Cos’è il merito a scuola? di Simonetta Salacone
Data: Giovedì, 07 giugno 2012 ore 08:15:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Per parlare
di merito a scuola bisogna avere qualche rudimento essenziale, giusto
per non farsi abbagliare dal “buon senso comune” della casalinga di
Voghera come del giornalista televisivo di grido, che, nella materia
scuola, ne sa tanto quanto la casalinga di Voghera. Ps. non me ne
abbiano. Nemmeno io ne so granchè di carcinoma alle ossa e non ne
impongo cure - Mila Spicola - Unita.it
Per fortuna, questa volta, la reazione al pacchetto di proposte sul
Merito del Ministro Profumo è stata tempestiva e molto ben articolata
nelle argomentazioni e, soprattutto, è parsa provenire da molteplici e
diverse direzioni: dal mondo della pedagogia e della didattica, dal
mondo della politica, dalle OOSS.
Della proposta che domani verrà portata al Consiglio dei Ministri sono
state criticate la forma, il decreto legge, che impedisce l’apertura di
un ampio e serio dibattito nel Paese e in Parlamento, il contenuto e
l’ideologia di sfondo, quella di una scuola e di un’università
condizionate dalla competizione e dal mercato del lavoro e, soprattutto
per la scuola, divergenti dalle finalità di inclusione e di promozione
della cultura della cittadinanza previste dalla Costituzione, la
povertà delle risorse messe in campo, a fronte dei feroci tagli operati
dal Governo Berlusconi, che tanto male hanno arrecato e stanno
continuando ad arrecare alla scuola della Repubblica, la scuola di
tutti.
Vorrei aggiungere un punto di vista squisitamente professionale, da
docente, poiché si ha l’impressione che chi amministra la scuola in
realtà ne conosca molto poco la realtà e i meccanismi di funzionamento.
“Merito” non è una parola di destra.Ogni docente competente sa che deve
riuscire a far emergere e a valorizzare in ogni alunno il meglio delle
proprie attitudini e capacità, a partire dal bagaglio di esperienze che
ciascuno ha fatto e continua a fare all’esterno della scuola.
Ed è qui che si gioca la differenza fra i diversi soggetti, che non
deve essere né appiattita, né negata, ma che non deve alimentare le
disuguaglianze dei destini futuri della vita lavorativa e
dell’inclusione sociale.
Ma è anche qui, purtroppo, che si gioca l’incapacità della scuola di
vincere sulle condizioni sfavorevoli di partenza di molti alunni, così
che la scuola stessa, anziché diventare un fattore di promozione per
tutti, rischia di diventare strumento di ratifica delle disuguaglianze
e dei destini, già tracciati dei soggetti più sfavoriti.Povertà
economiche e culturali delle famiglie e delle realtà sociali da cui si
proviene, limiti oggettivi del patrimonio linguistico e delle
esperienze extrascolastiche, angustia di spazi fisici in cui si è
costretti a vivere …tutti questi fattori, fortemente condizionanti del
successo scolastico di ciascun alunno devono essere affrontati in modo
molto precoce, perché non si consolidino e non divengano limiti
irreversibili al libero sviluppo delle potenzialità di ciascuno.
