Sidney Sonnino e il pareggio di bilancio dello Stato italiano. Un’intervista…possibile!
Data: Domenica, 05 febbraio 2012 ore 09:00:00 CET Argomento: Redazione
L’attuale grave
crisi economico – finanziaria, nazionale ed europea, i complessi
problemi politici italiani e l’annosa e irrisolta questione del
meridione, mi hanno spinto ad incontrare, in diretta dal passato, Sidney
Sonnino, un illustre politico italiano che per primo ha
affrontato la “questione meridionale”,
che ha avviato il risanamento economico e conseguito il pareggio di
bilancio dello Stato. Sidney Costantino Sonnino, (Pisa, 11 marzo 1847 –
Roma, 24 novembre 1922), figlio di un commerciante d’origine ebraica e
di madre scozzese, è stato un esponente della destra storica, ministro
del Tesoro e delle Finanze del terzo e quarto governo Crispi, ministro
degli Esteri nel 1914-19 e presidente del Consiglio nel 1906 e nel
1909-10.
Inviato Speciale: On. Sonnino, come è iniziata la sua
carriera politica?
On.
Sonnino: «Gentile Signore, dopo aver conseguito, nel 1865, la
laurea in Diritto Internazionale, con il massimo dei voti e dopo aver
iniziato la professione di avvocato, optai per la carriera diplomatica.
Fui mandato nelle Ambasciate di mezz’Europa, Madrid, Vienna, Berlino,
mi trovai a Parigi, nel 1870, nel turbinoso periodo della guerra
franco-prussiana, infine, a San Pietroburgo, nel 1873. Nel 1878, dopo
aver abbandonato la diplomazia, fondai insieme all’amico di sempre,
Leopoldo Franchetti, la rivista “Rassegna Settimanale” e fui attratto
dalla politica, venendo eletto deputato il 16 maggio 1880 e
schierandomi con la destra moderata, convinto delle mie idee liberali».
Inviato speciale: Lei è stato il primo politico ad aver
capito che la “questione meridionale” è una questione nazionale; il
problema più importante e delicato, da affrontare e da risolvere
definitivamente.
On.
Sonnino: «Prima che venivo eletto deputato, in un collegio
toscano, mi resi conto che per far progredire la nazione bisognava
affrontare con coraggio e determinazione le problematiche che
attanagliavano il Mezzogiorno d’Italia. Per rendermi conto
personalmente della situazione economica e sociale del meridione mi
recai in Sicilia, dove vi rimasi a lungo, per studiare i suoi gravi
problemi, approfondii la conoscenza dell’agricoltura locale, anche nel
timore che un mancato miglioramento delle condizioni delle masse
rurali, avrebbe portato allo scontro di classe. Il risultato fu
l’inchiesta, redatta, nel 1877, insieme al mio amico, Leopoldo
Franchetti, La Sicilia nel 1876, che costituì la base di tutti gli
studi successivi e dei provvedimenti legislativi sulla materia. In essa
erano evidenziati gli aspetti negativi del latifondo e il colpevole
“assenteismo” dei proprietari terrieri dell’isola».
Inviato Speciale: Ma quali sono stati i risultati e gli
effetti legislativi prodotti dalla sua “inchiesta”?
On.
Sonnino: «Fra il 1900 e il 1902, mi feci promotore di una
proposta di legge sui Contratti agrari, proponendo per il Mezzogiorno
una larga riforma con la quale si chiedeva l’intervento dello Stato a
difesa dei coloni, costretti ad accettare contratti che li privavano
della giusta remunerazione. Il 26 novembre 1902, alla Camera dei
Deputati, presentai la relativa proposta di legge, ottenendo la firma
di altri 35 deputati. Essa prevedeva la diminuzione dell’imposta
fondiaria, la facilitazione del credito agrario, la diffusione
dell’enfiteusi e il miglioramento dei contratti agrari allo scopo di
armonizzare gli interessi dei contadini con quelli dei proprietari;
veniva, inoltre, introdotto il principio della garanzia, data dal
proprietario, ai prestiti fatti dai coloni. Ma il provvedimento,
purtroppo, non passò, evidentemente, toccava interessi…molto forti!
