Togliere il valore legale al titolo di studio è una tra le possibili liberalizzazioni del governo
Data: Mercoledì, 11 gennaio 2012 ore 13:06:00 CET
Argomento: Redazione


Nel calderone grande delle liberalizzazioni, all'interno del quale ribolle il minaccioso aculeo dei tassisti, pare si voglia mettere dentro anche l'abolizione del valore legale del titolo di studio che per alcuni politici sarebbe una ulteriore tisana per migliorare la strampalata salute della scuola italiana, dopo gli intrugli preparati dalla gestione Gelmini. A giudicare addirittura da lacune dichiarazioni sembra che la proposta sia già pronta e che probabilmente passerà con le altre zattere sul fiume impetuoso delle riforme per salvare l'Italia, dopo le batoste subite dai pensionandi, quelli del 1952 soprattutto, e dalle tassazioni alla cieca, modulate attorno a quel famoso gioco: chi acchiappoacchiappo, e siccome in gioco ci sono solo i poveracci ad essere acchiappati rimangono sempre i poveracci, pensionati compresi.
Abolizione legale del titolo di studio, come è noto, significa che un ragioniere potrà fare il geometra e che un corso di studio equivale ad un altro, tranne che una agenzia specializzata o un corso post diploma legalizzi il titolo, renda cioè geometra il geometra e  ragioniere il ragioniere, fermo restando che il geometra può liberamente partecipare alla prova/esame o al corso svolto da queste agenzie indipendenti per dare valore reale al titolo del ragioniere e viceversa per il ragioniere che vuole fare il geometra. Il punto centrale del dibattito diventa allora, non già quello di preparare nelle scuole dell'intero territorio nazionale geometri con tanto di strumentazione in grado di usarla, ma diplomati, diciamo così, portatori di un titolo di studio fruibile per tutte le occasioni e spendibile nella sua specificità solo se un Ente, o una scuola abilitata all'uopo, lo rende tale. Il fumus della creazione indiscriminata di scuole pronte a rilasciare un passaporto qualunque si coglie a colpo, mentre non si avverte l'utilità di mettere l'avvocato (anche la laurea perderebbe il suo valore legale)  in condizione di specializzarsi in odontoiatria, seppure dopo avere superato un corso/ concorso/ prova/ abilitazione/o altro.  Ma c'è di più. Siccome un titolo equivale ad un altro, essendo per esempio il diploma, chiamiamolo  così, preso a Catania senza alcun valore legale rispetto a uno simile preso a Bolzano, calmiere nella scelta di una determinata figura professionale potrebbe essere la scuola di provenienza, non già il suo specifico valore che deve tenere conto del voto e delle altre componenti giuridiche e legali. E infatti i sostenitori dell'abolizione del valore legale del diploma, e della laurea, spingono proprio su questo punto, proprio perchè in questo modo sia gli atenei e sia le scuole si farebbero concorrenza fra loro per rendere i propri studenti più geometri i degli altri e più ragionieri degli altri, dal momento che sarebbe il mercato a selezionare i veri e più in gamba professionisti del settore. E non basta. Secondo altri accademici compito dello Stato per delegalizzare il titolo di studio dovrebbe essere quello di stilare una graduatoria delle scuole migliori e delle università migliori in modo che quando ha bisogno di personale per le sue amministrazioni centrali o periferiche assegni i punteggi per partecipare al concorso non in funzione  del voto, che mette sullo stesso piano tutte le scuole e le università, ma in relazione alla provenienza del candidato. Una scuola catalogata dalla Invalsi (o dall'Anvur)  100 garantisce che i suoi geometri (avvocati per le università) sono al top della preparazione per cui già in partenza sarebbero preferiti, rispetto ad altri provenienti da scuole, o università con un giudizio, un punteggio, inferiore. Punto di forza di questa liberalizzazione sarebbe, sostengono questi esperti, la concorrenza che le scuole e le università sarebbero costretti a farsi per raggiungere le vette nelle graduatorie stabilite dagli istituti di valutazione. Infatti, si sostiene da questi versanti, con l'attuale sistema un alunno uscito da un insegnante somaro con 100/100 ha più possibilità di ottenere esoneri all'università, di potere lavorare e di potere partecipare a un concorso assai maggiori di un suo collega strizzato da un professore preparato e che l'ha licenziato con 60/100, dal momento che il titolo ha valore legale e che equipara tutte le scuole sullo stesso piano, sia quella inefficiente e inefficace e sia quella efficiente ed efficace.  
Concorrenza dunque fra scuole e fra università, sembrerebbe la parola d'ordine, per ottenere il ranking più favorevole da parte delle agenzie di valutazione e che potrebbe pure determinare l’ammontare delle risorse da assegnare a ciascuna scuola o università per pagare meglio e di più i propri insegnanti. Infatti l'unica concorrenza possibile, a parte l'aspetto logistico, si sposta solo sul versante delicato della docenza, dei professori migliori (ma bisognerebbe capire quale parametro li misuri) che verrebbero cooptati e blanditi col profumo di stipendi più lauti e non su quello, come accade spesso soprattutto nelle università, della parentela, dell'amicizia, della clientela.
Attenti al lupo, allora: liberalizzare il titolo di studio, togliendogli il valore legale, è la via maestra per sbrindellare la scuola pubblica italiana e implementare ciò che il precedente Governo ha fatto intendere forse anche con estrema chiarezza. L'ultima toccata con precipitosa fuga sull'armonium della Gelmini è stata infatti le lettera inviata all'Ue, dove si parlava di governance e di valutazione dei docenti e delle scuole per riconoscere il loro merito e quindi premiarli con degli incentivi pecuniari. Altra avvisaglia si rileva nella continua citazione, cara a Valentina Aprea, di ribaltare la procedura fin qui adottata e cioè che non sia più l'insegnante a scegliersi la scuola ma la scuola il docente, esattamente com'è nella intenzione di chi vuole liberalizzare il titolo di studio, affidando il suo valore commerciale al valore della scuola. Dopo il business della sanità privata all'orizzonte si affaccia anche il business della istruzione  in mano ai privati. Da fastidio solamente che questi processi siano distillati poco alla volta e con velata parsimonia, in modo da assuefare lentamente tutti, sindacati e partiti di opposizione compresi.   

Pasquale Almirante
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