Quel maledetto pezzo di carta
Data: Luned́, 13 febbraio 2012 ore 14:49:39 CET
Argomento: Eventi


Il pezzo di Carta di Marco Pirrello Lui e l’altro.
Uno ha i capelli ricci e arruffati, l’aria stanca e le occhiaie. L’altro ha i capelli corti e a spazzola, gli occhi azzurri e l’aria elettrizzata. Si salutano sullo sfondo dell’aeroporto di Catania, addio. “No surrender, fratello”, dice poi l’altro, quello con la valigia in mano e tante speranze, lontane da questa città, dove il “fratello” invece rimane, seduto sul cofano della sua auto scassata. In attesa di un maledetto pezzo di carta.
Questa scena l’ho pensata, scritta e voluta esattamente così. Con queste parole e con Bruce Springsteen in sottofondo. E Marco, il regista, l’ha fatta esattamente come volevo, forse pure meglio. Quattro minuti di una sequenza che, in mezzo a uno script che ha subito modifiche, tagli, stravolgimenti fatti in piena democrazia (spesso tramite alzata di mano tra i tre sceneggiatori), è rimasta così come la mia mente l’aveva partorita. Quando l’ho vista, ho provato l’ebbrezza di veder realizzata qualcosa scritta da me, qualcosa di mio che diventa suo e di tutti, diventa una realtà, non più un pensiero.

Il pezzo di Carta di Marco Pirrello


E dire però che se non me l’avessero proposto, probabilmente non avrei mai realizzato questo mio sogno. E’ successo per caso, chissà per quale motivo, chiamalo scazzo, chiamala ambizione. Andrea Spinello, che da talent scout è passato ad amico e collaboratore di progetti vari ed eventuali, me l’ha buttata lì tra un caffé e qualche aneddoto sul mio rientro da Parigi.

“Facciamo un cortometraggio”.
Non mi ricordo cosa gli risposi. Forse niente, forse un “vabbé, poi ci pensiamo, sì, buttiamo giù qualche soggetto, sì, sì scriviamo, ok”. Cazzate che avevo già sentito da tante altre persone, e in fondo ogni tizio che ho incontrato nella mia carriera universitaria pensava o era davvero sicuro di avere un cineasta dentro di sé pronto a sbocciare, un progetto, un film, uno scritto destinato al grande schermo e di cui occorreva solo il mio contributo per portarlo a termine. Contributo che poi finiva per tramutarsi in un nulla di fatto, stretta di mano e tanti saluti al cineasta che aspetta solo di sbocciare.

Perché questa volta doveva essere diverso?
Semplice, perché stavolta era la volta buona. Perché mentre io mi svincolavo da quell’ennesima assurda proposta, Andrea insisteva. E quando lui insisteva, io alla fine mi trovavo a scrivere soggetti. E quando non lo facevo, lui mi chiamava, ore intere al telefono a progettare e discutere di cosa sarebbe stato questo corto, come l’avremmo intitolato, e infine chi, cosa e come l’avremmo realizzato. E alla fine ci siamo trovati a scrivere davvero un corto, mica per scherzo. E per di più, la prima stesura era talmente contorta e ambiziosa da voler ricalcare la struttura del film “Memento”, finché non abbiamo capito che noi di “Memento” non c’avevamo capito un cazzo.
E così siamo giunti a una sceneggiatura che di “Memento” non aveva niente, ma di nostro aveva tutto: una storia intitolata “Il pezzo di carta”. La vicenda di uno studente universitario giunto all’ultima materia prima della Laurea e che, paradossale ma succede, non riesce e non vuole più laurearsi. Perché alla fine che cosa cavolo ci fai con quel pezzo di carta? A che serve laurearsi? A che serve terminare un percorso che non porta a nulla? A che serve restare e resistere, in un mondo universitario che invece fa di tutto per portarti alla fuga?
Alcune risposte ce le siamo date, e le vedrete nel corto. Altre invece no, a meno che non cedessimo alla retorica da spot elettorale che proprio non ci piace: perché uno dovrebbe laurearsi? E cosa ne sappiamo noi, che nemmeno sappiamo perché ci siamo laureati. Eppure, questa storia andava raccontata, perché ce ne sono migliaia impantanati nella situazione di Fabrizio, il protagonista della nostra storia: ci sono io, c’è Andre, c’è il regista Marco Pirrello, c’è il nostro attore Giacomo Buccheri, ci sono un po’ tutti i nostri colleghi e amici, gli umanisti e gli scienziati della comunicazione, i sociologi e gli assistenti e i professori precari. E nessuno di loro saprebbe dirti perché si trovano lì, a inseguire e ottenere un pezzo di carta che è il fine, ma non è la fine. Che è un inizio, ma di qualcosa che forse non arriverà mai.

Per me realizzare questo cortometraggio è stato un po’ una terapia. Mentre lo scrivevamo, io ottenevo il mio pezzo di carta, Triennale in Lettere Moderne, insomma l’equivalente di un qualsiasi foglio di un romanzo di Fabio Volo. E mentre lo affidavamo a Marco Pirrello, regista con cui non vedevo l’ora di allearmi perché ha talento e va riconosciuto e perché “abbiamo entrambi un conto in sospeso”, io tentavo di capire cosa fare del mio pezzo di carta, della fine di quel percorso di tre anni durati in realtà più di quattro, insomma della mia vita.

 

Restare? Mollare tutto?
Alla fine, sono rimasto. C’era un corto da realizzare, delle riprese da portare avanti e tutto l’aiuto possibile, a discapito di un budget di circa 150 euro e una troupe di amici, conoscenti, cugini, parenti, fidanzati e fidanzate.
E quando il tutto è finito, quella domanda restava ancora lì, senza una risposta: restare? Andare via?
Ma no, restiamo, c’è ancora il doppiaggio da fare, e io mi devo occupare del backstage, della promozione, devo dare una mano, non posso andarmene, non ora.
E’ andata a finire che non me ne sono più andato, e forse se l’avessi fatto non sarei quello che sono adesso: uno specializzando in Filologia Moderna della sua amata/odiata Catania che si sfoga su WordPress. Ma forse mi sarei anche perso il tassello finale di un sogno realizzato dopo quasi un anno di lavoro: la proiezione del nostro corto, che ormai per noi è diventato un po’ “il nostro figlioccio”, quel “Pezzo di carta” che alla fine ci tiene tutti inchiodati qui, dove viviamo, studiamo e resistiamo.
Forse mi sarei perso tutto questo, per ritrovarmi chissà dove, a fare chissà cosa. Probabilmente a pensare come sarebbe andata la serata al cinema King senza di me, come sarebbe stata la mia vita se avessi mollato tutto, invece di continuare a studiare per avere un altro inutile pezzo di carta da appendere accanto al poster di “Watchmen”.
Ho ancora tempo per capire quale dei due rappresenti me, nella scena dei “fratelli” che si dicono addio, quella scena che ho scritto cercando di capire cosa avrei dovuto scegliere.

Restare? Andare via?
In realtà la risposta è ovvia e ve l’ho già data senza accorgermene, ma sono ancora in tempo per seguire quel ragazzo con gli occhi azzurri e i capelli a spazzola, pronto a ricominciare un’altra storia.
Fino a quel momento, io non mi arrendo.
“No surrender, fratello”.
Ps: la prossima volta però mi limito a portare il caffè sul set.

Trailer - Il Pezzo di Carta from Marco Pirrello on Vimeo.

 







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