'I Giganti della montagna' al Verga di Catania fino al 12 maggio
Data: Domenica, 29 aprile 2012 ore 09:00:00 CEST
Argomento: Redazione


I Giganti della montagna al Verga di Catania fino al 12 maggioCatania (gico). Chi sogna il sogno del teatro? Chi sogna il sogno dell’arte e della poesia?
Con il fulmen in clausura della sua produzione teatrale, Luigi Pirandello offre con “I giganti della montagna” il sogno terminale di una riflessione altissima e preveggente sul contrasto tra natura e civiltà, sull’impossibilità della poesia nel mondo dominato dalla tecnica e sull’idea dell’arte come sintesi assoluta dell’esistenza.
Certo, affrontare sulle scene del Teatro Verga un testo così allusivo, così permeato da un “eccesso di volontà costruttiva” che ne costituisce forse il suo paradossale limite non era compito agevole. La regia di Giuseppe Dipasquale ha saputo assai bene districarsi tra i pericoli del pirandellismo e dell’indecifrabile che sostanziano i due “momenti” dello spettacolo, cui si aggiunge il “terzo” completato dal figlio Stefano Pirandello.
L’apparente linearità dell’azione drammaturgica – la Compagnia della Contessa Ilse che giunge a villa La Scalogna, un non-luogo abitato da strani esseri, ora spiriti ora fantocci (ma in realtà custodi del senso più profondo della vita) - si frantuma e si scioglie dilatandosi nella visione. In quale dimensione si svolge la loro storia, quale “favola nuova” giungono a mettere in scena, se non quella dell’impossibilità della creazione e della rappresentazione stessa davanti al mondo estraneo e indifferente dei Giganti?
La suggestione dei costumi di Elena Mannino e soprattutto della fascinosa scenografia di Antonio Fiorentino, magicamente in bilico tra surrealismo e ossessione onirica (vi è, indubbia, la risemantizzazione delle suggestioni pittoriche di Max Ernst e di Paul Delvaux) anche attraverso l’assemblaggio degli oggetti, lascia emergere la potenza arcaica dello sciamano “dimissionario dal mondo” Cotrone (Vincenzo Pirrotta esprime il meglio di sé nei panni di questi personaggi così drammaticamente connotati) insieme ai molteplici fantasmi dell’immaginario isolano di cui Pirandello si era nutrito nell’infanzia.
In una sorta di regione limbica, indefinita e vaga ma rischiarata perennemente da una luce lunare e ctonia, questo “mito” pirandelliano libera la sua forza nella seconda parte della rappresentazione, lì dove il “fascino dell’improbabile”, l’alternanza continua di inconscio, lacerti di sogno e associazioni alogiche delineano la profezia pirandelliana di un mondo conforme e incapace di comprendere la poesia: i Giganti, il Potere dunque, ma oggi potremmo anche aggiungere il rimbellicimento mediatico ad alta definizione, il raffinato controllo delle coscienze e dei mezzi di produzione, comunque il “pubblico” con cui sperare di confrontarsi, non lasciano scampo. Se lo scempio di Ilse ne testimonia, ancora una volta, tutta l’ottusità, l’accettazione di un risarcimento a quella morte pare prefigurare il compromesso con quel Potere cui l’arte, per sopravvivere, dove sottostare.

Giuseppe Condorelli
condorg@tiscali.it





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