Non Chiamateli Giochi: gli Scacchi
Data: Luned́, 02 aprile 2012 ore 09:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Tra i giochi tradizionali degni d’attenzione un posto d’onore lo meritano senz’altro gli Scacchi. Strettamente collegati alle diverse discipline scolastiche si sono facilmente inseriti, in tandem con la Dama, nell’iter formativo quali “sport a scuola”, offrendo a molti studenti occasioni di crescita umana e civile e di uso intelligente del tempo libero. È pressoché riconosciuto che chi pratica queste discipline acquisisce, in generale, maggiore capacità di concentrazione e potenzia senza sforzo le caratteristiche elaborative del cervello con notevoli effetti benefici anche in altri campi, come l’organizzazione del proprio lavoro o l’apprendimento delle materie scolastiche.
In un mondo sempre più globalizzato e tecnologico ma diviso dalla prospettiva dello scontro di civiltà, la natura trascendente del gioco degli scacchi mette insieme Oriente ed Occidente. Protagonista di una lunga staffetta tra popoli, l’origine del gioco è tuttora oggetto di studi e di controversie. Molti storici concordano che fosse conosciuto in India nel VI secolo d.C., sotto il nome di Chaturanga (quattro parti di un tutto): la scacchiera era già 8x8 ma si giocava in quattro, talvolta con i dadi, e non tutti i pezzi muovevano come oggi. Successivamente il gioco passò in Persia assumendo il nome di Chatrang, Gli Arabi lo appresero dai Persiani nel periodo della loro espansione e lo chiamarono Shatranj (dal persiano Shah, gioco dei “Re”). Con le invasioni moresche dell’Europa insulare e della Penisola Iberica, gli scacchi approdarono in Occidente tra il IX e il X secolo, diffondendosi intorno al Mille in tutta l’Europa, dapprima nelle corti, poi con la nascita dei primi giocatori professionisti. I religiosi furono grandi propagatori del gioco, nonostante tra il XII e il XV secolo alcuni concili cercarono di ostacolarne la diffusione. Il gioco attraverserà così tutta l’Età Moderna sino a giungere al primo torneo internazionale, organizzato da Howard Staunton a Londra nel 1851, e vinto dal tedesco Adolf Anderssen. Di lì a poco verrà organizzato il primo campionato del mondo, vinto nel 1886 da Wilhelm Steinitz: è l’inizio degli scacchi moderni.
Gli scacchi si giocano su una tavola quadrata, detta scacchiera, divisa in 64 case organizzate in 8 righe, dette traverse, ed 8 colonne. Ciascun giocatore dispone di un insieme di 16 pezzi, composto da (in ordine teorico di importanza crescente): i Pedoni (8), i Cavalli (2), gli Alfieri (2), le Torri (2), la Donna (1), il Re (1). Ogni pezzo si muove secondo precise modalità. Nessun pezzo può occupare una casa in cui è presente un altro dello stesso schieramento, è invece permesso catturare qualsiasi pezzo avversario, ad esclusione del re, occupandone la casa. Scopo degli scacchi è dare “scacco matto”, manovra che consiste nell’intrappolamento del re avversario: non essendo consentita la cattura del proprio re, quando lo stesso è minacciato (ovvero è “sotto scacco”) deve essere effettuata una mossa che pari la minaccia, ossia impedisca all’avversario di catturarlo alla mossa successiva; se il giocatore non può sottrarre il re dall’attacco si tratta di scacco matto e la partita termina con la vittoria dell’avversario.
Gli scacchi possiedono, oltre al naturale aspetto di competizione intellettuale, una precisa connotazione simbolica, frequentemente usata come metafora della vicenda umana. Il gioco è impregnato di simboli e metafore che da sempre hanno ispirato artisti, pittori e letterati. La celebre partita del cavaliere Block contro la Morte, descritta magistralmente dal regista svedese Ingmar Bergman ne Il Settimo Sigillo, ha un esito immodificabile ma ciò che conta non è l’impossibile vittoria finale bensì il gioco in sé, poiché finché la partita procede il cavaliere è vivo. Per Bergman, il succo della dignità umana non sta nell’aspettare passivamente che gli eventi accadano ma nell’opporvisi fermamente, sia pure in una lotta impari. In ambito politico, la Rivoluzione Russa ed il conseguente interessamento del Regime Bolscevico fecero la fortuna degli scacchi tra la prima e la seconda guerra mondiale. La Guerra Fredda consolidò questa fortuna: l’intero mondo divenne una scacchiera su cui le due superpotenze giocavano le loro mosse.
Diversamente dalla politica, nel mondo scolastico giochi come la dama o gli scacchi permettono agli studenti di sperimentare nuove strategie di apprendimento, gettando le basi di quelle che saranno le strutture del pensiero logico-deduttivo. La damiera/scacchiera costituisce un eccellente campo per far affrontare ai ragazzi attività di risoluzione di problemi e di costruzione di piani d’azione, tradizionali temi di interesse della scienza cognitiva, oltreché potenziale strumento per il recupero di soggetti con difficoltà di apprendimento. L’acquisizione delle rispettive tecniche di gioco concorre infatti alla formazione globale dell’individuo, stimolando la logica, l’immaginazione, la memorizzazione, l’attenzione e il pensiero analitico, nonché la creatività e la consapevolezza del giusto rapporto causa-effetto.
In una società sempre più proiettata verso l’uso delle nuove tecnologie diventa indispensabile la presenza di quei giochi tradizionali che “servono” per crescere, la cui promozione nelle scuole assume una doppia valenza: didattico-educativa e ludico-sportiva, proponendosi come rinnovato centro d’interesse per i più giovani.

Christian Citraro
www.homoludens.it





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