La nave delle spose di Lucia Sardo ed Elvira Fusto al Verga di Catania
Data: Domenica, 18 marzo 2012 ore 21:30:00 CET
Argomento: Redazione


la nave delle sposeIlfuturo è una foto seppiata e una lettera di matrimonio per procura. Ilfuturo è l’America, o il suo miraggio, che sul palco del Verga diCatania prende forma con “La nave delle spose”,la novità assoluta, prodotto dallo Stabile etneo, scritta a quattromani da Lucia Sardo ed Elvira Fusto. Anzi, il futuro sono quella nave el’oceano che accoglie otto donne, nell’illusione di una vita “altra” inuna terra di meraviglie. Articolato lungo tre momenti – la partenza, ilviaggio, il naufragio – l’atto unico aggruma le voci di otto donne inun contraltare di toni e di motivi, di linguaggi e di suoni che nonsempre appaiono sorretti da una vera e propria vis narrativa, incarnatasulla scena dalla stessa Lucia Sardo: e quando le musiche tentano didare loro ulteriore voce, sembrano invece spegnerle quasi, invadendo lascena.
Certo, affiora la potenza di alcune vicende e su quelle il lavorodrammaturgico avrebbe dovuto accelerare: l’orfana, la prostituta, lareietta, la muta, la fuggitiva, la suicida, la viaggiatrice, la sposabambina. Il “cunto” di quelle vite è però fragile ed il rapporto trastoria individuale (emancipazione e riscatto) e storia collettiva (la“grande depressione”, il mito americano) si affievolisce; il lorocontrappunto, seppure interessante nel suo intrecciarsi, si sbilanciaverso una frammentazione che non giova all’unita dello spettacolo.
Questo tessuto ibrido, se affonda a piene mani all’interno di unatradizione corposissima dall’altra risulta una evidente evocazione -almeno visivamente – dell’immaginario di “Nuovomondo” di EmanueleCrialese che il tocco della regia di Giuseppe Dipasquale rende ancorapiù fascinoso e variegato. L’impianto scenico freddo ed essenzialediventa infatti lo spazio - ora molo, ora piazza, ora stiva, poi marecrudele - nel quale l’epos del viaggio, delle sua protagoniste e delleloro storie prende corpo e spessore: luogo indifferenziato da cui tuttoè possibile e nel quale sfolgorano i costumi di Marella Ferrera; inquei costumi c’è tutta la Sicilia: l’isola del tombolo e del pizzo, deicorredi pazienti chiusi nei bauli in attesa delle nozze, i “robbi”sciatti del lavoro quotidiano, dunque anche la Sicilia proletaria erurale di ogni tempo. Ad offrire una ulteriore suggestione sono anche imovimenti coreografici di Donatella Capraro che cullano lo spettacolocome se fossero l’eco del rollio della traversata stessa e della naveche, dunque, accoglie e riunisce tutte le protagoniste (i cast èassolutamente all’altezza), nutre i loro desideri e ne prefigura idestini attraverso il capitano-faccendiere (Miko Magistro), sorta diburbero e carontesco burattinaio, un mediterraneo Acab in bilico tradisprezzo e ostinazione, tra una virilità straripante e una larvatatenerezza.
Ma quella nave è soprattutto l’arca disperata che le trascinerà nelleprofondità – nella tempesta finale tanto spettacolare quanto tragica -insieme alla speranza del loro riscatto e al sogno di una vita diversa.L’America, per queste donne, è solo un vestito da sposa negli abissidella storia.
Si replica fino al 30 marzo al Teatro Verga di Catania.


Giuseppe Condorelli
condorg@tiscali.it







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