Il giorno della memoria non è routine, ma consapevolezza del dolore che unisce tutti gli uomini
Data: Venerdì, 27 gennaio 2012 ore 00:45:00 CET Argomento: Redazione
«Ho paura in questi
giorni a parlare in classe del “Giorno della Memoria”! Non perché sia
difficile parlarne o troppo duro, ma poiché prevedo che qualcuno degli
alunni dirà – magari sottovoce o con uno sbuffo – che ogni anno è la
stessa storia, che diciamo sempre la medesima cosa, che ormai sappiamo
tutto». Sono le parole di un docente di liceo, scritte su un blog, che
mi hanno fatto pensare visto che anch’io affronterò l’argomento in più
classi. Se alcuni dei miei studenti facessero davvero così? Se
dicessero anche loro “ne abbiamo già parlato, discutiamo d’altro”?
Poiché temo che accadrà, non per cattiveria ma perché è più facile
trattare altri argomenti e il Prof. è sempre quello che vuole
rispolverare le antichità, mi sono convinto che va fatto e pure molto
bene: celebrerò questo giorno con tutte le classi e sarà un’ora di
“memoria”! Cosa dirò loro? Io, niente! Farò parlare i testimoni, non le
ricostruzioni o la fantasia dei film, ma le parole di chi è
sopravvissuto traendole dalle testimonianze vere. Non parlerò io,
saranno i ragazzi ad impersonarli e a ciascuno sarà dato un numero come
nei lager, il numero del registro basterà, ed un numero lo avrò
anch’io, sarà la somma dei loro. Resteremo in piedi tutta l’ora e
andremo nel luogo più freddo della scuola; chiederò questo piccolo
sacrificio, sapendo che non sarà facile e che qualcuno sbufferà
ulteriormente.
Naturalmente saranno liberi di partecipare, di sedersi, di trovare un
cantuccio caldo, di rifiutare il numero: già troppi uomini e donne
hanno sofferto la mancanza di libertà e la possibilità di scegliere
persino per le piccole cose in quegli anni tristi! Insieme
ricorderemo e forse questo ci farà un po’ male, ci rattristerà, ci farà
sdegnare, ci farà piangere, ma lo vivremo insieme in una società che
tende sempre più ad isolare l’uomo, i sentimenti, la memoria, il bene,
la comunità. A volte è meglio pensare ad altro, perché mettere avanti
costantemente questioni così dolorose? Forse perché la sofferenza
unisce, la sofferenza livella tutti, la sofferenza forgia, la
sofferenza costruisce, la sofferenza esorta il bene a farsi presente e
vivo. Non basta dire “mai più”, ma conta essere “mai più” dinanzi al
male attuale, ciascuno secondo le proprie forze, possibilità,
condizioni. Non faremo memoria, dunque, per rispolverare qualcosa del
passato o dei nostri ricordi, non apriremo un file ben conservato per
l’occasione, bensì “saremo memoria” per chi ci sta accanto, chi
incontriamo quotidianamente, chi sentiamo occasionalmente, chi è
distratto, chi è violento, chi è ottuso, chi non ne vuol parlare, chi
nasconde le notizie, chi non smette nel mondo o dietro casa di essere
un persecutore. Perché, allora, non devo aver paura di parlarne in
classe e di celebrare oggi come domani il “Giorno della Memoria”?
Poiché so bene che non ci saranno studenti che sbufferanno o vorranno
far altro, magari non avranno voglia di stare in piedi, ma hanno un
cuore sempre aperto al dialogo, alla costruzione di una società più
civile, al riconoscimento dell’altro pur nella diversità, alla ricerca
del bene comune.
Marco Pappalardo
marcopappalardo@teletu.it
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