Alcune riflessioni sulla femminilizzazione del corpo docente - convegno UCIIM, La Scuola: Singolare Femminile?
Data: Giovedì, 05 aprile 2012 ore 07:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Tra tutte le variabili che intervengono nella spiegazione dei risultati conseguiti dagli studenti, il profilo degli insegnanti è quella che conta di più: le conoscenze prodotte dalle indagini scientifiche svolte su quest’argomento sono tutte concordi. Abbiamo in mano un grande potere. I docenti italiani sono un esercito: poco meno di 700.000 persone. Un esercito di persone che forma le menti di intere generazioni, e quindi è in grado di plasmare un Paese.
E’ donna più dell’81% degli insegnanti: la seconda quota più alta dei Paesi europei, dopo l’Ungheria. La percentuale è del 99,6% nella scuola dell’infanzia, del 95,4% nella primaria, del 75,6% nella secondaria di I grado, del 59,4% nella secondaria di II grado. All’Università le percentuali sono assai più ridotte, e diminuiscono sensibilmente col progredire nella carriera. Anche tra i dirigenti scolastici le donne sono in minoranza: 39,7%. Si tratta, com’è evidente, di dati inversamente proporzionali alle retribuzioni.
I laureati maschi in Scienze della Formazione sono costantemente calati nell’ultimo decennio, fino a toccare nel 2009 quota 12%. E’ un calo che, seppur in misura inferiore, si registra in tutte le facoltà umanistiche.
Va detto anche che spesso per molti uomini la scuola è una sorta di secondo lavoro: ci sono insegnanti-ingegneri, insegnanti-architetti, insegnanti giornalisti-scrittori, ecc. Insegnare per le donne è invece in genere il primo lavoro; nella scuola realizzano la loro identità pubblica.
Quali sono le ragioni di questa lontananza, fisica o psicologica, dei maschi dall’educazione?
C’è chi ha parlato della persistenza storica di modelli ottocenteschi, quando nacque la figura della maestra per consentire alla donna che non poteva o voleva essere solo madre di istruirsi e svolgere una professione di cura, adatta a lei, lontana dagli interessi forti e dalle posizioni elevate riservate agli uomini. C’è chi ha parlato di persistenza di un virilismo che ritiene antitetico alla virilità tutto ciò che ha a che fare con l’infanzia - regno della fantasia, dell’indeterminatezza, della fragilità per antonomasia.
E’ possibile abbozzare anche un’altra spiegazione: nel nostro Paese il ruolo dei docenti è sempre stato retribuito male, nonostante la retorica connessa alla delicatezza del loro compito (e va sempre peggio). Questo ha sempre scoraggiato l’accesso maschile, in un Paese dove permane l’idea che l’uomo sia il “breadwinner”, che debba guadagnare il pane per la famiglia, mentre la donna svolge, al limite, un lavoro di supporto, cui è possibile rinunciare in caso di necessità familiare.
In tempi più recenti va aggiunta e correlata la perdita di prestigio sociale del ruolo docente (e della cultura nel suo complesso), che è registrata da molti indicatori: non ultimo l’atteggiamento complessivo delle classi dirigenti, talora al limite dello scherno.
Eppure la presenza di figure educative di entrambi i generi e dei due codici in tutti i livelli di educazione scolastica e prescolastica offrirebbe a bambini e bambine la possibilità di acquisire una maggiore complessità di visione del mondo, per stili di vita, emotività, fisicità, comunicazione. La dualità dell’esperienza umana è un dato ineludibile con cui misurarsi: componenti biologiche, componenti sociali, educative e culturali e componenti soggettive (anche inconsce) vi si intrecciano. La perdurante assenza o marginalità del maschile nell’educazione familiare e scolare non è privo di conseguenze.
Uno stereotipo che colpisce le insegnanti (e che spesso esse stesse hanno introiettato) è quello che le donne abbiano un certo tipo di “natura” che le porta a essere più dolci, comprensive, portate a scusare gli alunni, perché questo vuol dire essere “femminili”. Nel mammismo mieloso agisce lo stereotipo della “grande mamma mediterranea”, che si trasforma in professionista ma è tenuta a comportarsi da mamma anche dietro la cattedra.
