Affari di cuore
Data: Domenica, 01 aprile 2012 ore 08:30:00 CEST Argomento: Redazione
Siamo insieme al Chiar.mo
Prof. Domenico Grasso, membro del Direttivo Provinciale catanese
dell’A.I.D.O. (Associazione Italiana Donatori di Organi), Professore
aggregato presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università di Catania, Ricercatore, e, dal 1997, autorizzato a far
parte dell’équipe trapianto di cuore della Cattedra di cardiochirurgia
della stessa Università, al quale rivolgiamo qualche domanda
sull’importanza di donare organi, provando anche ad allontanare i
pregiudizi che orbitano attorno all’argomento.
Mio amico, cosa significa per te
essere medico e soccorrere chi ha bisogno di nuovi organi per
continuare a vivere?
«Il mio lavoro (cardiochirurgo) mi porta a vivere ogni giorno in
contatto con persone che soffrono di gravi patologie cardiache e che
debbono sottoporsi ad interventi ad alto rischio che si rendono conto
che potrebbero anche non superare. Ciò è ancor più vero per i pazienti
che debbono sottoporsi ad un trapianto di cuore e che sanno che da un
lato hanno solo poco tempo da vivere senza il trapianto e dall’altro
che l’intervento implica importanti rischi».
Quando hai compreso che questa
professione in realtà era la tua vera vocazione?
«Già nei compiti in classe alle elementari scrivevo che volevo
diventare medico ed alle superiori che la mia aspirazione era diventare
cardiochirurgo. Pertanto è stato per me naturale iscrivermi in Medicina
dopo la maturità classica e sono stato fortunato di poter coronare il
mio sogno e specializzarmi nel 1991 in cardiochirurgia».
L’A.I.D.O. in quale anno è nata e per
merito di chi?
«Nel 1971 venne creato a Bergamo il DOB (Donatori Organi Bergamo), ad
opera di Giorgio Brumat, che poi, il 26 febbraio 1973, venne
trasformato in AIDO (Associazione Italiana Donatori Organi), che si è
poi diffusa in tutta Italia ed oggi conta oltre 1.200.000 iscritti, di
cui oltre 41.000 in Sicilia».
Chi può donare e di quali organi c’è
più carenza in rapporto alla richiesta?
«Gli organi possono essere donati da pazienti in morte cerebrale, ma
per alcuni è possibile anche la donazione da vivente come il rene, una
porzione del fegato e del polmone, ed il midollo osseo. Ovviamente
il donatore non deve avere malattie che possono essere trasmesse al
ricevente quali infezioni (AIDS, epatite B e C) e neoplasie. Per tutti
gli organi c’è una notevole discrepanza tra numero di pazienti in lista
d’attesa e numero di trapianti effettuati ogni anno, basti pensare che
in Italia sono in lista d’attesa, per trapianto, quasi 10.000 persone,
mentre ogni anno vengono effettuati circa 3.000 trapianti».
Una delle principali remore alla
generosità del donare resta il dubbio del possibile risveglio dal coma
cerebrale. Ci vuoi spiegare perché dal punto di vista scientifico
questa teoria non regge?
«Vi sono tanti gradi di coma e solo nell’ultimo si configurano le
condizioni di morte cerebrale in cui si ha assenza di tutti i riflessi,
assenza di tono muscolare, assenza di attività respiratoria dopo aver
staccato il respiratore ed infine “elettroencefalogramma piatto”, cioè
assenza di attività elettrica cerebrale. La comunità scientifica
internazionale è pienamente concorde sulla diagnosi inconfutabile di
morte cerebrale e posso anche dire che in passato è stato effettuato
uno studio multicentrico su circa 2.000 pazienti in morte cerebrale che
erano stati mantenuti in rianimazione senza procedere al prelievo degli
organi: di questi nessuno era sopravvissuto più di qualche ora o
qualche giorno in quanto la morte cerebrale aveva determinato uno
sconvolgimento nell’attività di tutti gli organi fino all’arresto
cardiaco».
Un organo donato per quanto tempo può
rimanere in attesa di essere trapiantato?
«Ogni organo ha un diverso tempo d’ischemia, cioè di tolleranza dal
momento del prelievo al trapianto: i reni possono resistere 24-36 ore,
il fegato ed il pancreas 12 ore, il cuore 4-6 ed il polmone 2. E’
comunque necessario che durante tale tempo gli organi vengano
conservati in particolari soluzioni fredde per proteggerli da
eventuali danni».