Tuonai in Parlamento, anche in occasione della presentazione del
disegno di legge del presidente del Consiglio, il bresciano Giuseppe
Zanardelli, a favore della Basilicata, che pur appoggiandolo, lo
criticai aspramente: “Per il contadino meridionale rimarranno intatte
le più scandalose usure…immutati i patti più duri, più antieconomici e
antiquati che lo opprimono…egli resterà esposto ad ogni angheria!”».
Inviato Speciale: On. Sonnino, parliamo del suo maggiore
successo, del suo capolavoro politico: il pareggio di bilancio dello
Stato. Un risultato storico. Ci può spiegare esattamente come siete
riusciti a raggiungerlo?
On.
Sonnino: «In quel periodo, parlo degli anni 1893-96, detenevo,
nel terzo governo Crispi, i dicasteri delle Finanze e del Tesoro, e mi
resi subito conto che il giovane Stato italiano aveva raggiunto
un’allarmante crisi economica, così, di fronte ad situazione senza
precedenti, nella pur breve storia nazionale, bisognava agire subito,
senza perdere tempo. Il 21 febbraio 1894 annunciai alla Camera il mio
programma di risanamento, presentando un disegno di legge "omnibus" che
abbracciava il bilancio, il tesoro, il debito pubblico, la circolazione
della moneta e le banche. Dichiarai, inoltre, che il disavanzo
pubblico, per l’esercizio 1894-95, ammontava a 155 milioni di lire, che
non si potevano tagliare spese che per 27 milioni e che l’Italia non
poteva contrarre prestiti. Proposi, coraggiosamente, di attuare una
politica di aumento delle tasse. Una politica, sicuramente, impopolare;
garantivo che avrebbe dato, però, quanto prima, notevoli benefici a
tutti. Le mie proposte si sforzavano, soprattutto, di essere
socialmente eque!
Proposi un’imposta sul reddito, di reintrodurre, di due decimi,
l’imposta fondiaria a carico delle classi ricche, di aumentare, da 35 a
40 centesimi il chilogrammo, il prezzo del sale e di un decimo le tasse
di successione e di donazione, di elevare al 20 per cento l’aliquota di
ricchezza mobile, togliendone ai Comuni la percentuale; chiedevo anche
un aumento del dazio doganale sul grano, che avrebbe colpito le classi
meno abbienti; un aumento dell’imposta sugli interessi dei Buoni del
Tesoro, a carico, soprattutto, delle classi medie; ed inoltre,
proponevo la crescere, di 20 centesimi al litro, della tassa sugli
alcolici, di inasprire le sopratasse degli atti non registrati e di
imporre una tassa sulla rendita superiore dell’1 % fino a 4 mila lire e
dell’1,50% oltre tale cifra. Tutte queste nuove imposte avrebbero
fruttato circa 100 milioni, altri 27 milioni si sarebbero ricavati da
economie ottenute con una radicale riforma amministrativa, il resto si
sarebbe ricavato dal riordinamento di molti debiti redimibili. Al
disordine monetario si sarebbe posto rimedio con biglietti da L. 2 e
monete, di nichelio, da 20 centesimi, il famoso “nichelino”, ed
elevando il corso forzoso».
Inviato speciale: Come reagì il parlamento e, soprattutto,
il paese?
On.
Sonnino: «Il dibattito parlamentare sul mio programma di
risanamento economico iniziò il 2 maggio. L’opposizione fu molto severa
e vigorosa, sia quella dell’estrema sinistra, che da parte dei
proprietari terrieri. Il presidente Crispi fece appello al patriottismo
di tutti i deputati, ma la Camera si spaccò e il governo ottenne
un’esigua maggioranza. La sera del 4 giugno mi rese conto che la mia
posizione stava divenendo insostenibile e diedi le dimissioni. Crispi,
immediatamente, annunciò la caduta dell’intero governo. Ma il re
Umberto rinnovò il mandato a Crispi che, il 14 giugno, presentò il suo
nuovo esecutivo alla Camera, dove io, però, mantenni solo il dicastero
del Tesoro. Fu, però, solo dopo il fallito attentato a Crispi, del 16
giugno, che il parlamento, finalmente, approvò la “legge Sonnino”, con
la tassa del 20% sugli interessi dei Buoni del Tesoro. Questo
provvedimento fu la chiave di volta per arrivare al pareggio di
bilancio! Fu per me una grande vittoria che allontanò l’Italia dalla
crisi e preparò la via della ripresa economica».
