L'amarezza di un grande Docente di laboratorio
Data: Venerdì, 11 maggio 2012 ore 08:00:00 CEST Argomento: Opinioni
Lettere in
redazione,
Sono molto amareggiato per tutto quello che mi capita di leggere di
tanto in tanto a proposito della soluzione trovata dal governo per i
docenti soprannumerari e cioè la riconversione sul sostegno previo
corso di formazione. La mia amarezza riguarda certe affermazioni fatte
da colleghi, quindi docenti, che, oltretutto, tengono a precisare di
essere laureati, plurispecializzati e con tanti anni di esperienza in
tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Eppure, nonostante tutto, si operano ancora discriminazioni tra
docenti, si fanno differenze tra preparazioni e preparazioni, tra
materie e materie ecc ecc. Certo, ognuno ha la sua esperienza e il suo
percorso di studi, questo è ovvio, ma ritenere che alcuni docenti
possano insegnare sostegno ed altri no, perché non laureati oppure
perché “tecnico-pratici” mi sembra assurdo. Anzi, mi sembra una
discriminazione gratuita e volgare, non degna di un paese civile, dove
da più parti si invocano investimenti sulla scuola pubblica e sulla
cultura.
Ci tengo a sottolineare che essere un insegnante tecnico pratico non è
come avere una brutta malattia e non è un privilegio quello di
insegnare, noi ITP lo facciamo semplicemente perchè ce lo siamo
meritato. Il privilegio, miei cari colleghi plurilaureati, è una
situazione di favore in cui un soggetto si trova rispetto ad un altro
per la benevolenza di qualcuno o perché una situazione o una
circostanza hanno permesso una cosa che, normalmente, non dovrebbe
succedere.
Be’ scusatemi, ma non è così! Gli ITP insegnano delle materie pratiche,
il che vuol dire insegnare un mestiere ad un giovane, avvicinarlo al
lavoro, abituarlo a stare in gruppo, a sviluppare senso del dovere ,
della disciplina, del rispetto, fargli capire che sensazione si prova a
guardare delle materie prime, che poi, con fatica e duro lavoro
diventano un utensile, un oggetto, il motore, un computer, una
prelibatezza culinaria, una bevanda raffinata e tanto altro ancora…
Credete che sia facile? Perché non provate? Certo voi avete studiato
anni ed anni, ma non va dimenticato che gli ITP hanno lavorato anni ed
anni per trasmettere oggi tutto quello che sanno ad una gioventù che
spesso trova gusto nell’imparare un lavoro e magari sceglie di vivere
onestamente esercitando un mestiere evitando scorciatoie pericolose.
Inoltre, gli insegnanti ITP hanno superato da un pezzo le lezioni
frontali e le vecchie metodologie didattiche, perché esprimono la loro
professionalità, in un laboratorio dove avviene la formazione
dell’alunno che si accinge ad imparare un mestiere. Inoltre l’ambiente
del laboratorio spinge alla socializzazione assolutamente
indispensabile quando si lavora in gruppo per “creare”, spinge a
superare la timidezza tipica dell’età, gratifica per quella “piccola
cosa” fatta con le proprie mani che però è unica, stimola alla sana
competizione quale ingrediente indispensabile della vita lavorativa
moderna.
Questo e tanto altro ancora vuol dire essere un ITP, al di là delle
competenze indispensabili che ognuno di noi deve trasmettere.
Se avete letto attentamente queste poche righe potete capire quanto si
complica il lavoro di un ITP se il discente è uno studente diversamente
abile. Credetemi, in questo senso mi sento un privilegiato perché posso
vedere quotidianamente gli occhi di questi giovani che si illuminano e
sorridono per le loro piccole- grandi conquiste, perché vedo come i
compagni li aiutano e li coccolano, perché si rendono conto che sono
capaci anche loro di fare, perché si accorgono di essere speciali e che
non sono messi da parte.
Certo, il nostro lavoro si affianca a quello dell’insegnante di
sostegno, sempre presente in laboratorio , ma quanta esperienza abbiamo
maturato sul campo noi ? Di solito i diversamente abili sono
indirizzati verso gli Istituti Professionali perché lì possono
aumentare la loro autonomia e possono imparare un mestiere che, in
alcuni casi, possono anche esercitare.
Non voglio convincere nessuno. Figuriamoci. Volevo solo raccontarvi
un’esperienza, la mia, diversa da tutte, ma forse simile a tante. E
poi, se cominciamo a discriminarci tra di noi come potremmo mai aiutare
un diversamente abile ad integrarsi?
Antonio D'Ascoli
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