Daniel Pennac, Sogno un’Europa senza spread
Data: Martedì, 29 maggio 2012 ore 20:57:34 CEST
Argomento: Redazione


Daniel PennacProfessor Pennac, che cosa intende per dono della scrittura?
«Il dono della scrittura inteso come regalo è il libro. Il libro non ci appartiene mai fino in fondo, lo regaliamo, lo prestiamo (e non ce lo rendono), lo scegliamo, lo divoriamo, entra dentro di noi. In questo senso è un regalo. Se invece intende parlare del dono della scrittura come facilità a scrivere, le dico subito che io non sono molto dotato, Benni è più bravo di me».
Ma questa dote che lei dice di non avere, contraddicendo alcuni milioni di lettori, da chi viene donata?
«Da nessuno. E qui troviamo una terza accezione del dono: è un desiderio abbastanza potente da costringerci a realizzarlo. Può esprimere attraverso la musica, la pittura…o attraverso la scrittura. Nessuno ha il dono, ma molti hanno il desiderio di spiegare la propria presenza nel mondo, di segnare il passaggio. O forse è il desiderio di esprimere la nostra percezione del mondo. Sì, questo si addice di più a me visto che i posteri non mi interessano molto. Anzi, la trovo un’idea comica quella di scrivere per i posteri».
La scrittura nasce dalla lettura?
«Non sempre. C’è una differenza tra gli scrittori europei e quelli, ad esempio, del Nord – America. Svevo, Calvino, Buzzati, Gadda, per citare alcuni classici del Novecento italiano…ebbene il loro desiderio di scrivere nasce dalla lettura ovvero dalla cultura. Prendiamo invece certi classici americani come Jack London, John Fante o Kerouac: il loro desiderio di scrivere nasce dalla loro stessa vita, hanno bisogno di raccontare le loro esperienze. London si può dire che abbia imparato a leggere e scrivere perché sentiva questo bisogno. Naturalmente ci sono anche americani, poniamo Henry Miller o Philip Roth, che alla loro esperienza uniscono anche la cultura, ma (succede forse nei popoli giovani) la prima molla è la loro stessa vita».
Ci parli di “Il 6° continente”, lo spettacolo teatrale che sta mettendo in scena qui a Pistoia.
«È di una riflessione, anzi meglio di una evocazione del sesto continente. Cos’è il sesto continente? Intanto è più grande della Francia, forse come un quarto d’Europa. Si sposta nel Pacifico ed è formato da rifiuti, detriti, sacchetti e bottiglie di plastica, insomma da tutta quella merda post-industriale. Se vuole leggere un saggio interessante sull’argomento le consiglio “L’oceano in plastica” di Charles Moore che uscirà in Italia all’inizio del 2013. Io intanto lo evoco».
A proposito di Europa: secondo lei l’Unione Europea è un dono, una necessità o un errore?
«Non è un errore, è uno spreco. L’unità dell’Europa è necessaria per combattere tutti nazionalismi che abbiamo conosciuto nel Novecento – fascismo, nazismo, franchismo, sala zarismo, collaborazionismo francese – e che hanno fatto decine di milioni di morti. L’Europa unita era ed è un sogno necessario. Ma abbiamo cominciato dalla parte sbagliata ovvero dall’economia. Invece bisognava cominciare dalla cultura, e poi dalle lingue (morirò con il rimpianto di non sapere l’italiano e l’inglese), quindi la difesa territoriale e solo da ultimo l’economia. Invece si è fatto il contrario, ci siamo fatti trainare e soffocare dal modo di produzione mercantile e quindi dalla finanza globalizzata. Spero che un giorno gli uomini capiscano e allora, sì, faremo l’Europa. E sarà un dono».

Rossella Martina - Il Resto del Carlino





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