Gli Organi Collegiali sono organi di gestione, non di partecipazione
Data: Giovedì, 16 febbraio 2012 ore 11:00:00 CET
Argomento: Redazione


Giuseppe Richiedei Si dice comunemente che gli Organi Collegiali sono organismi di partecipazione dei genitori, quando la normativa non li definisce affatto in questo modo, ma li costituisce come “organi di gestione partecipata della scuola”. Sono “Organi istituzionali dello Stato”, di cui il rappresentante dei genitori  fa parte alla stregua del dirigente per gestire gli interessi generali dell’intera comunità scolastica e civile, con precise competenze e funzioni. Non sono dei semplici tavoli di rappresentanza delle componenti, per raccogliere le loro proposte o le loro opinioni.
Il dirigente e i rappresentanti dei docenti, degli studenti, del personale ATA e dei genitori sono eletti in questi organismi per prendere decisioni organizzative, didattiche e finanziarie, perseguendo non l’interesse della propria parte, ma l’interesse generale dell’istituzione pubblica, come a dire la qualità del servizio, che promuova al meglio l’istruzione e l’educazione degli allievi.
Il genitore, essendo componente di un organismo statuale, prende parte alle decisioni  in veste di portatore di una responsabilità generale nei riguardi delle nuove generazioni. L’obiettivo del legislatore è stato quello di migliorare il servizio scolastico, affiancando agli organismi  monocratici della tradizione (preside, provveditori, dirigenti, Ministro), gli organi collegiali con compiti di decidere in ordine alla progettazione, all’organizzazione e alla verifica dei risultati raggiunti.
       Purtroppo in questi quarant’anni questa finalità primaria degli Organi Collegiali  non è stata né colta né valorizzata, anzitutto, per la scarsa informazione dei genitori in ordine all’importanza del loro  ruolo istituzionale, per cui sono stati emarginati a compiti riduttivi di proposta e di rappresentanza categoriale. Ai genitori - eletti è mancato, soprattutto, il riferimento al gruppo associativo, che li aiutasse a superare gli atteggiamenti rivendicativi così da identificare correttamente “l’interesse generale della scuola”, in modo che i diritti originari delle famiglie siano armonizzati con  i diritti dei figli e delle istituzioni pubbliche.
Con questo non si intende negare che esperienze corrette e positive di coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica siano state molte ed anche notevoli per qualità e risultati, ma bisogna riconoscere che sono state il frutto non di una strategia culturale ed organizzativa, ma della sensibilità individuale di singoli genitori o dirigenti.
          In questi decenni non si è riusciti a costruire una struttura funzionale ad uno sviluppo corretto della democrazia scolastica, nella distinzione tra gli organi collegiali che appartengono alla democrazia rappresentativa e organi di democrazia partecipativa che sono le associazioni e le assemblee. Un’indicazioni precisa, in questo senso, poteva essere colta fin dagli inizi  nella precisa distinzione che la normativa stabilisce con chiarezza tra organi collegiali e assemblee dei genitori. Purtroppo si è verificata  una grande confusione tra gli uni e le altre, tra le competenze dei primi e le competenze delle seconde, appiattendo il tutto a “partecipazione generica” che non ha inciso, se non marginalmente, nelle scelte di qualità dell’istituzione scolastica.
Una cultura prevaricante ha svuotato di valore istituzionale gli organi collegiali attraverso un’opera di mistificazione della partecipazione diretta più ampia possibile di assemblee e comitati vari, con il risultato che i genitori sono stati emarginati nell’ambito della protesta o nel caso migliore della proposta, senza essere mai  valorizzati nei ruoli gestionali, che le norme assegnavano loro come componenti dei consigli.
     Si è assistito ad un processo di privatizzazione del ruolo di rappresentanza, per cui il candidato, una volta eletto, si è trovato solo a rappresentare se stesso, senza alcun sostegno continuativo da parte dei propri sostenitori e senza alcun vincolo nei riguardi di un programma, legittimato dal consenso dell’elettorato.

Questo contesto incongruente e contraddittorio ha portato molti genitori ad atteggiamenti rivendicativi e di difesa dei propri diritti, veri o presunti. L’istituzione scolastica ha continuato, conseguentemente, ad emarginarli come presenza impropria, arroccata su posizioni di parte, incapace di un’effettiva corresponsabilità nei riguardi degli allievi e della qualità del servizio.
La generalità dei genitori, a sua volta, si è disinteressata della vita scolastica, avendola delegata ai propri rappresentanti, per limitandosi a curare le esigenze del proprio figlio.
Oggi più di ieri, ci si lamenta che i genitori siano travolti da una deriva corporativa di difesa strenua dei propri figli, ma, ad un’attenta analisi non può sfuggire che anche questo fenomeno non è dovuto solo dall’aggressività dei singoli, ma ad un vero e proprio stravolgimento istituzionalizzato.
Infatti fin dalle prime elezioni scolastiche dei consigli a tutti i livelli (di istituto, distrettuali, provinciali e nazionale) i docenti sono stati eletti  per lo più su liste presentate dai sindacati e non dalle associazioni professionali. I sindacati, essendo la precipua espressione di interessi di parte, nello specifico dei lavoratori, hanno portato ad identificare i diritti del dipendente con l’interesse generale della scuola. Nonostante che i sindacati disponessero della disciplina contrattuale e ci fossero in ogni Istituto le loro rappresentanze unitarie (RSU), sono pure  entrati massicciamente anche negli “organi collegiali di gestione”, dove si decide a maggioranza, anche questa riservata per legge al personale scolastico, sul calendario scolastico, sugli orari del servizio, sulle attività da svolgere.
In questa situazione non è difficile cogliere il perché sia così difficoltoso introdurre cambiamenti nella scuola che non siano in qualche modo a favore o per lo meno non contrari agli interessi degli operatori scolastici (scuole aperte, attività opzionali, flessibilità organizzative..) oppure  capire perché non pochi genitori siano portati, a loro volta, a contrapporsi al personale scolastico con richieste spesso improprie, suggerite dal proprio interesse individualistico.
Occorre, invece, ribadire che i docenti, in veste di professionisti esperti, e i genitori in veste di educatori autentici non possono non essere “fautori dell’interesse generali”, la loro presenza nei consigli si legittima nella misura in cui tende alla ricerca continua della qualità dell’insegnamento e dell’educazione da riservare ai minori. C’è bisogno, però, che questo comune ruolo “istituzionale” sia maturato e sorretto nel rispettivo gruppo associativo, dove la tensione culturale e professionale abbia la meglio sui meri interessi di categoria. In questo modo sarà possibile agli eletti di tutte le componenti scolastiche recuperare il senso della rappresentanza di interesse generale e non vincolata al particolare della specifica categoria.
In un’impostazione più chiara e funzionale può diventare più credibile anche la corresponsabilità di famiglia e scuola; la tensione ai comuni ideali educativi, tradotta in comportamenti istituzionali più coerenti, può accrescere il consenso sociale nei riguardi della scuola e ridare nuova vitalità agli organi collegiali.

Giuseppe Richiedei
richiedei@tin.it





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