Musicisti precari, se il modello è ottocentesco
Data: Lunedì, 16 gennaio 2012 ore 18:19:39 CET
Argomento: Rassegna stampa


L’intervista a Sabina Morelli e i numerosi interventi di altri musicisti sollecitano la riflessione su una serie di questioni, peraltro già oggetto di discussione ormai da decenni. Premesso che, nell’attuale situazione di recessione economica, le prime cose che vengono tagliate (perché considerate superflue) sono i finanziamenti nel campo dell’arte, è chiaro a tutti che la causa principale della scarsa considerazione sociale del “mestiere” di musicista è una formazione musicale dei cittadini di questo paese largamente inferiore alla media dei paesi europei.
Ciò accade sia se si vede la questione dal punto di vista della scuola e dei Conservatori, sia da quello dei dei soggetti che operano nel campo specificatamente artistico (fondazioni lirico-sinfoniche, Ico, ecc.) e che ricevono finanziamenti poiché “lo Stato considera l'attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale, in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale” (art. 1 comma 1 Legge 800/67).    
           Come docente di Conservatorio e sindacalista della Flc Cgil, mi soffermerò specificatamente sul primo aspetto. Dice Sabina che “il sistema non funziona, a partire dalla formazione. (…) All'estero non è così, la musica è una materia che ha pari dignità e si studia la mattina insieme alle altre”. Ha perfettamente ragione. Il modello di riferimento sulla formazione musicale che è stato egemone per molti decenni in Italia, e che è stato considerato il migliore possibile da autorevoli consiglieri dell’ex ministro Gelmini, è quello che ha coniugato lo studio della musica esclusivamente al “talento” o alla “vocazione”, riproponendo una tipologia di istruzione musicale elitario e ottocentesco basato, da un lato, sulla presenza di un manipolo di divi e, dall’altro, su una massa indistinta di consumatori privi di un minimo di competenze musicali.

Il modello elitario riaffermato dalla Gelmini ha significato, ad esempio, la quasi completa eliminazione della musica dalla secondaria di II grado relegandola esclusivamente nello “specialistico” Liceo musicale. Questo modello nega la valenza dell’insegnamento della musica in tutte le sue possibili declinazioni, nella preparazione culturale degli adolescenti; nega il diritto degli studenti di possedere un minimo di strumenti critici ed analitici per orientarsi nella società attuale intrisa, a tutti i livelli, di messaggi musicali; nega, contro ogni evidenza, la forza della musica come linguaggio in grado di esprimere le ansie, le aspirazioni, ecc., delle diverse epoche; “pensa” che la musica debba essere studiata solo dai musicisti.

Al modello elitario dovremmo contrapporre quello democratico nel quale tutti possano sviluppare le competenze musicali, la propria musicalità in proporzione ai propri bisogni e potenzialità attraverso la possibilità di studiare la musica nei vari ordini e gradi scuola che preveda una forte interazione curriculare con le altre discipline. Il modello democratico implica innanzitutto la presenza di una strutturata educazione e pratica musicale nei vari gradi di scuola. Questo livello di istruzione musicale rappresenterebbe uno strumento straordinario per dare una concreta risposta all’attuale situazione che vede, da un lato, la musica presente in maniera sempre più pervasiva nella nostra vita e, dall’altro, una totale mancanza di strumenti di comprensione e coscienza da parte dei fruitori.

In secondo luogo il modello democratico a livello degli studi più “specialistici”, dal Liceo Musicale al Conservatorio, implica l’elaborazione di diversificati indirizzi, con rispettivi curricula di studio, che sappia coniugare la libertà di espressione artistica con profili e sbocchi professionali effettivamente richiesti dal mondo delle professioni musicali. È in questo ambito che possono trovare la giusta valorizzazione i “talenti”. Infatti la varietà di percorsi è finalizzata, anche, a ridurre drasticamente la percentuale di insuccesso scolastico in campo musicale, determinato principalmente dal fatto che una parte cospicua degli attuali studi conservatoriali è finalizzata a sbocchi professionali, per la stragrande maggioranza degli allievi, chimerici (il grande concertista, il grande compositore, ecc.).

Strettamente connessa ai problemi in campo formativo è la mancanza di una vera strategia politica sulla musica, sulle relative professioni, sul fecondo rapporto che deve essere instaurato con la cosiddetta “società civile”. Mutuando il titolo del documento scaturito dalla prima conferenza mondiale sull’educazione artistica organizzata dall’Unesco nel 2006 a Lisbona (la seconda, si è svolta nel maggio 2010 a Seul, da cui è scaturito un altro importante documento “l’Agenda di Seul: obiettivi per lo sviluppo dell’educazione artistica”), nella road map per lo sviluppo della cultura e delle professioni musicali radicata sul territorio occorrerebbe: una politica di investimenti pubblici e privati, di sinergie tra strutture formative nel campo musicale ed enti locali, finalizzata a creare un sistema ramificato di orchestre stabiliti, da camera o sinfoniche, su tutto il territorio nazionale al servizio delle comunità locali; una maggiore sinergia con le associazioni legate al “dilettantismo musicale”, pensiamo ai cori amatoriali, che in molti casi rappresentano un volano per la diffusione sia della pratica che della cultura musicale; il riconoscimento degli ammortizzatori sociali, come il diritto all’indennità di disoccupazione per i musicisti, negato dalle leggi in vigore.

In conclusione: una solida formazione musicale per tutti i cittadini, la diversificazione dei percorsi di studio, l’attenta cura dei talenti, gli investimenti per la creazione di complessi musicali stabili, la collaborazione con il variegato mondo del privato sociale legato alla pratica musicale, la sinergia fra i vari livelli istituzionali, sono alcuni degli elementi di una politica culturale finalizzata a ridurre la precarietà nel mondo delle professioni musicali. Certamente siamo in grave ritardo, ma sono convinto che una maggiore unità di intenti tra tutti gli operatori nel campo musicale, che tenti di superare comportamenti caratterizzati da uno sfrenato individualismo e rapporti amicali, potrebbe costringere la politica a scelte più lungimiranti.

* sindacalista della Flc Cgil nazionale e docente di Conservatorio
    (di Gigi Caramia * da Rassegna.it)

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