate riflessioni su come gestire i concorsi  sia dei dirigenti sia dei docenti di imminente emanazione.
Ciò premesso, ora occorre salvare il salvabile, non alimentare ulteriore caos e frustrazioni e   garantire, ovunque sia possibile, la nomina dei vincitori.
In Lombardia non garantito l’anonimato degli scritti
La questione su cui il TAR della Lombardia è intervenuto, annullando in via definitiva le due prove scritte del concorso, riguarda una questione sostanziale: la garanzia dell’anonimato.
Il TAR ha rilevato che:
“dall’esame svolto, è emerso nitidamente che il contenuto del cartoncino, contenente i dati anagrafici dei candidati, risulta agevolmente leggibile (……). Ciò avviene a causa del colore bianco, della consistenza molto modesta – al limite della trasparenza – dello spessore della carta utilizzata per realizzare la busta piccola, che deve contenere il cartoncino”
Il problema basilare dell’anonimato è questione antica
E’ possibile che non si abbia attenzione nemmeno a queste questioni basilari?
E il problema della garanzia dell’anonimato non nasce certo oggi. A concepirla furono i cinesi della tarda epoca Ming (1368-1644), come ci viene riferito da un genio missionario, il gesuita Matteo Ricci, che descrisse in dettaglio la procedura degli esami dell’amministrazione imperiale, di cui fu testimone a Nanchang (1579):
“Sebbene la Cina fosse governata da un imperatore”, commentava il Ricci, “di fatto è piuttosto una repubblica che una monarchia, perché nessun parente del re tiene nessun governo nel regno e il governo del regno tutto sta nei letterati (mandarini)”.
Questi funzionari erano selezionati attraverso vari gradi di concorso (distrettuale, regionale, imperiale), che iniziava con una prova preliminare (che oggi chiamiamo di preselezione) in modo da restringere il numero di candidati alla prova finale, che era a numero chiuso. I candidati si radunavano il giorno dell’esame  nell’ampia sala delle prove, in un edificio cinto di mura suddiviso in quattromila piccole celle dotate solo di una scrivania e di una sedia, a cui accedevano dopo essere stati completamente spogliati e rivestiti con una specie di “saio d’esame” in modo da scongiurare anche la tentazione di copiare.
Guardati a vista da soldati  e controllati da mandarini giunti da altre province, i candidati sgobbavano per ore  sui temi loro assegnati. Dopo di che i testi prodotti venivano copiati  da scrivani in tre copie diverse, per far sì che gli esaminatori non potessero riconoscere né il nome né la calligrafia dei candidati. Ogni componimento veniva esaminato da tre commissioni diverse in base al merito, secondo un sistema di valutazione che variava da un minimo di uno a un massimo di novantacinque; a quel punto i componimenti venivano uniti agli originali, e i nomi dei nuovi juren esposti in un grande tabellone  fra scene di disperazione e di trionfo. Ogni anno i vincitori non superavano le 300 unità su migliaia di candidati.
Il sistema – compresa la rigida garanzia dell’anonimato – fu adottato nei collegi gesuitici fino alla soppressione dell’ordine (1773), ma divenne anche uno dei cardini della filosofia illuministica (Diderot e Voltaire erano stati allievi dei Gesuiti), perché corrispondeva meglio di ogni altro al principio rivoluzionario di eguaglianza.
Tutti gli incarichi pubblici, che nell’Ancient régime, venivano assegnati per nascita, dovevano essere il risultato di una rigorosa selezione per merito, senza riguardo quindi alla condizione economica, sociale, famigliare o di parentela degli aspiranti.
Il concorso per merito era una procedura che garantiva il rispetto di questo principio.
La prova della straordinaria importanza di questa  “invenzione” sta nel fatto che il merito campeggia nell’articolo 6 della Dichiarazione universale dei diritti del cittadino del 1789:
“… Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro capacità, e senza altra distinzione che quella della loro virtù e dei loro talenti”;
e che ancora oggi le prove scritte degli esami pubblici in Francia (compresi quelli di maturità) sono corretti da colleghi diversi dai membri della commissione.
Ora l’Amministrazione risolva il problema
Senza insinuare la malafede, è comunque grave la sciatteria con cui si è trascurato  di curare l’anonimato degli elaborati scritti.

 

 







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