La Medicina odierna è riuscita a
ridurre il problema del rigetto?
«Il rigetto è una problematica sempre presente dopo i trapianti, tranne
in quelli tra gemelli monovulari (cioè identici), anche se con il tempo
si instaura una sorta di tolleranza immunologica che riduce l’incidenza
degli episodi di rigetto. La terapia antirigetto va comunque praticata
per tutta la vita e diversi sono i farmaci che possono essere
utilizzati come i cortisonici, la ciclosporina, il tacrolimus, il
micofenolato, l’azatioprina ecc. E’ importante inoltre dire che la
medicina ha fatto notevoli progressi per la diagnosi precoce del
rigetto con metodiche quali la biopsia e l’ecografia, in modo tale da
poter intervenire precocemente con protocolli ben codificati».
Sempre a proposito di un eventuale
rigetto, è possibile ripetere l’intervento?
«Nel caso di rigetto irreversibile dell’organo, per il rene, il
paziente può riprendere la dialisi ed eventualmente essere
ritrapiantato, mentre per il cuore ed il fegato si può tentare di
reperire in emergenza un altro organo, ma comunque i risultati del
ritrapianto sono molto meno soddisfacenti rispetto al primo intervento».
Ma quand’è che un trapiantato, che ha
subito un’operazione delicata, può ricondurre una vita normale?
«Dipende molto dalle condizioni cliniche del paziente prima del
trapianto, cioè se aveva patologie di altri organi. Comunque nell’arco
di qualche mese il paziente può riprendere una vita completamente
normale, anche se si deve sottoporre a periodici controlli presso il
centro dove è stato effettuato il trapianto. Esistono campionati
mondiali sportivi dei pazienti trapiantati, a dimostrazione che tali
pazienti possono effettuare anche attività sportiva a livello
agonistico».
Che cosa sono i tessuti ossei e in che
proporzione si possono donare?
«Possono essere donati cartilagini, ossa, laringe, tendini e muscoli».
Secondo la tua esperienza di medico e
come esponente dell’A.I.D.O. perché la cultura delle donazioni fa
fatica ad essere recepita nella nostra società?
«Purtroppo gli sforzi dell’AIDO e delle altre associazioni sono spesso
vanificati da informazioni distorte che possono talvolta dare i mass
media (scoop come “si risveglia dal coma con la musica” ecc.) e
pertanto dobbiamo continuamente lottare contro la disinformazione, i
pregiudizi e lo scetticismo della popolazione».
Che sensazione si prova in quei
momenti che, per me, rappresentano la speranza di vita e la morte?
«Certamente quando si organizza e si effettua un trapianto ci si rende
conto che bisogna eseguire tutto alla perfezione, evitare ogni errore
ed ogni contrattempo, prevedere ogni imprevisto, essere coordinati e
perfettamente sincronizzati perché dal nostro comportamento dipende il
buon esito dell’intervento e la guarigione del paziente».
Oltre al trapianto dalla mano,
risalente a qualche anno fa, ci sono altri interventi innovativi?
«Già da qualche anno si effettuano anche i trapianti di faccia,
parziali o totali, ma la medicina continua a fare ogni giorno progressi
nei trapianti di organi e tessuti».
Parleresti alle mamme gravide
dell’importanza di donare il cordone ombelicale?
«Al momento del parto le mamme possono donare il cordone ombelicale,
che altrimenti andrebbe distrutto con la placenta, perché tante
malattie possono essere trattate efficacemente con le cellule
staminali, presenti in gran numero nel cordone ombelicale. In futuro si
potrà arrivare anche a conservare per ogni bambino il suo cordone
ombelicale in modo da ottenere eventualmente in laboratorio, quando e
se necessario, un organo completo da trapiantare».
Ed invece, visto che con te me lo
posso permettere, dato che sei uno spirito alto e nobile, ti chiedo
quanto può essere curativo per la persona ammalata ricevere un sorriso
da voi medici?
«E’ senz’altro vero che noi medici non curiamo solo il corpo ma anche
la mente dei pazienti, che non sono quindi solo dei numeri o delle
patologie, bensì esseri umani con le loro paure, le loro debolezze e le
loro speranze. Pertanto è importantissimo ascoltarli, rassicurarli ed
offrire loro quello che si aspettano da noi».
Grazie di vero
cuore, carissimo Professore, è stato un vero piacere conversare
con te.
Arcangelo
Signorello
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