Esecutivo diviso sull’abolizione del valore legale della laurea
Data: Lunedì, 23 gennaio 2012 ore 07:32:42 CET Argomento: Redazione
Se dipendesse solo
da lui, per Mario Monti il valore legale del titolo di studio sarebbe
già superato. Non tutti all’interno del governo però sono
d’accordo e ancora una volta un esecutivo si divide su una questione
che da anni è sul tavolo dei ministri dell’Istruzione. Dove però è
rimasta, almeno finora. Durante le oltre otto ore di consiglio dei
ministri di venerdì scorso se n’è parlato di nuovo quando si è deciso
di cambiare le norme sull’accesso dei giovani all’esercizio delle
professioni e prevedere la possibilità di svolgere i primi sei mesi di
tirocinio già durante la laurea. Monti sarebbe andato oltre, avrebbe
rotto gli indugi e agito subito. Il ministro dell’Interno Anna Maria
Cancellieri, invece, si è opposta, e il ministro della Giustizia Paola
Severino ha chiesto gradualità. Ne è nato un lungo dibattito che ha
impedito di arrivare ad una soluzione ma ormai l’argomento è fra quelli
in discussione e se ne parlerà ancora.
Forse un provvedimento potrebbe arrivare già nel prossimo consiglio dei
ministri se la fazione pro-abolizione dovesse spuntarla visto che ha
fans trasversali e diffusi dal Pdl, alla Lega, al Pd, la Confindustria,
la Crui dei rettori italiani, e persino tra i grillini come risulta a
ripercorrere indietro il successo del tema fino all’ultima indagine
conoscitiva in Senato avviata la scorsa
primavera.
La novità a cui si sta lavorando in queste ore prevede un intervento
nei criteri di selezione utilizzati nei concorsi pubblici. Dovrebbe
cadere il vincolo per il tipo di laurea, fatta eccezione per i settori
in cui siano necessarie competenze tecniche specifiche. Il laureato in
Lettere potrebbe diventare dirigente di un ente pubblico, purché
dimostri di essere in grado di superare brillantemente il concorso, e
quindi però dovrebbero anche esserci concorsi in futuro, visto che da
tempo non ce n’è traccia. Nemmeno il voto di laurea dovrebbe più avere
un peso nella selezione ma diventerebbe importante l’ateneo dove ci si
è laureati. E, quindi, un titolo conquistato anche a pieni voti
nell’università X non avrebbe valore mentre lo avrebbe un titolo
conquistato anche con una valutazione non brillante in un’altra
università che abbia requisiti particolari che molto probabilmente
verranno definiti sulla base dei parametri individuati dall’Anvur,
l’Agenzia per la valutazione a cui il governo Monti proprio venerdì
scorso ha attribuito i compiti di certificazione della qualità dei
corsi e delle sedi universitarie, una sorta di bollino per far capire
dove si studia meglio.
Contrari i sindacati dei docenti, dall’Andu alla Flc-Cgil, la Cisl, la
Uil, ma anche la Rete 29 Aprile e le associazioni di base. Consideriamo
il mantenimento del valore legale del titolo di studio un dato centrale
del sistema universitario italiano e paventiamo che la sua abolizione
possa incrementare le diseguaglianze sociali ed economiche».
Scandalizzato il Pdci. Riccardo Messina: «Una norma classista,
discriminatoria e da un forte retrogusto leghista. Se questo principio
venisse approvato, ci sarebbe milioni di studenti tagliati fuori dalla
possibilità di diventare classe dirigente di questo paese solo perché
senza risorse economiche o perché nati in zone
disagiate». (da
La Stampa di Flavia Amabile)
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