Impara l’arte? L’istruzione artistica dopo la “riforma”
Data: Mercoledì, 01 febbraio 2012 ore 19:56:21 CET
Argomento: Rassegna stampa


Da quando scrissi l’editoriale da lettore sul quotidiano “La Stampa” (17 novembre 2010) è trascorso più di un anno. Ho provato, partendo da un’idea da tempo latente, a stimolare una reazione e una riflessione, tentando di coinvolgere gli istituti di istruzione artistica della mia Regione (oramai tutti orgogliosamente “Licei”), insieme a qualche ente locale, in una iniziativa che credevo interessante e culturalmente rilevante.
Ho proposto di lavorare su una pubblicazione di pregio che raccogliesse le esperienze storiche dell’istruzione artistica di un territorio emblematico per tutta l’Italia, attraverso le immagini di prodotti e progetti di eccellenza e brevi racconti di esperienze creative.      
       Dopo alcuni incontri per illustrare il progetto, cui parteciparono pochi rappresentanti delle scuole che pure avevano aderito, estendemmo la proposta alle amministrazioni provinciali e ad alcune fondazioni, senza peraltro ottenere impegni concreti, al di là delle rituali dichiarazioni di generico interesse. http://www.educationduepuntozero.it

Nel frattempo, è passata, in mezzo alla rassegnazione generale, la “riforma” della scuola secondaria di secondo grado della ministra “Gelmini”, che ha travolto del tutto, con i suoi tecnicismi, la sua demagogia, la poca sostanza e le innumerevoli mutilazioni, anche il settore dell’istruzione artistica; “licealizzandolo”, la riforma ha finito per spazzarne via le peculiarità e le eccellenze curricolari che il mondo educativo e del lavoro in campo artistico e del “made in Italy” ci invidiavano.

Le scuole che si erano impegnate nel progetto piano piano si sono defilate, disimpegnandosi, a eccezione di quelle dirette da dirigenti “storici” con carriera nell’istruzione artistica. Le scuole alla fine sono rimaste in due… A questo punto, lasciati soli dagli istituti scolastici, dagli enti locali e anche dalle fondazioni che presumibilmente non sono state attratte da un progetto con pochi sponsor politici, l’idea è stata abbandonata, nonostante si fosse in possesso di un archivio di materiale testuale e iconografico veramente prezioso.

Questo è solo un piccolo esempio della deriva che hanno imboccato le antiche e prestigiose “scuole d’arti e mestieri”. Il disinteresse per la propria storia è il sintomo di una perniciosa trasformazione.

Gli Istituti d’Arte si sono “elevati” quasi tutti al rango di Liceo, ma hanno perduto del tutto quell’aspetto determinante del loro fare artistico: quella qualità denominata “manualità colta” che caratterizzava gli atelier delle varie discipline progettuali (arredamento, moda, metalli, tessitura, ceramica ecc.) che tante personalità artistiche hanno formato nel tempo.

Le scuole son sopravvissute a sé stesse macinando decine e decine di progetti, spesso al servizio degli eventi più o meno provinciali e modesti, quando non dozzinali seppure pretenziosi, promossi da enti locali, aziende, associazioni di categoria.

Ho assistito, mio malgrado, a molte manifestazioni avvilenti di questo tipo, spinte dalla velleità di fare promozione a futuri studenti, la cui qualità della vocazione pare, invece, essere sempre in discesa.

Presso l’opinione pubblica, infatti, anche il liceo, presunta trasformazione miracolosa dell’anatroccolo “istituto d’arte” nel cigno della cultura e della creatività, sta scivolando verso una scuola di serie C, adatta solo a intrattenere e, in sporadici miracolosi casi, che non fanno statistica, a formare rarissime eccezioni di giovani creativi e colti al tempo stesso, pronti per un mondo del lavoro o per la prosecuzione degli studi nel campo progettuale e artistico.

Nel nuovo modello di scuola, la parte progettuale è confusa, ridotta nei tempi, priva dei laboratori e, sostanzialmente, di quella manualità che avrebbe avuto solo bisogno di più cultura invece di essere, di fatto, ridotta e, in qualche caso, perfino abolita.

