Liberalizzazione, la ''rivoluzione pacifica'' da non lasciarsi scappare
Data: Martedì, 10 gennaio 2012 ore 08:24:46 CET Argomento: Rassegna stampa
È del tutto
condivisibile quanto scritto da Raffaello Vignali il 6 gennaio u.s.
(*), relativamente all’esigenza di liberalizzare il settore
dell’istruzione nel nostro Paese. Non ci soffermeremo, pertanto, a
ripetere quanto già esposto con incisività nell’articolo; vorremmo,
solo, aggiungere alcune considerazioni e proposte che – ci auguriamo –
rendano ancora più evidente quanto autorevolmente affermato dall’autore.
In Italia, si sa, il sistema di istruzione è profondamente in crisi e
ne paga le conseguenze l’intero Paese: dispersione scolastica,
bullismo, giovani inoccupati, risultati scolastici scadenti nei
raffronti internazionali, carenza di giovani professionalmente formati
per le imprese, analfabetismo di ritorno, indebolimento generale del
tessuto culturale del paese,
etc.
Occorrerebbe
invertire la tendenza con decisione, perché davvero “il capitale umano
è il futuro”, e non può essere sottovalutato proprio il settore
che ha il compito di “formare la risorsa dell’economia della
conoscenza”. Ma, al di là delle lamentazioni e delle dichiarazioni di
intenti, in questi ultimi anni non è apparsa all’orizzonte alcuna seria
proposta di modifica, o quando è apparsa immediatamente si sono
sollevate le vibranti proteste dei soliti blocchi sindacali legati a
logiche corporative del tutto estranee alle finalità proprie (educative
formative) della scuola. E tutto è rimasto fermo.
L’attuale governo “tecnico”, poiché svincolato da preoccupazioni
elettoralistiche, rappresenta da questo punto di vista una opportunità
ghiotta: vuole liberalizzare quei settori strategici nei quali il
monopolio statale impedisce una concorrenza virtuosa necessaria allo
sviluppo economico e sociale? Può farlo senza dare troppo peso alle
proteste che inevitabilmente si alzeranno altissime dai settori
“colpiti”? Bene, anzi benissimo, è una grande occasione anche per la
scuola, vissuta in questi ultimi decenni sotto il tallone delle logiche
di stampo sindacal-statalista e ormai agonizzante per eccesso di
burocratizzazione. Lo faccia, tenendo presenti però alcuni aspetti
importanti:
– i presupposti per una liberalizzazione ad hoc del settore esistono
già, si tratta solo di implementarli. Nel campo dell’istruzione, la
liberalizzazione non coincide con la privatizzazione né con il mercato
selvaggio, ma con l’autonomia. L’autonomia scolastica, introdotta nel
1997 dall’allora ministro della Funzione Pubblica (Bassanini) e
regolamentata nel 1999 col DPR 275, è una base certa sotto il profilo
giuridico e culturale. Il fatto è che in Italia – a differenza della
gran parte degli altri paesi europei – un’autonomia che non sia solo di
facciata fa paura, perché continua a persistere una impostazione
statalista, accentratrice e monopolista dell’istruzione che è poi
quella che sta all’origine delle attuali difficoltà;
– nel nostro Paese esistono già dei modelli di autonomia reale del
settore che potrebbero fare da apripista se adeguatamente sostenuti e
valorizzati, anziché osteggiati come è accaduto sino ad oggi. Le scuole
paritarie, in particolare, che raccolgono più del 10 per cento degli
alunni frequentanti il nostro sistema di istruzione, sono l’archetipo
di ciò che potrebbe essere tutta la scuola italiana: vincolate alle
norme generali dell’istruzione a livello nazionale, sono tuttavia
libere per quanto riguarda l’assunzione dei docenti (purché abilitati),
la gestione delle risorse finanziarie e l’organizzazione generale dei
servizi. Il grande risparmio che garantiscono annualmente allo Stato
(circa 6 miliardi di euro) e i buoni risultati conseguiti nei test
Invalsi, mostrano che tutto sommato non sono necessarie grandi
rivoluzioni per far funzionare meglio la scuola italiana.
Cosa basterebbe, allora, per realizzare questa mini rivoluzione dai
benefici effetti assicurati? Analogamente a quanto fatto da Blair in
Gran Bretagna,
1. consolidare un sistema fondato sulla libertà di scelta della
scuola da parte delle famiglie, finanziando la domanda attraverso una o
più fra le diverse modalità possibili (buono scuola – dote scuola,
voucher, detrazioni sulle rette, etc) e stabilizzando i contributi alle
istituzioni scolastiche;
2. ampliare l’autonomia delle scuole, affidando la gestione di quelle
statali ad organi decisionali reali e responsabili (fondazioni di
territorio, consigli di amministrazioni costituiti da rappresentanze
miste, etc...) che abbiano anche la possibilità di scegliere i docenti;
3. realizzare un sistema di valutazione effettivo per mettere i
genitori in condizione di scegliere la scuola migliore per i loro figli.
Una mini rivoluzione pacifica, che sarebbe un toccasana per il nostro
futuro; non vorremmo che ancora una volta alla scuola fosse impedito di
salire sul treno delle riforme – quelle vere – rendendo inefficaci
anche quelle degli altri settori per mancanza di risorse umane
adeguatamente preparate. (da IlSussidiario.net)
redazione@aetnanet.org
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