La formazione che offriamo è astratta
Data: Mercoledì, 14 marzo 2012 ore 14:40:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Enzo Siviero «I giovani si stanno accorgendo che oggi è più facile trovare lavoro da diplomati che da laureati. Le riforme solo organizzative, non di contenuto»

"I ragazzi si stanno accorgendo che è più facile trovare lavoro da diplomati che da laureati". È tranchant, Enzo Siviero, vicepresidente del Consiglio Universitario Nazionale, di fronte ai dati del ministero dell'Istruzione che dicono che solo poco meno del 60 per cento degli studenti diplomati si iscrivono all'università.
Non è solo il fatto che con la laurea non si trova più lavoro. Siviero spiega anche che "andare all'università è diventato costoso, e le famiglie non se lo possono permettere". Ma il problema del lavoro è centrale.

Rappresenta forse questo il fallimento dell'università italiana?
«Ritengo che il livello di preparazione dei laureati di oggi sia minore di quello di una volta. L'università oggi fornisce una preparazione più astratta, e meno applicabile al mondo del lavoro, alle circostanze concrete. Per questo, gli studenti hanno bisogno di essere ulteriormente formati dopo la laurea, con master o vari altri tipi di corsi "pratici". Così, un giovane arriva al mercato del lavoro intorno a 26-27 anni, ed è già tardi rispetto a un diplomato, che entra in azienda a 19 anni e può essere impiegato subito, senza la pretesa di avere mansioni dirigenziali. Considerando poi che i laureati non sono più destinati sempre a mansioni dirigenziali».

Perché la riforma delle lauree non funziona?
«Perché tendiamo a portare i ragazzi alla laurea quinquennale, alla fine del 3+2. Ma in molti casi sarebbe sufficiente la laurea triennale. A dir la verità, in molte circostanze subentrano le famiglie, che ritengono che una laurea triennale non è sufficiente come status symbol. Ma è anche vero che sono le lauree triennali ad essere male organizzate, a non essere professionalizzanti».

Quali le soluzioni?
«Un modo di superare il problema sarebbe anticipare - per quanto riguarda il mondo delle materie tecniche - la formazione universitaria all'ultimo anno di scuola superiore. In questo modo, geometri e periti si ritroverebbero a fare un ultimo anno che equivarrebbe al primo di università, e che in questo modo anticiperebbe l'uscita dall'università di un anno. Non è una proposta che lancio senza fondamento: se ne sta discutendo, perché il mondo delle professioni "minori" ha bisogno di essere formato adeguatamente. Anticipare il primo anno prepara a un mercato del lavoro tecnico, che è quello di cui si ha bisogno oggi, dove c'è ancora domanda».

E per quanto riguarda le materie umanistiche?
«In quel caso necessariamente ci si laureerà più avanti negli anni. Anche perché con una laurea umanistica quali sono gli sbocchi? La scuola è satura, ci sono decine di migliaia di persone che devono essere sistemate. Raramente un laureato nelle materie umanistiche viene assunto da qualche azienda, anche se le aziende cominciano a prevedere l'assunzione di un filosofo e anche se comuni e province dovrebbero servirsi di laureati nelle materie umanistiche. Ma qui si tratta di riformare completamente impianto della cultura italiana. Ad esempio: i Beni Culturali avrebbero bisogno di laureati in Beni Culturali, ma chi investe su questo tipo di laurea, e soprattutto perché questa laurea potrebbe avere sbocchi? Si dovrebbe investire maggiormente in cultura, ma colpisce il fatto che il manifesto per la Cultura è stato lanciato dal Sole24Ore, il giornale di Confindustria. Perché un giornale economico lancia un manifesto sulla cultura? Qui c'è uno spostamento di valori da soggetti che dovrebbero essere preposti e non se ne occupano».

La riforma universitaria non è dunque servita a nulla?
«In realtà, il cambiamento che è stato fatto è solo un cambiamento organizzativo, non di contenuti. È un cambiamento che riguarda il reclutamento dei docenti, le valutazioni. Ma la riforma va fatta in modo diverso, con obiettivi formativi ben precisi, mirando a immettere gli studenti direttamente sul mercato. Non è da sottovalutare il problema dei docenti. Molti di loro lasciano molto a desiderare, stiamo scontando il '68. Eppure, nonostante tutto, l'università italiana è molto meglio di come la dipingono. Solo che i migliori laureati se ne vanno, se li prendono le industrie all'estero».



Andrea Gagliarducci
La Sicilia





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