Proliferano gli indirizzi di studio, configurando così una scelta orientativa complessa e difficile, oltre che inadeguata, in un biennio di “assaggio” delle varie discipline; ciò crea solo confusione negli studenti, nonché una spiacevole “guerra“ tra poveri docenti, a caccia del consolidamento della propria cattedra nel successivo triennio di indirizzo.

Si esaspera quella malattia che un tempo chiamai, in uno studio sull’offerta formativa nella mia Regione (non diversa da altre Regioni), la “progettite”, mentre emerge la carenza di formazione e aggiornamento dei docenti sulle discipline progettuali e sulle metodologie della progettazione didattica e della valutazione nell’ambito artistico, creativo e della percezione.

Il management delle scuole d’arte ha perso quel background di esperienza e conoscenza dello specifico pedagogico e didattico degli storici dirigenti che, oltre a essere culturalmente ben fondati e preparati perché professionisti dell’arte, avevano trascorso una vita intera negli ambiti dell’istruzione artistica, prima da docenti e poi da dirigenti, quando non addirittura anche da studenti!

Forse che Conservatori di Musica e Accademie sono stati mai diretti da qualcuno che non fosse musicista o uomo d’arte o di teatro?

Il tragico errore di omologare e appiattire la dirigenza scolastica a un ruolo, di fatto, unificato ha contribuito non poco a procurare danni all’istruzione italiana, anche in un settore specialistico che era il vanto della nostra nazione, perché intimamente legato al suo immenso patrimonio culturale, artistico e progettuale espresso in beni e capitale umano.

Non si vedono più i prodotti artistici di un tempo e non se ne vedono nemmeno di innovativi! Le iscrizioni, in genere, sono in calo e le politiche del poco rigore, a vantaggio dei numeri (di iscritti), accanto a un ipocrita concetto di accoglienza, tout court, del disagio sociale e della disabilità (spesso per “avere i numeri”), che di fatto si trasforma in semplice intrattenimento (mentre le percentuali di tale accoglienza nei Licei Classici è pari quasi a zero!). Come se non si sapesse che l’integrazione è altro! E che il fare arte davvero, per la disabilità, potrebbe essere un viatico eccezionale verso l’emancipazione e la crescita insieme ai propri compagni di classe che sono sicuramente più diversi tra loro!

Invece di valorizzare le punte di eccellenza dei vecchi curricula si butta il bimbo con l’acqua sporca per costruire un Liceo che non ha né capo né coda e distrugge quanto di buono vi era negli Istituti.

Questi avrebbero potuto essere soltanto migliorati e aggiornati, inserendo più cultura e personale qualificato nelle discipline artistiche e integrando meglio le due “anime” della scuola: quella artistica, appunto, e quella delle discipline fondamentali come la lingua italiana (che spesso è invece trattata come la lingua straniera, fino a ieri non prevista (!) nel curricolo ordinario), la storia, le scienze, la matematica. Con ciò, superando anche quella sconcia prassi del minimo “sei politico” nelle materie artistiche, contro le normali classificazioni (e quindi anche insufficienti) nelle materie denominate, all’interno di queste scuole con un eloquente lapsus freudiano, “culturali”.

Sarebbe bastato interpellare gli esperti dell’istruzione artistica per innovare curricula e contenuti, formare e aggiornare docenti, insegnare loro la pedagogia e la valutazione, senza limitarsi ad affibbiare il nome altisonante di Liceo a un curricolo impoverito e snaturato.

L’ultima speranza che ci sorregge e ci incoraggia, prima che il latte sia interamente versato, è che le prossime rinnovate compagini governative si accorgano dei danni impliciti nella riforma di soli tagli e abbagli del ex ministro Gelmini, e vi pongano rimedio; rifondando l’istruzione secondaria di secondo grado, con l’umiltà di far tesoro delle esperienze storiche sperimentali, del contributo di tanti professionisti e, soprattutto, delle voci della scuola.
     (di Giuseppe Campagnoli da Education 2.0)

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