(Qualche mia considerazione: Simonetta parla di condizioni e fattori
confermati da tutte le analisi – Istat, Il, Fondazione Agnelli, Isfol,
UE – e da tutte le rilevazioni sulle competenze dei ragazzi –
Ocse-Pisa, Invalsi, Iea, Pirls – effettuate nell’ultimo decennio e che
incrociano i risultati scolastici con le condizioni
socioeconomicheculturali di appartenenza. Questi dati riferiti
soprattutto alle scuole professionali e tecniche e alle medie (che
rappresentanto la quasi totalità degli studenti italiani) tracciano un
destino predeterminato per classe sociale e contesto geografico oggi
come 60 anni fa (l’immagine che ho allegato all’articolo rappresenta
proprio uno dei grafici di correlazione tra risultati scolastici e
indice escs(stato socioeconomicoculturale dei genitori, ma esistono
migliaia di analisi e dati in merito. Migliaia. Che paghiamo
“profum”atamente). Esulano da queste considerazioni i licei: i cui
studenti hanno risultati eccellenti e sopra la media ocse
(sappiatelo)ma sono una percentuale davvero minima della scolarità
totale italiana. In cui il “grosso del problema”, e a noi dovrebbe
interessare la logica di sistema complessivo, non la nostra classe al
liceo, o la classe del nostro pargolo al liceo parini, è rappresentato
dalla dispersione e dagli scarsi livelli cognitivi nei tecnici e nei
professionali, che inizia alle medie, e che riguarda un preciso settore
della società italiana. Sempre gli stessi dati dicono che il 90 % circa
degli iscritti ai licei proviene da famiglie con genitori con titolo di
studio superiore e contesto economico-familiare medio alto e viceversa,
i tecnici e i professionali vedono alunni con estrazione bassa. Cioè la
mobilità sociale fornita dalla scuola italiana – banca dati Neet-2011,
Italia Lavoro- è negli ultimi posti della scala Ocse Europea. In
particolare agli ultimi posti ci siamo noi e la Bulgaria. Se
ciascuno di voi al liceo (perchè è la congrega dei liceali quella più
affezionata alla selezione e al concetto di elitario di scuola) ha
avuto un “compagno povero bravo” (cosa che mi son sentita ripetere da
tanti, e mi verrebbe da menar ceffoni nell’udirlo, scusate se lo
ammetto), beh, era ed è al massimo uno per classe. A proposito
poi di meritocrazia: il destino del “compagno tanto bravo nonostante
fosse povero del liceo” è anche esso segnato, oggi in particolar modo
rispetto a 30 anni fa: difficilmente arriverà a posizioni dirigenziali,
nonostante premi, borse di studio, dottorati ..e tutto quello che la
carriera dell’ipocrisia meritocratica disegna al “bravo studente
povero”. Ha lo 0,0001 (dati e analisi alla mano sempre, non “mi ha
detto mio cugino”) di possibilità di vincere un concorso da associato
ad esempio. O da primario. O da dirigente d’azienda. O da avvocato. O
da quello che volete voi. Nel 99% dei casi finirà col tornare a fare il
mestiere dei suoi. Se non il disoccupato. Ripeto: dati alla mano e
rilevazioni, non fantasie o ricordi del tipo “la mia prof
d’italiano al Mamiani negli anni 80 si che era dura e bocciava tutti”.
Il Mamiani non fa testo nelle considerazioni di scala sui bassi livelli
cognitivi degli studenti italiani: riguardano scuole tecniche,
professionali e fenomenti di dispersione e abbandono. Altra
considerazione: nel 1962, con la riforma della scuola media, abbiamo
deciso TUTTI QUANTI di creare una scuola non più basata sulla
selezione, ma sull’inclusione. Non per bontà giustizia: ma per averne
dei vantaggi collettivi generali, allargare le competenze di base
in modo da fornire strumenti per essere adeguati cittadini e per
avere uno sviluppo socioeconomicoculturale personale adeguato a tutta
la popolazione (questo è il mandato). Significa che compito della
scuola è, sì, produrre qualità, la dove ci riesce, ma fornire di
strumenti essenziali tutta la popolazione. Questo ha significato
abbassare il livello. Non dell’insegnamento, ma dell’esito
dell’insegnamento, perché era ovvio che avremmo dovuto fare i conti con
i grandi numeri e con le enormi sperequazioni sociali e culturali
preesistenti. Le percentuali, e qua lo capisce persino Profumo, oltre
che la casalinga di Voghera, cambiano nell’economia di scala di massa.
