Italia più solida e competitiva della sua fama
Data: Lunedì, 16 luglio 2012 ore 16:55:36 CEST
Argomento: Rassegna stampa


L'Italia ha problemi strutturali ben noti e vizi antichi, ma in questa crisi paga anche il costo di pregiudizi e luoghi comuni molto diffusi sui mercati, soprattutto a livello di analisti e agenzie di rating, nonché tra le stesse istituzioni internazionali. Per non parlare della scarsa immagine che godiamo nelle cancellerie e nelle birrerie dei Paesi del Nord Europa.
Eppure, non siamo più l'unico Paese ad avere un elevato debito pubblico. La crisi ha fatto esplodere i debiti statali in molte altre economie, che per di più, spesso, non hanno alle spalle la nostra ricchezza privata e una manifattura all'altezza di quella italiana. Per non parlare delle banche, essendo quelle italiane più solide anche di quelle tedesche. Sotto questo profilo, Grecia, Irlanda e Portogallo, ma anche la Spagna, sono messe tutte assai peggio dell'Italia. La bolla del debito pubblico in Grecia e Portogallo e quella del debito privato in Irlanda e Spagna hanno avuto effetti devastanti, che l'Italia non ha minimamente conosciuto. La crescita economica a debito degli ultimi 15 anni ha fatto aumentare il Pil, sì, ma ha distrutto ricchezza non solo nei Paesi periferici e in Spagna ma anche in Gran Bretagna e Usa. Ciò perché gli eccessi della bolla immobiliare-finanziaria e del debito privato hanno impoverito le famiglie e si sono scaricati sul debito pubblico. Per troppo tempo gli economisti, le istituzioni e le agenzie di rating hanno giudicato i Paesi solo in base a due parametri, ormai largamente insufficienti: la crescita del Pil e il rapporto debito pubblico/Pil. In base a tali parametri le "migliori" economie avanzate sono state per anni Irlanda e Spagna e persino la Grecia non sfigurava, mentre non solo l'Italia ma anche la Germania si trovavano a fondo classifica. Ora i Paesi "migliori" sono quasi tutti falliti o devono essere salvati. Non solo. Nel 2013 il debito pubblico della Gran Bretagna sarà, secondo la Commissione Europea, pari al 95% del Pil, mentre il debito pubblico statunitense, secondo il Fmi, salirà al 110 per cento. Valori doppi rispetto a quelli di dieci anni fa e ormai non più molto distanti da quelli dell'Italia, dove però il debito delle famiglie in percentuale del Pil è la meta di quello dei Paesi anglosassoni. Eppure questi Paesi, risparmiati dai giudizi a orologeria delle agenzie di rating, pagano interessi assai più bassi dell'Italia sulle loro emissioni sovrane. Diciamo la verità: nella guerra dei debiti i fondamentali contano poco. È la stampa di moneta a piene mani che sta tenendo in piedi Usa e Inghilterra, mentre l'Italia, il cui debito pubblico rispetto al Pil è quello aumentato di meno a livello di grandi Paesi nel biennio 2010-2011, è sotto un immeritato scacco. Ciò non perché la politica fiscale del governo Monti non sia abbastanza rigorosa. Oggi l'Italia ha un bilancio strutturale migliore di quello della stessa Germania. Né ha alcun senso che lo spread italiano sia agli attuali livelli visto che il debito pubblico statunitense per abitante è già oggi più alto del nostro. E non si dica che l'Italia deve collocare troppi titoli pubblici sul mercato perché il fabbisogno finanziario annuo statale di Usa e Francia è ormai superiore al nostro in percentuale del Pil e quello della stessa Olanda non è di molto inferiore.
Marco Fortis
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