I perché dei bimbi chiave del futuro
Data: Lunedì, 20 febbraio 2012 ore 11:27:48 CET
Argomento: Rassegna stampa


scuola primaria Il «rinascimento scientifico» degli Stati Uniti partirà dai banchi delle scuole elementari. Così Barack Obama, seguendo le indicazioni dello scienziato indiano Priya Natarajan, annuncia il suo ambizioso piano di rinascita scientifica e culturale degli States che inizierà con l'assunzione di centomila nuovi professori di matematica nelle scuole elementari. «Volete che vostro figlio sia uno scienziato? Cominciate a prepararlo dalle elementari».
Questa sembra essere l'unica strada per rendere l'Occidente in declino competitivo di fronte all'incredibile sviluppo scientifico delle nazioni asiatiche, e devo dire che l'idea sembra davvero molto seducente. Formare sin da piccoli i bambini al pensiero scientifico in un ottica di alta competitività può essere davvero una soluzione efficace per risollevare le sorti dell'Occidente in declino. Se fossi un cittadino americano avrei una sola domanda da porre al presidente Obama: «Una volta educate le nuove generazioni al pensiero scientifico in nome della competitività globale, siamo sicuri che i nostri figli saranno in grado di immaginare un mondo diverso dal nostro, un mondo migliore?».

Un pomeriggio d'autunno di molti anni fa chiesi a mia madre se crescere sarebbe stato difficile. Avevo più o meno otto anni e non riuscivo davvero ad immaginare come sarei stato da grande. Mia madre non rispose, mi diede un bacio sulla fronte e mi sorrise dolcemente. Ma da quel giorno continuai a fare domande e ad immaginare come sarebbe stato il mondo da grande. Immaginavo che sarebbe stato diverso e credevo che, attraverso tutte quelle mie domande, che agli adulti di certo potevano sembrare frutto della mia fantasia di bambino, avrei potuto immaginare un mondo nuovo. Credo sia stato così che ho imparato a sognare il futuro e a coltivare la speranza di poter contribuire con la mia fantasia, anche se in minima a parte, alla costruzione di un mondo un po' migliore.

Da adulto, giusto qualche mese fa, ho riscoperto un autore che è stato fondamentale per la mia infanzia e grazie a cui non ho mai smesso di fare le mie strane sul mondo: si tratta di Gianni Rodari. Mi è capitato per caso tra le mani uno dei suoi libri più belli «Il libro dei perché» ripubblicato da Einaudi nel 2011, dove sono raccolte le risposte alle domande che i bambini inviavano alla sua rubrica pubblicata su un quotidiano nazionale.

Il maestro di Omegna si rivolge così ad un suo piccolo lettore che gli domandava «perché si danno i nomi ai fiori?».
«Ho rubato una rosa
al padrone di casa.
La primavera fa l'uomo ladro.
Ma poi, dov'è il delitto?
A una rosa profumata
Tutti abbiamo diritto:
ho pagato l'affitto,
ma la rosa l'ho rubata»

«La morale della storia - conclude Rodari - non è che si possono rubare i fiori: guai! E' invece questa: che non si vive di solo pane, e che tutti hanno diritto di desiderare un po' di felicità». Dopo avere riletto questa breve filastrocca mi chiedo a cosa serve educare i bambini alla competitività e al pensiero scientifico, se poi non siamo in grado di ascoltare le loro domande e di sognare assieme a loro un mondo migliore. Mi viene allora il dubbio che prima di riformare la pedagogia e i programmi delle elementari sarebbe assolutamente necessario trovare un modo per imparare ad ascoltare la voce dei nostri figli e per far sì che le nostre parole accompagnino le loro nel pensare un mondo nuovo, che oltre ad esigere la competitività sugli scenari globali si chieda se possiamo ancora desiderare un po' di felicità.

Tommaso Garufi
La Sicilia





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