La dimensione dell’Uomo
Data: Domenica, 13 maggio 2012 ore 05:00:00 CEST Argomento: Redazione
Dimensione,
cioè l’importanza di darsi un grande valore, l’estensione di un
individuo si applica per tutta la vita per “occupare” (dal suo punto di
vista) un determinato spazio nella società. L’uomo, che non agisce solo
d’istinto, ma è capace di pensare, agire e discernere ciò che è male e
ciò che è bene, si crea degli spazi più o meno grandi dove poter
esprimere le proprie idee e l’aver la “stazione eretta” lo porta ad
agire (nel bene e nel male) usando metodi calcolati (quindi non
d’istinto) per incrementare la propria “dimensione”. Herbert
Marcuse (1898 – 1979), studioso di Hegel, Marx e discepolo di Freud,
nel suo libro: “L’Uomo a una
dimensione”, esprime il concetto contro l’asservimento dell’uomo
in una società tutta strumentale, analizzando il livellamento cui porta
la struttura economica del capitalismo più evoluto e la formazione
delle corrispondenti cerniere logiche che rispecchiano quel
livellamento.
Marcuse disegna in questo suo libro quello che deve essere il nuovo
compito del pensiero filosofico, legato ad una concreta azione sociale,
cioè una strategia del rifiuto che si legava implicitamente al
movimento della “nuova sinistra americana in auge nella metà degli anni
60”, (questo libro io l’ho letto al tempo della mia giovinezza,
precisamente gli anni ’70).
Secondo Marcuse, la società industriale diventava più ricca, più
grande. A quei tempi, anni ‘60, vi era ancora il pericolo che l’Ovest
era minacciato dall’Est, e l’Est era minacciato dall’Ovest, e quindi
c’era il bisogno di essere preparati di fronte ai possibili scenari di
guerra. I bisogni politici della società diventavano bisogni e
aspirazioni individuali, cioè sviluppo degli affari e bene comune
appaiono come la personificazione della stessa ragione (ecco il
livellamento).
Ma per Marcuse quella società gli era sembrata irrazionale, cioè la sua
produttività tendeva a distruggere il libero sviluppo e i bisogni
umani, questo “livellamento”, per Marcuse, era riprovevole. Per
lui vi era ancora un significato nel distinguere “coscienza autentica e
falsa coscienza”, tra interesse reale e interesse immediato.
Molti anni prima di Marcuse, il poeta italiano Giuseppe Giusti (1809 –
1850) scriveva in una sua poesia questi versi (di cui io non ho mai
dimenticato, pur avendoli letti quando facevo le elementari), “Prima
padron di casa in casa mia, poi cittadino della mia città, italiano in
Italia e così via, divento uomo nell’umanità”.
Riflettendo su quel che accade in questi tempi, dove assistiamo al
crollo economico e sociale di intere nazioni (soprattutto europee),
dove il cosiddetto “spread” non tiene più, dove assistiamo al crollo
delle Borse e, secondo me, per dirla con Marcuse, assistiamo al
fallimento del capitalismo sfrenato e rampante fatto solo di
“business”, guadagni e accumuli di capitali e non essendo riusciti a
togliere i cosiddetti pericoli internazionali, che non si chiamano più
Est o Ovest, ma sono le incognite dei paesi emergenti, è venuto a
mancare, perché era (ha) fallito, il cosiddetto “collettivismo di
massa”, si ritorna, a mio avviso, alla meditazione del GIUSTI, cioè
alla “dimensione dell’uomo” in quanto “essere centrale” e di grande
valore, dove il punto di vista dell’uomo ritorna al “centro di tutto”.
L’individuo, come dice il Giusti, si rapporta nel suo agire, è capace
di discernere il bene ed il male, ed è responsabile delle sue azioni: “
Prima a casa sua, poi nella sua città, nella sua nazione e nell’intera
collettività mondiale”. “Uomo nell’umanità”, ha lasciato scritto il
Giusti.
Ed allora, diciamo di no al “livellamento industriale” ed al
“livellamento collettivo di massa”, dove ambedue annichiliscono la
personalità e non la fanno esprimere. L’Uomo, che non agisce solo di
istinto, ma è capace di pensare e programmare le sue azioni, non può
essere “livellato”, pianificato, programmato a secondo delle mode
ricorrenti, ma egli è “un essere” che ha la propria DIMENSIONE a
prescindere da chi lo governa, e la DIMENSIONE DELL’UOMO, sia
individuale che nel suo rapporto sociale, deve esprimere i vari
programmi di evoluzione industriale, economica e sociale, non
annichilendolo ma valorizzandolo. Egli è un “essere razionale”, capace
di “guardare in alto”, ha bisogno di essere “saggio” non con sapienza
umana, ma di una sapienza che viene “dall’alto”, come dice l’apostolo
Paolo nella Lettera ai Corinzi (Prima Lettera ai Corinzi, Cap. 1,
versetti 17 – 31 e Cap. 3, versetti 16 – 22).
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it
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