Inviato Speciale: On. Sonnino, lei è stato ministro degli
Esteri, dal 1914 al 1019, ed ha gestito l’ingresso dell’Italia nella
Prima Guerra Mondiale. Ci può dire, brevemente, come si svolsero
realmente i fatti?
On.
Sonnino: «Caro Signore, lei mi costringe a ricordare delle
vicende complesse e delicate e le assicuro che tutta la nostra azione è
stata condotta nell’esclusivo interesse della nazione. Le dico,
solamente, che nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale,
l’Italia, dopo un lungo percorso di avvicinamento e di accordi con le
potenze della Triplice Intesa, Francia, Gran Bretagna e Russia, in
forza dell'articolo 4 del trattato, dichiarò la sua neutralità. Nel
1915 l’Intesa propose all’Italia, in cambio dell’entrata in guerra
contro l’impero austriaco, ampliamenti territoriali a scapito di Vienna
ed una posizione di dominio nell’Adriatico. L’accordo venne firmato a
Londra con la Francia, l’Inghilterra e la Russia. Lo stesso anno
l’Italia rifiutava le inferiori proposte dell’Austria ed entrava nel
conflitto mondiale contro gli imperi centrali, l’Austria – Ungheria e
la Germania».
Inviato Speciale: E lei, on. Sonnino, alla Conferenza di
Pace di Parigi, ha gestito, soprattutto, la vittoria italiana. Anche se
si è parlato di un burrascoso rapporto con il presidente americano
Wilson?
On.
Sonnino: «Burrascoso è dire poco! Anche la stampa americana, nel
riferire di un mio colloquio con il loro presidente, dichiarava,
“(Sonnino) pare abbia perduto la pazienza e sia arrivato a dire a
Wilson di non immischiarsi negli affari europei, ma di pensare soltanto
alla sua America!”. Il 7 febbraio 1919, alla Conferenza di Pace di
Parigi, presentai un memorandum ufficiale delle nostre richieste: erano
quelle del Patto di Londra! Ero ostinato a chiedere il rispetto di tali
impegni, sottoscritti, prima della guerra, con gli Stati dell’Intesa!
Si aprì una discussione che duro, addirittura, sei giorni di fila; gli
americani erano intenzionati a non riconoscere tali accordi. La stampa
e il parlamento italiano mi attaccarono perché tali accordi erano
rimasti, sino ad allora, segreti. Passai momenti terribili! Fui
furioso: “Dopo una guerra così piena di enormi sacrifici, ove l’Italia
ha avuto 500.000 morti e 900.000 mutilati, non è concepibile dover
ritornare ad una situazione peggiore di prima, perché la stessa Austria
– Ungheria, per impedire l’entrata dell’Italia in guerra, ci avrebbe
concesso alcune isole della costa dalmata. Voi non vorreste darci
nemmeno queste. Per il popolo italiano ciò sarebbe inspiegabile”,
avvertendo, poi, le possibili conseguenze: “Non avremo il bolscevismo
russo, ma l’anarchia!”. Alla fine della conferenza di Pace, ottenemmo,
solamente, il Trentino e il Sud Tirolo. Poco, troppo poco…!».
L’on. Sonnino, amareggiato dalla conclusione della Conferenza di
Parigi, si ritirò dalla vita politica e non volle presentarsi alle
elezioni per la XXV legislatura. Neanche la nomina a Senatore a vita,
conferitagli il 3 ottobre 1920, lo incitò a rientrare in politica.
Negli ultimi anni della sua vita si dedicò, principalmente, ai suoi
amati studi danteschi. Morì, a Roma, all’età di 75 anni, il 24 novembre
1922. Ai suoi solenni funerali, che si svolsero il giorno seguente
nella capitale, parteciparono il neo presidente del Consiglio, Benito
Mussolini e i presidenti di Camera e Senato, Enrico De Nicola e Tommaso
Tittoni; al passaggio del feretro i fascisti gli resero omaggio con il
saluto romano. La sua salma riposa in una grotta scavata in una
scogliera a picco sul mare, presso il castello che lui stesso si fece
costruire come sua residenza a Quercianella, vicino Livorno.
La sua impresa più importante resta, comunque, il pareggio di bilancio
dello Stato italiano. Un risultato storico, conseguito con tenacia,
perseveranza e sacrificio! Un monito, per i politici delle future
generazioni, a governare l’economia statale con rigore, oculatezza ed
equità! Ma quelli, forse, erano altre epoche e altri uomini…
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it
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