Franzen odia l’eBook. Meglio il macero
Data: Venerdì, 10 febbraio 2012 ore 12:46:05 CET
Argomento: Opinioni


ebook Te lo do io l’eBook. « La tecnologia che mi piace è l’edizione tascabile di Freedom – ha detto Jonathan Franzen, parlando a un festival letterario in Colombia, paese, come noto, all’avanguardia nel digitale. – Posso rovesciarci sopra dell’acqua e funziona lo stesso! E quel che più conta, continuerà a funzionare benissimo tra dieci anni ».
Il vero cruccio di Franzen, che peraltro ha venduto 350 mila copie del romanzo in formato elettronico solo nel 2010, non è l’ammontare delle sue royalties, ma la “permanenza” del testo letterario. « Qualcuno – spiega – ha lavorato duramente per modellare la lingua nella maniera giusta, proprio come voleva lui. Ne era così sicuro da stamparlo a inchiostro su carta. Uno schermo dà sempre la sensazione che potremmo cancellare questo, cambiare quello, spostarlo di qui o di là ». La filippica di Franzen non è sfuggita a un caustico blogger della “London Review of Books”, Thomas Jones, che così lo sfotte: « Anche io conservo nello scaffale molti libri cui sono affezionato.

Tra questi una rara edizione inglese di Freedom, della quale andarono al macero migliaia di copie perché era basata su una bozza precedente del romanzo, piena di piccoli errori ». « Cancella questo, cambia quello, sposta di qui o di là … E quintali di volumi finiscono nella discarica per il perfezionismo dell’autore. Il macero, e il conseguente riciclaggio della carta, è un processo che consuma energia e inquina l’ambiente (anche se risparmia gli alberi), perché implica l’utilizzo di solventi chimici per sbiancare l’inchiostro. Walter Berglund, il militante verde protagonista di Libertà, ci troverebbe forse qualcosa da ridire. Gli aborriti eBook, quanto meno, non sprigionano Co 2 e non disturbano la nidificazione delle specie protette. Per vaporizzare seicento pagine di Franzen basta premere il tasto “Delete” e l’uccellino azzurro della copertina se ne vola via sano e salvo ».

Ma i diritti (e i capricci) degli scrittori, si sa, sono più sacri dell’ambiente. Anche Umberto Eco ha voluto rimettere mano al suo capolavoro, Il nome della rosa (1980). Meno ripetizioni, meno citazioni latine, elenchi più brevi, un taglio ai peli gialli delle orecchie di Guglielmo da Baskerville. Ma lo ha fatto dopo più di trent’anni, e dopo venti o trenta milioni di copie vendute, in tutto il mondo, dell’edizione originale. E poi Bompiani stampa su carta ecologica, che « unisce fibre riciclate post-consumo a fibre vergini provenienti da buona gestione forestale e da fonti controllate ».

Non è escluso, perciò, che qualche esemplare del Nome della Rosa 2012 incorpori particelle invisibili di Freedom 2010, nella versione inglese “fallata” e riciclata. Chissà che visto al microscopio, il pelo di Guglielmo non nasconda un ricciolo di Patty Berglund, rimasto impigliato nelle fibre sottostanti. Stai all’occhio Umberto! In nome della permanenza del “microtesto” quel marpione di Jonathan è capace di chiederti una percentuale sui diritti.

Riccardo Chiaberge





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