Adesso, rispetto agli altri paesi siamo indietro in alcuni standard (e
ripeto, non quelli dei licei, che hanno livelli di eccellenza), ma
rispetto all’Italia degli anni ’60 siamo avanti di parecchio e piano
piano stiamo andando avanti. A meno dei dati sulle diseguaglianze che
sono rimasti intatti e a meno del predeterminismo sociale sul quale
ancora non riusciamo a venire a capo. E’ una tragedia? Si. Specie
quando arrivano mannaie di minsitri incompetenti e non “meritatamente”
adeguati a trattar la materia: perchè basterebbe un qualunque
consulente che maneggia dati e analisi, coadiuvato da un buon
ricercatore e da un qualunque docente per raggiungere considerazioni un
pò più aderenti alla realtà di quelle che presuppongono i provvedimenti
assunti negli ultimi anni: assolutamente marginali a fronte delle reali
azioni che potrebbero intraprendersi. Però c’è una luce: i
successi là dove si è fatto. Ad esempio chiederci come mai la Regione
Puglia, dal 2008 ad oggi, è balzata dagli ultimi posti per competenze
dei ragazzi e alti tassi di dispersione in cui si trovava, all’essere
la prima in Italia, prima della Lombardia, nelle prove sulle competenze
dei ragazzi. Con lo studente dell’anno? No. Ecco: chiedetevi, dati alla
mano, ricerche alla mano, ed esperti e professionisti e operatori veri
accanto, come si possono migliorare davvero i livelli qualitativi della
scuola italiana, non dell’orgoglio personale del papà che mette la
coppa del figlio sul frigo, ma della scuola italiana. Cioè: cerchiamo
di ragionare strategicamente e con competenza e merito entrando nel
merito e non come la casalinga di Voghera. Nota di Mila Spicola).
Per questo sono fondamentali gli investimenti nei nidi, nella scuola
dell’infanzia, nei percorsi di sostegno alla genitorialità, nella
prevenzione sanitaria e nell’educazione alla salute, così come sono
centrali le politiche di sostegno economico alle famiglie che vivono
precarietà lavorativa e disagio economico, situazioni di cui i bambini
e gli adolescenti diventano termometri sensibilissimi e di cui portano
a scuola sofferenze e incertezze che spesso si traducono in
disattenzione, fughe dall’impegno scolastico, talvolta in rabbia e
antagonismo controproducente verso le istituzioni tutte.Diventa
essenziale investire di più nel diritto allo studio, nell’edilizia
scolastica, nelle aule attrezzate, nei laboratori, nei sussidi
didattici, negli spazi esterni alle scuole.Vivere in ambienti
gradevoli, attrezzati ed esteticamente curati è fondamentale per chi, a
casa, non ha spazi propri di vita, perché magari condivide 60 mq con
genitori, fratelli, spesso anche nonni.
(Ricordo ancora con fastidio un’assistente sociale, la quale durante un
GLH per un bambino con disabilità , insisteva nel pretendere che
quell’alunno non dormisse con la nonna e avesse i suoi spazi per fare i
compiti in silenzio, senza rendersi conto che quel nucleo familiare,
composto dai genitori, da altri due fratellini e dalla nonna, viveva in
due stanze e, ogni sera, spostando tavoli, trasformava i divani in
letti e faceva fronte, grazie alla pensione dell’anziana, alla
disoccupazione forzata del papà!) Ma anche poter conoscere, attraverso
campi scuola e visite guidate paesaggi e ambienti diversi è importante
per aprire orizzonti meno angusti rispetto a quelli in cui
quotidianamente molti alunni socialmente sfavoriti sono costretti a
vivere.
Ci sono alunni di grandi città che non hanno mai visitato i centri
storici, le ricchezze artistiche, i musei, le cattedrali, i palazzi
delle loro città e che trascorrono le domeniche presso i centri
commerciali, vere nuove “basiliche” delle nostre tristi e sterminate
periferie urbane.Ci sono sempre più alunni che non hanno mai viaggiato,
che non vanno i n vacanza e non conoscono ambienti diversi da quelli in
cui sono nati e cresciuti: veramente si pensa che le loro esperienze
possano essere confrontate con quelli di bambini e adolescenti di altri
ceti sociali? Il tempo pieno, i campi scuola, le visite guidate, gli
scambi culturali, i progetti Comenius….sono percorsi che le scuole
hanno utilizzano per ovviare alle povertà di esperienze di molti
alunni, ma le risorse delle famiglie e degli Enti Locali sono sempre
più ridotte e costringono spesso a rinunciare a interventi giudicati
troppo costosi e non più compatibili con l’essenzialità dei servizi da
offrire alle scuole.Il Ministro Profumo parla di risultati raggiunti,
ma anche di considerare le situazioni di partenza. Allora, però, le
scuole non dovranno essere costrette a segnalare come meritevoli gli
alunni del “ 100 e lode”, ma quelli che avranno effettuato i percorsi
più ampi fra le situazioni di partenza e i risultati ottenuti. Allora,
però, non il voto finale né i soli crediti formativi formulati in
termini di voto, ma la documentazione o, meglio ancora, la narrazione
di tali percorsi dovrebbe essere alla base di eventuali segnalazioni di
“merito”.
