Il lavoro delle donne in tempo di crisi nella regione Veneto
Data: Venerdì, 29 giugno 2012 ore 20:03:10 CEST Argomento: Redazione
Venezia,
29 giugno 2012 – Nel 2011 in Veneto sono 885mila le donne occupate (il
41,5% dell’occupazione totale e il 46,5% della componente dipendente) e
60mila quelle disoccupate, numero pari al 54% del complessivo delle
persone senza un lavoro, una percentuale comunque che era maggiore fino
al 2008, anno in cui ha cominciato a contrarsi per l'accresciuto numero
di maschi espulsi dal lavoro. Rispetto agli uomini le donne occupate
sono più giovani (di loro il 47,3% ha un’età inferiore ai 40 anni,
percentuale che nei maschi tocca il 43,4%) e più istruite (il 59% ha un
titolo di studio superiore alla maturità, rispetto al 47,9% degli
uomini). Sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto “Il lavoro delle
donne in tempo di crisi nella regione Veneto”, promosso dalla
Commissione regionale Pari opportunità e condotto da Veneto Lavoro, che
è stato presentato in una tavola rotonda venerdì 29 giugno a Venezia:
un momento di confronto a più voci tra i diversi attori istituzionali e
sociali regionali, per ipotizzare insieme linee di intervento possibili
a sostegno dell’occupazione femminile, affinché le donne non siano
penalizzate dalla contrazione di domanda di lavoro generata dalla crisi.
Il rapporto ha voluto capire come la crisi abbia colpito in modo
diverso lavoratrici e lavoratori, quale sia la situazione per le donne
e ancora, in che settori siano oggi maggiormente occupate e con quali
forme contrattuali. Infine quali possano essere i percorsi da
intraprendere per proteggerle dalla crisi e massimizzare gli effetti
positivi degli interventi di formazione e placement attivati.
La crisi inizialmente ha colpito soprattutto il comparto
manifatturiero, più esposto alla concorrenza mondiale, coinvolgendo
maggiormente la forza lavoro maschile: la caduta occupazionale che nel
periodo giugno 2008–dicembre 2011 ha interessato in Veneto oltre 70mila
lavoratori dipendenti ha infatti toccato i maschi per i 2/3 del numero
complessivo: la concentrazione femminile in ambiti specifici,
generalmente ritenuta negativa, ha costituito dunque un primo argine
agli effetti della crisi economica sull’occupazione femminile. Per quel
che riguarda le cadute occupazionali femminili, nell’industria ne è
soprattutto coinvolto il settore del “made in Italy”.
Come effetto della crisi sulle donne, aumenta il lavoro domestico, che
vede la componente femminile assolutamente dominante (83%) e nel 2011
registra sempre maggiori assunzioni (anche di collaboratrici italiane);
così pure perdura nello stesso anno il boom del lavoro intermittente,
con una crescita delle assunzioni del 22% di cui le donne sono le
maggiori responsabili.
Dopo una prima parte che ricostruisce il contesto generale europeo,
italiano e veneto, lo studio fotografa il panorama della formazione
professionale in Veneto, strumento per agevolare l’inserimento o il
reinserimento e la conseguente occupazione. Quella iniziale nel
triennio 2008-2010 ha visto in Veneto 11.417 allievi portare a termine
un corso di formazione triennale: di loro 4.273 sono donne, pari al
37,4% del totale. Negli indirizzi formativi si riscontra una
stereotipata segregazione di genere: estetista,
confezionista-modellista, accoglienza turistica, acconciatore,
operatrice di punto vendita, segretaria sono quasi ad esclusiva
prevalenza femminile e, di conseguenza dall’altra parte operatore
meccanico, edile, installatore e manutentore, saldocarpentiere,
carrozziere e autoriparatore sono qualifiche a prevalenza maschile,
legate maggiormente alla domanda tipica del sistema produttivo
industriale. Rispetto invece alla formazione per disoccupati (corsi di
formazione conclusi nel 2009) sono poco meno di 2mila gli individui
coinvolti, equamente ripartiti per genere con una scelta dei percorsi
meno stereotipata.
Ma quale l’efficacia in termini di esiti occupazionali per i
frequentanti i corsi? I maschi che hanno frequentato la formazione
iniziale presentano una maggiore partecipazione al mercato del lavoro e
tassi di occupazione mediamente più alti ma di poco superiori rispetto
alle donne (88% contro 81%); nella formazione per i disoccupati,
invece, sono le donne a mostrare le migliori performance (76% rispetto
al 72% dei maschi).
Nell’ultima parte del rapporto attraverso otto interviste si raccoglie
l’opinione di alcuni attori del mondo dell’impresa, del sindacato e
della formazione: ne emerge l’importanza dell’interazione tra le reti
presenti sul territorio per veicolare la domanda di lavoro e la
necessità di operare in sinergia; si sono rilevate pure alcune
debolezze su cui bisogna intervenire in un’ottica “anti crisi” e
interessanti proposte per rendere efficaci gli interventi e
maggiormente coerenti i percorsi di formazione.
Tra le criticità emerse la scarsa presenza e la rigidità dei servizi a
sostegno delle famiglie: si tratta di uno dei principali limiti alla
presenza delle donne in percorsi di formazione. E ancora, rispetto alla
formazione per gli occupati, il fatto che la maggioranza dei corsi sia
basata su piattaforme generiche (come la sicurezza) o trasversali, con
effetti trascurabili sulle chance occupazionali.
Un’altra significativa debolezza rilevata è la discontinuità dei
provvedimenti: diventa invece necessaria la programmazione di una
strategia di lungo periodo per i differenti soggetti, disegnata secondo
traiettorie coerenti con le esigenze delle imprese, la programmazione
regionale e le reali necessità dei lavoratori coinvolti.
Dalle interviste emerge anche come sia necessario superare alcuni
stereotipi professionali che continuano a perdurare generando un
circolo vizioso tra formazione e occupazione, influenzando le scelte
formative secondo una logica di riproduzione dell’esistente e riducendo
l’occupabilità e il potenziale innovativo connesso con la
valorizzazione delle competenze femminili.
Ufficio stampa
Commissione regionale Pari opportunità
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