Il Re di Francia, seguito e fine
Data: Venerdì, 13 aprile 2012 ore 13:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Il Re di Francia, seguito e fineLa leggerezza e l’eleganza di un minuetto per una partitura ironica e sorniona.
Jean Luc Benoziglio, formidabile manipolatore del linguaggio nella forma dell’antiromanzo, arriva nelle librerie italiane con “Il Re di Francia, seguito e fine” per i tipi delle Edizioni Casagrande di Bellinzona.
Proprio attraverso la demistificazione del racconto tradizionale – il narratore è tanto accurato quanto inattendibile – Benoziglio ci consegna una Svizzera distopica nella quale, sulle rive di un minuscolo villaggio sulle rive del Lago di Ginevra, arriva a scontare un (improbabile) confino, nientemeno che Sua Maestà Luigi XVI: finito in realtà, nel gennaio 1793, sulla ghigliottina di Piazza della Rivoluzione, oggi, per l’ennesima astuzia della storia, intitolata alla Concordia.
Già l’esergo, con la citazione da Luciano di Samosata – sorta di divertente captatio auto-celebrativa e al contempo spia narrativa programmatica – appare funzionale ad una storia che vuole sembrare epica (e che lo è…) non fosse altro che per lo stile anaforico, avvolgente e - nonostante l’aplomb stilistico finemente illuminista - sardonica: il ghigno raffinato dell’autore si sprigiona da ogni pagina e lungo i cinque anni di vita supplementare che Benoziglio immagina per Luigi Capeto.
In questa compassata, divertente e atipica cronaca a posteriori in cui invenzione e accurata ricostruzione storica, menzogna canagliesca e austero resoconto trovano un equilibrio nella logica assurda della fantastoria - una fantastoria discreta e quindi assai subdola perché possibile… - il lettore si trova immediatamente a suo agio, nonostante le nebbie di Saint Saphorien, luogo sospeso nel tempo e nell’umidità che accoglie l’esilio, questa specie di “morte bianca”, comminato a Luigi Capeto dalla Convenzione e paesello dove la “Rivoluzione si era fermata sulla soglia”.
Già l’ex abrupto del vertiginoso incipit, insieme a tutta una serie di suggerimenti (E non rientra nella nostra etica concedere la parola, per renderci interessanti e assecondare qualche vanagloria, a coloro  che all’epoca dei fatti qui riportati non erano ancora venuti al mondo..) hanno il compito di presentare antifrasticamente il giovane sovrano in cui l’impenetrabile faceva a gara con l’indolenza.
Abbandonato dalla real famiglia (Senza risalire agli Atridi - chiosa deliziosamente l’io narrante - la famiglia è il peggior covo di vipere…), costretto ad abitare una stamberga abbandonata, nonostante la pompa magna dell’iscrizione, Io e la mia casa adoriamo l’Eterno (forse perchè situata proprio di fronte al cimitero…), il povero ex-sovrano si ritrova a condurre una vita in disparte, spingendo i suoi giorni nel vuoto dell’unica locanda se si esclude il montare e riparare serrature e lucchetti (l’arte del magnano, oh, che occupazione plebea!), godere del paesaggio (si fa per dire) e accettare un invito a cena poi rivelatasi catastrofica e che è tra le pagine più irresistibili del romanzo.
Nel contrappasso della scrittura di Benoziglio, Luigi XVI appare l’ombra del sovrano forsennato che aveva illuso i monarchici costituzionali, screditato l’Assemblea Nazionale e tentato, alla fine, di fuggire a Metz. Ce lo ritroviamo invece a passeggiare sul balcone, con l’immancabile parrucca, a leggere resoconti di viaggio, a consultare mappe geografiche, intento agli studi di fisica e di chimica nella sua umillima dimora che solo la presenza di Aline, graziosa, timida e avvampante piccola Aline, rende meno tetra. Il sadismo della burocrazia bernese – che Benoziglio insieme alla Svizzera scudiscia con inesausto sarcasmo: la Svizzera, a parte i mercenari, si chiede a un certo punto, è anche un paese? - gli vieta pure la caccia, sua grande passione e, dulcis in fundo, un concerto a Montreux: la nostalgia dell’adagio del secondo movimento del Concerto in La maggiore di Mozart avrebbe inseguito il monarca esiliato per sempre.
Insomma ci si annoierebbe a morte su quelle sponde elvetiche, non fosse per alcune macchiette davvero straordinarie che oscillano dalla compostezza del notaio Roland alla prosopopea del dottor Meillerie, dalle sfumature repubblicane del maestro Fontanet, fino al disprezzo giacobino, o quasi, di Jaccoud.
In un clima tanto gelido (meglio: scostante) al povero Capeto, questo ci-devant mite e discreto, non resterebbe che fare da spaventapasseri alle vigne, non fosse appunto per i siparietti ammiccanti e simpatici della spigliata servetta, sorta di protagonista di un romanzo parallelo, di un testo fantasma che può prendere il posto di quello reale: di un romanzo che, se non deve essere redatto, deve almeno essere scoperto o ritrovato: ah, se il Beaumarchais che va a trovare Capeto avesse scritto Il Recluso di Saint Saphorin…


“Il Re di Francia, seguito e fine” è dunque un libro godibilissimo, nel quale la girandola di personaggi (anche storici) e di situazioni (anche anacronistiche) ruotano attorno al protagonista come un satellite intorno al suo astro: e la lettera vergata dal re in persona è un vero e proprio coupe de theatre che si autorivela mistificante bluff nella firma di Luigi Capeto, pensionato (il corsivo è nostro); un libro in cui i ministri (e Turgot, nientemeno!) appaiono in sogno al sovrano e nel quale Benoziglio cita Chenier e Moliere e, senza disdegnare Joyce, Queneau e Perec, mentre lo spirito di Sterne aleggia piacevolmente, impasta una sestina di Voltaire (?), inframmezzando il latino con il francese curiale, Erodoto e Napoleone.
Grande merito anche alla traduttrice Maurizia Balmelli che si è fatta carico di un compito arduo: tradurre in italiano una narrazione policroma, restituendo nella maniera più credibile l’energia di uno stile inimitabile.

Giuseppe Condorelli
condorg@tiscali.it





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