Ci sono, poi, due altre osservazioni che vorrei porre all’attenzione
del Ministro.Una riguarda il fatto che l’eccellenza, nella scuola e
nell’università si raggiunge lavorando insieme agli altri e che i
prodotti scolastici e della ricerca sono spesso prodotti collettivi, il
cui valore aggiunto risiede proprio nell’essere il risultato
dell’impegno diversificato di tanti.
Il merito che la buona scuola deve saper promuovere è quello che
ciascuno deve, consapevolmente, offrire per raggiungere uno scopo
comune. Solo così il merito di alcuni può trascinare il gruppo e
l’intera classe.
Ma allora perché si deve premiare uno solo fra gli artefici del
risultato?La buona scuola è luogo in cui si apprende insieme, senza
competere fra compagni.
La competizione vera, quella utile, va rivolta verso le difficoltà che
si incontrano sulla strada della ricerca, verso i nodi “duri” del
confronto con i problemi da risolvere o con gli aspetti della realtà
che si devono affrontare e il successo consiste nella capacità di
trovare insieme una soluzione, di arrivare ad un prodotto di qualità,
di scoprire strade non ancora percorse per rispondere a problemi seri
della società (ma anche della micro-società classe! dove i problemi
possono andare dal compito reale di costruire una quinta teatrale, al
trovare testi classici di corredo alla ricerca storica, dal tradurre in
prodotto informatico i risultati di una ricerca scientifica al
costruire un plastico secondo un progetto stilato insieme,
dall’inventare strumenti di osservazione della natura o del
comportamento degli uccelli in giardino, all’impostare una guida
turistica per i compagni che verranno in visita nelle nostre città da
altri Paesi, dal trovare un algoritmo efficace ed economico per
risolvere un problema di matematica, all’impostare un sistema di
riciclaggio dei rifiuti organici della mensa scolastica….. )
La competizione più apprezzabile è quella che ogni soggetto deve poi
ingaggiare con se stesso, con le proprie pigrizie e con i propri
presunti limiti. “Conosciti, ragazzo, scopri il meglio che c’è in te e
mettilo a disposizione della comunità che, così, ti aiuterà a
realizzarti e, contemporaneamente, ti restituirà la parte migliore di
te, riconoscendosi in te e nelle tue doti “
I migliori insegnanti sanno valorizzare l’apporto che ciascun alunno, a
partire dalle proprie caratteristiche di intelligenza e di abilità sa
portare alla realizzazione di un compito comune e declinano in questa
modalità collaborativa le eccellenze di ciascun alunno.Con un sistema
di premi e crediti, fra l’altro, è molto difficile valorizzare le
eccellenze e le doti particolari di alcuni, poiché queste attengono a
campi specifici di abilità e saperi e non si distendono, spesso,
sull’intero arco della competenze scolasticamente accertabili (per
essere più chiari, non sempre l’alunno geniale in musica è anche quello
che se la cava in maniera ottimale in latino e quello particolarmente
versato in matematica o in geometria può essere dislessico o avere
problemi con l’espressione linguistica, quello molto lento nelle
risposte a domande chiuse è, magari, un genio nel pensiero “lento”
della filosofia e quello che si distrae durante le spiegazioni di
lingua o matematica e guarda il volo di una mosca, sta, forse, vagando
sulla divergenza di pensiero che ne potrà fare un futuro cultore di
scrittura letteraria o un appassionato ricercatore in entomologia!)
