Gli Organi Collegiali sono organi di gestione, non di partecipazione
Data: Giovedì, 16 febbraio 2012 ore 11:00:00 CET Argomento: Redazione
Si dice
comunemente che gli Organi Collegiali sono organismi di partecipazione
dei genitori, quando la normativa non li definisce affatto in questo
modo, ma li costituisce come “organi di gestione partecipata della
scuola”. Sono “Organi istituzionali dello Stato”, di cui il
rappresentante dei genitori fa parte alla stregua del dirigente
per gestire gli interessi generali dell’intera comunità scolastica e
civile, con precise competenze e funzioni. Non sono dei semplici tavoli
di rappresentanza delle componenti, per raccogliere le loro proposte o
le loro opinioni.
Il dirigente e i rappresentanti dei docenti, degli studenti, del
personale ATA e dei genitori sono eletti in questi organismi per
prendere decisioni organizzative, didattiche e finanziarie, perseguendo
non l’interesse della propria parte, ma l’interesse generale
dell’istituzione pubblica, come a dire la qualità del servizio, che
promuova al meglio l’istruzione e l’educazione degli allievi.
Il genitore, essendo componente di un organismo statuale, prende parte
alle decisioni in veste di portatore di una responsabilità
generale nei riguardi delle nuove generazioni. L’obiettivo del
legislatore è stato quello di migliorare il servizio scolastico,
affiancando agli organismi monocratici della tradizione (preside,
provveditori, dirigenti, Ministro), gli organi collegiali con compiti
di decidere in ordine alla progettazione, all’organizzazione e alla
verifica dei risultati raggiunti.
Purtroppo in questi quarant’anni
questa finalità primaria degli Organi Collegiali non è stata né
colta né valorizzata, anzitutto, per la scarsa informazione dei
genitori in ordine all’importanza del loro ruolo istituzionale,
per cui sono stati emarginati a compiti riduttivi di proposta e di
rappresentanza categoriale. Ai genitori - eletti è mancato,
soprattutto, il riferimento al gruppo associativo, che li aiutasse a
superare gli atteggiamenti rivendicativi così da identificare
correttamente “l’interesse generale della scuola”, in modo che i
diritti originari delle famiglie siano armonizzati con i diritti
dei figli e delle istituzioni pubbliche.
Con questo non si intende negare che esperienze corrette e positive di
coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica siano state molte ed
anche notevoli per qualità e risultati, ma bisogna riconoscere che sono
state il frutto non di una strategia culturale ed organizzativa, ma
della sensibilità individuale di singoli genitori o dirigenti.
In questi
decenni non si è riusciti a costruire una struttura funzionale ad uno
sviluppo corretto della democrazia scolastica, nella distinzione tra
gli organi collegiali che appartengono alla democrazia rappresentativa
e organi di democrazia partecipativa che sono le associazioni e le
assemblee. Un’indicazioni precisa, in questo senso, poteva essere colta
fin dagli inizi nella precisa distinzione che la normativa
stabilisce con chiarezza tra organi collegiali e assemblee dei
genitori. Purtroppo si è verificata una grande confusione tra gli
uni e le altre, tra le competenze dei primi e le competenze delle
seconde, appiattendo il tutto a “partecipazione generica” che non ha
inciso, se non marginalmente, nelle scelte di qualità dell’istituzione
scolastica.
Una cultura prevaricante ha svuotato di valore istituzionale gli organi
collegiali attraverso un’opera di mistificazione della partecipazione
diretta più ampia possibile di assemblee e comitati vari, con il
risultato che i genitori sono stati emarginati nell’ambito della
protesta o nel caso migliore della proposta, senza essere mai
valorizzati nei ruoli gestionali, che le norme assegnavano loro come
componenti dei consigli.
Si è assistito ad un processo di
privatizzazione del ruolo di rappresentanza, per cui il candidato, una
volta eletto, si è trovato solo a rappresentare se stesso, senza alcun
sostegno continuativo da parte dei propri sostenitori e senza alcun
vincolo nei riguardi di un programma, legittimato dal consenso
dell’elettorato.
Questo contesto incongruente e contraddittorio ha portato molti
genitori ad atteggiamenti rivendicativi e di difesa dei propri diritti,
veri o presunti. L’istituzione scolastica ha continuato,
conseguentemente, ad emarginarli come presenza impropria, arroccata su
posizioni di parte, incapace di un’effettiva corresponsabilità nei
riguardi degli allievi e della qualità del servizio.
La generalità dei genitori, a sua volta, si è disinteressata della vita
scolastica, avendola delegata ai propri rappresentanti, per limitandosi
a curare le esigenze del proprio figlio.
Oggi più di ieri, ci si lamenta che i genitori siano travolti da una
deriva corporativa di difesa strenua dei propri figli, ma, ad
un’attenta analisi non può sfuggire che anche questo fenomeno non è
dovuto solo dall’aggressività dei singoli, ma ad un vero e proprio
stravolgimento istituzionalizzato.
Infatti fin dalle prime elezioni scolastiche dei consigli a tutti i
livelli (di istituto, distrettuali, provinciali e nazionale) i docenti
sono stati eletti per lo più su liste presentate dai sindacati e
non dalle associazioni professionali. I sindacati, essendo la precipua
espressione di interessi di parte, nello specifico dei lavoratori,
hanno portato ad identificare i diritti del dipendente con l’interesse
generale della scuola. Nonostante che i sindacati disponessero della
disciplina contrattuale e ci fossero in ogni Istituto le loro
rappresentanze unitarie (RSU), sono pure entrati massicciamente
anche negli “organi collegiali di gestione”, dove si decide a
maggioranza, anche questa riservata per legge al personale scolastico,
sul calendario scolastico, sugli orari del servizio, sulle attività da
svolgere.
In questa situazione non è difficile cogliere il perché sia così
difficoltoso introdurre cambiamenti nella scuola che non siano in
qualche modo a favore o per lo meno non contrari agli interessi degli
operatori scolastici (scuole aperte, attività opzionali, flessibilità
organizzative..) oppure capire perché non pochi genitori siano
portati, a loro volta, a contrapporsi al personale scolastico con
richieste spesso improprie, suggerite dal proprio interesse
individualistico.
Occorre, invece, ribadire che i docenti, in veste di professionisti
esperti, e i genitori in veste di educatori autentici non possono non
essere “fautori dell’interesse generali”, la loro presenza nei consigli
si legittima nella misura in cui tende alla ricerca continua della
qualità dell’insegnamento e dell’educazione da riservare ai minori. C’è
bisogno, però, che questo comune ruolo “istituzionale” sia maturato e
sorretto nel rispettivo gruppo associativo, dove la tensione culturale
e professionale abbia la meglio sui meri interessi di categoria. In
questo modo sarà possibile agli eletti di tutte le componenti
scolastiche recuperare il senso della rappresentanza di interesse
generale e non vincolata al particolare della specifica categoria.
In un’impostazione più chiara e funzionale può diventare più credibile
anche la corresponsabilità di famiglia e scuola; la tensione ai comuni
ideali educativi, tradotta in comportamenti istituzionali più coerenti,
può accrescere il consenso sociale nei riguardi della scuola e ridare
nuova vitalità agli organi collegiali.
Giuseppe Richiedei
richiedei@tin.it
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