Non è vero per tutte, ma in parte coglie nel segno: l’indebolimento della relazione insegnamento-apprendimento ha fatto sì che spesso il canone pedagogico della comprensione degradasse in forme di benevolenza a buon mercato, che non aiutano né la crescita intellettuale né la maturazione  psicologica delle ragazze e dei ragazzi.
Ci si poteva aspettare, per altro verso, che una presenza così massiccia di donne introducesse nelle discipline una nuova epistemologia, non più a carattere androcentrico; che portasse ad un approfondimento degli studi di genere; che inducesse nella cultura diffusa un superamento degli stereotipi di genere.
Né l’una né l’altra strada sono ancora così praticate, da diventare fenomeni di massa: eppure è noto che l’identità di genere si costruisce, non è un dato “naturale”. Gli stereotipi di mascolinità e di femminilità, facili categorizzazioni, semplificazioni antiche con cui la società condivide e stabilisce comportamenti appropriati per l’uomo e la donna, sono radicati nella cultura diffusa e vengono ancora trasmessi quasi per inerzia dalle agenzie di socializzazione, scuola compresa. E’ una lacuna grave.
Noi donne, che siamo la maggioranza degli  insegnanti, che siamo le protagoniste di questo processo che plasma l’identità sociale di un popolo, forse per prime non siamo abbastanza consapevoli e abbastanza orgogliose del nostro ruolo. Non dobbiamo permettere che la stima sociale nei confronti della donna nella scuola  scenda a livelli che non rendano sufficiente giustizia al nostro impegno e all’importanza del nostro lavoro. Dobbiamo reagire non con le recriminazioni, ma introducendo sguardi nuovi, approcci visibili a un modo diverso di declinare i saperi e le relazioni.
Sarebbe necessario denaturalizzare lo storico, dubitare dell’ovvio, mettere in discussione sia le nostre azioni che il modo col  quale ci relazioniamo con la tradizione dei nostri saperi e con le gerarchie di genere che essi comportano: per essere produttrici e non prodotti di cultura. Una lettura gender sensitive, attenta agli aspetti di genere, è applicabile a qualunque branca delle scienze sociali, storiche, giuridiche, psicologiche e letterarie, ed è attualmente praticata anche in altri settori: perfino la medicina.
L’istruzione costituisce la prima palestra di democrazia. Si tratta di un’autentica matrice dei comportamenti dell’essere umano, del tessuto relazionale che forma la società. E’ nella scuola che s’incontrano i maschi e le femmine, che si incrocia per la prima volta il corpo del diverso. Qui giochiamo una grande scommessa: l’educazione alla differenza.
A partire da queste riflessioni riteniamo utile suggerire interventi non occasionali ma sistematici a scuola, lungo dimensioni finalizzate a promuovere una cultura dell’uguaglianza nella differenza e a prevenire la violenza di genere:
- costruire epistemologie anche al femminile, attraverso la declinazione delle discipline in un’ottica di genere;
- conoscere le culture riferite al genere e sviluppare una consapevolezza su di esse, sulle criticità e sulle linee di sviluppo endogene delle culture stesse;
- intervenire per mettere in discussione e destrutturare stereotipi sessisti, presenti soprattutto nei mass media ma non assenti nemmeno nei testi scolastici;
- offrire la possibilità di confrontarsi con ogni identità.
Disponiamo di una ricca bibliografia in materia; dei riferimenti normativi appropriati in campo europeo; di percorsi didattici articolati; dei riferimenti alle tante esperienze e ai progetti di gruppi di insegnanti che in tutta Italia si dedicano da tempo con entusiasmo a questo cambiamento di prospettiva.
E’ tempo di condividere tutto questo, di mettere in rete le competenze di ciascuna al servizio di tutte.

Graziella Priulla
Facoltà di Scienze Politiche di Catania





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