Intendo, da insegnante, rivendicare lo spettro amplissimo delle doti e
capacità che dobbiamo essere in grado di scovare nei nostri alunni e di
saper valorizzare, al di là di premi e dei riconoscimenti di merito che
troppo spesso servono a ratificare il conformismo e le logiche di
successo socialmente riconosciute.
Infine, e non ultimo, fra i motivi che non mi fanno affatto apprezzare
le proposte del Ministro c’è il vero e proprio “imbroglio” per cui da
anni, mentre si lesinano risorse alla scuola e la si marginalizza
davanti all’opinione pubblica, si esce mediaticamente e con proposte
che la riportano sulle prime pagine dei giornali, senza, però
interloquire con chi a scuola vive ed opera: i docenti e le docenti.
Tutti pronti, Ministro, politici, sottosegretari, giornalisti a dare
lezioni a chi quotidianamente le lezioni le affronta veramente e
conosce il nocciolo duro dei problemi: la necessità di motivare gli
alunni allo studio, alla fatica dell’apprendere, ma anche alla gioia
della scoperta e del lavoro comune, del “gioco con gli oggetti del
sapere”, libero da scopi di utile immediato.Anche in luoghi (e sono la
maggioranza, abbiatene finalmente conscienza) dove tutto gioca a
sfavore: povertà, ignoranza e criminalità diffusa.
La scuola è anche emozioni, trasmissione di valori per cui battersi e
in cui riconoscersi come collettività, spazio per il confronto di idee
e luogo in cui costruire un progetto di societàpiù giusta, in cui
esercitare la propria voglia di cambiare, sfidando angustie e meschine
aspettative di successo personale: è la scuola che lavora con le
associazioni come “Libera”, che si batte contro la mafia, che si
appassiona nell’ascolto degli ultimi testimoni della Resistenza e che
si commuove davanti alla Storia, con la S maiuscola che è fatta di
grandi maestri , che hanno pagato anche con la vita il loro impegno per
cambiare la società.
La buona scuola deve impastare pensiero ed emozioni, trasmissione dei
saperi e costruzione di nuovi saperi ed essere capace di promuovere
progetti individuali insieme a speranze collettive.
Per questa scuola servono investimenti, professionalità arricchite,
rinnovamento vero dei curricola e della formazione docente (non solo
tagli agli orari, ai laboratori, alle sperimentazioni), collegamento
con la ricerca, per uscire dalla solitudine e dall’angustia delle
difficoltà della sopravvivenza quotidiane.Servono nuove indicazioni
programmatiche, revisione dei contenuti disciplinari che si aprano ad
orizzonti europei e mondiali, formazione e aggiornamento costanti
perché gli insegnanti sappiano rinnovare le proprie conoscenze
disciplinari e didattiche.
Servono ascolto e sostegno sociale, ma anche attenzione e a
valorizzazione dei risultati che spesso docenti, studenti, genitori che
ancora collaborano con entusiasmo alla vita delle comunità educanti
raggiungono, nonostante situazioni di partenza veramente insostenibili.
Questo è il “merito” delle scuole, dei docenti, degli studenti , che
vorremmo fosse riconosciuto, promosso, reso visibile, ampliato e
diffuso in ogni parte del nostro territorio nazionale non quello,
orridamente premiale e antistorico oltre che antieducativo, del
“miglior studente”. In base a cosa e definito da chi?
Questo ci aspettiamo dal Governo e dalle forze politiche, come anche da
un opinione pubblica e da media attenti, preparati, umili e accorti nel
lanciare crociate su cose delicatissime e specifiche come i processi
educativi di una nazione.
Più attenzione concreta, più attenzione alla ricerca, più “merito per
poterne dire”, meno spot pubblicitari, meno mercato, più cura vera per
la la crescita armonica e completa in tutte le dimensioni dello
sviluppo dei nostri bambini, adolescenti, giovani.
Simonetta Salacone
già Dirigente scolastica della
Scuola”Iqbal Masih si Roma”
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