E noi insegnanti cosa potremo dire lunedì a scuola ai nostri alunni dopo le bombe di Brindisi?
Data: Domenica, 20 maggio 2012 ore 15:54:46 CEST
Argomento: Opinioni


E noi insegnanti cosa potremo dire lunedì a scuola ai nostri alunni dopo le bombe di Brindisi? Qualcuno pensa che “lo spettacolo debba sempre continuare”, perché bisogna guardare avanti e la vita continua.
Ci sono momenti in cui non deve essere così, momenti in cui la scuola, i programmi, i progetti, le interrogazioni, i compiti, le spiegazioni vanno fermate dinanzi a vite spezzate, tremende ferite, dolori incolmabili.
Quando io avevo 16 anni, dinanzi al mio liceo, durante la ricreazione, ci fu un omicidio: tutti sentimmo gli spari, vedemmo quell’uomo per terra, restammo senza parole.
Tornati in classe il professore della quarta ora fece come se nulla fosse, spiegò e interrogò dicendo: «Così non ci pensate!».
La quinta ora un altro prof. ci vide con i libri aperti e ci disse parole che non ho mai dimenticato: «Chi vuol piangere, pianga; chi vuol fare silenzio, si poggi pure sul banco, se qualcuno vuol parlare, io sono qui».
Non ricordo una parola della lezione svolta alla quarta ora, ma come docente oggi porto ancora nel cuore l’insegnamento profondo della quinta ora!
Nella città di Brindisi ho rivisto la mia Catania, in quella scuola ho rivisto la mia scuola, in quelle ragazze i miei carissimi studenti nel quarto d’ora prima della scuola, il più prezioso, il più libero, riservato alle confidenze, ai timori, alle speranze; e penso alle 8 di ogni mattina e ai volti che incontro e che mi salutano con i loro sorrisi, anche quando sono un po’ assonnati.
E penso ai volti che incontrerò lunedì allo stesso orario e a quanti mi scrivono in queste ore su Facebook, perché da un prof. qualche risposta se l’aspettano.
In questo momento molti si arrovellano a fare ipotesi su quanto accaduto e i titoli dei giornali on line cambiano con frequenza, indicando una volta la mafia, un’altra il terrorismo, poi qualche folle e persino non identificati “poteri oscuri”.
Il prof. questa volta non ha parole che siano adatte, non ha libri che spieghino un perché, ha solo commozione, lacrime più o meno nascoste, un registro da appendere ad un salice.
Una cosa però la farà: darà particolarmente ascolto ai ragazzi, sia alle parole che ai silenzi, alla rabbia e alla delusione, alla paura e alla richiesta di giustizia.
Insieme sceglieremo quali saranno i compiti per casa, non solo per loro ma anche per me: crescere nelle relazioni interpersonali, migliorare la capacità critica dinanzi alla realtà, fare della propria esistenza qualcosa di bello per sé e per gli altri, studiare per migliorare se stessi e la società, non cedere ai compromessi e a quanto offende la dignità della vita, conoscere la vita di testimoni coraggiosi, combattere il terrore con l’amore.
Saranno cinque ore diverse, ma pur sempre scuola, forse una di quelle poche volte in cui sarà “maestra di vita”.
È proprio vero che “il seme che muore, porta frutto”, che anche le morti più assurde possono non essere vane e diventare segno di speranza superata la desolazione. Intanto attendo lunedì in silenzio, scegliendo nel dizionario della vita le uniche parole che mi sembrano significative, quelle delle preghiere.
Marco Pappalardo – Docente Liceo “Don Bosco” - Catania







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