Ancora un successo per la Compagnia Zappalà Danza di Catania. Concluse a Scenario Pubblico le repliche di ''Silent as...''
Data: Domenica, 01 aprile 2012 ore 07:00:00 CEST Argomento: Redazione
Catania.
Il silenzio è la curvatura massima della parola. E’ una postura
asimmetrica, l’in/caedere di corpi, pioggia finissima di riso, ritmo
d’acque assordanti. Roberto Zappalà e Nello Calabrò, pur discostandosi
dal progetto di re-mapping dell’immaginario isolano e mediterraneo,
innestano un’altra inaspettata quanto profondissima riflessione
estetica, ricollocando con “Silent as…”,
nello spazio performativo di Scenario Pubblico, l’archetipico Ulisse
degli spettacoli precedenti all’interno del loro immaginario estetico e
drammaturgico.
Ed è proprio il silenzio ad evocare anche l’eroe greco: non tanto per
l’ovvio e antifrastico riferimento al kafkiano “Silenzio delle sirene”
cui lo spettacolo, a posteriori, si ispira, quanto nell’immagine degli
otto danzatori (Gaetano Badalamenti, Jan Brezina, Francesco Colaleo,
Maud de la Purification, Liisa Pietikainen, Roberto Provenzano,
Fernando Roldano Ferrer, Ilenia Romano) ulissidi che quasi
ricostruiscono con i loro corpi i versi de “L’isola delle sirene” di
Rilke: …ed alla cieca premono sui remi, / come accerchiati / da quel
silenzio che tutto lo spazio / immenso ha in sé e nelle orecchie spira
/ quasi fosse la faccia opposta del silenzio / il canto cui nessun uomo
resiste.
Dunque per Roberto Zappalà Il silenzio è principio, respiro e carne,
alfabeto infinito. Ma il silenzio è anche l’ascolto, lo spazio non
ordinato della parola, pura potenzialità: in questo senso ogni singolo
corpo danza il proprio irripetibile silenzio e il gesto, ogni gesto –
seppure sorretto da una calligrafia coreografica suggestiva e impervia
– lo stesso spettacolo, sono una sorta di brain-storming accecante.
Il silenzio è però anche tragedia, dolorosa storia collettiva: e in
essa la felicità - come scriveva Hegel - è una pagina vuota e silente.
“Silent as” contrae fino al paradosso questo assunto rovesciandolo
sugli orrori indicibili del male: dal silenzio innevato di Auschwitz
alle woodblocks, le voci registrate dei naufraghi sopravvissuti in “The
sinking of the Titanic” di Gavin Bryars fino a quello su cui
s’incidono, sanguinando, le voci delle donne di Gaza. Ma il silenzio -
e qui lo spettacolo innesca l’ennesima metalettura (questa volta
suggerita dai versi di Lars Gustafsson) - è quello “del mondo prima di
Bach” cui allude l’Aria sulla quarta corda delle sequenze finali. Così,
pur contemplata e agita nella quasi totale assenza di suoni, la
performance di “Silent as…” è scandita da alcune significative scelte
sonore: e se la vox gutturale di James Early Jones che recita i versi
tenebrosi del “Corvo” di Poe è una traccia solida che trapassa la
scena, tutte le suggestioni di un silenzio assordante scolpito nei e
dai corpi rimangono comunque intatte nella dimensione dilatata dello
spazio e della memoria. Foto di
Gianmaria Musarra.
Giuseppe Condorelli
condorg@tiscali.it
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