L'autonomia scolastica, questa sconosciuta. 4 interventi sul tema di Pietro Perziani dal sito www.governarelascuola.it
Data: Lunedì, 09 gennaio 2012 ore 15:56:19 CET
Argomento: Comunicati


L’AUTONOMIA SCOLASTICA E LA DIRIGENZA: UN INCIDENTE DI PERCORSO?
L’AUTONOMIA COME PRINCIPIO DI SISTEMA
L’AUTONOMIA SCOLASTICA, LA DEFINIZIONE GIURIDICA E L’ASSETTO ISTITUZIONALE
L’ASSOCIAZIONISMO DELLE SCUOLE

redazione@aetnanet.org

L’AUTONOMIA SCOLASTICA E LA DIRIGENZA  UN INCIDENTE DI PERCORSO?

Dal sito www.governarelascuola.it
Recentemente, abbiamo definito l’autonomia scolastica un’incompiuta; forse è anche peggio, forse dobbiamo dire che si è trattato di un incidente di percorso.
Per evitare fraintendimenti, precisiamo che stiamo parlando dell’assetto istituzionale e gestionale dell’autonomia scolastica e del sistema di istruzione più in generale, non dell’autonomia funzionale; anzi, le scuole hanno acquisito una pratica dell’autonomia organizzativa e didattica che costituisce ormai un punto fermo, pur in mezzo alle mille difficoltà da affrontare e ai tagli draconiani degli ultimi anni.
Del pari, non intendiamo occuparci di ordinamenti o di valutazione, se ne parla anche troppo con pochi risultati; potremmo dire che ci occupiamo delle “gambe per camminare”: il funzionamento della scuola reale che non fa notizia, a parte le piccole note di colore o peggio le ricorrenti tragedie di natura edilizia.
Il Sistema-Italia non è interessato al funzionamento dell’autonomia scolastica, a parte i riferimenti ritualistici senza contenuto alcuno; anche il neo ministro Profumo, dopo l’ossequio di rito all’autonomia, sembra voler volare alto nei cieli dell’informatica, almeno per quanto riportato dalla stampa.
Adesso ci rendiamo conto fino in fondo di come l’autonomia scolastica sia nata debole, perché non è nata come una riforma di sistema, discussa nell’opinione pubblica e condivisa dalle forze politiche e sociali, è stata invece frutto di un provvedimento che potremmo definire “incidentale” nell’ambito della Legge 59/1997, collocato nel quarto ed ultimo Capo insieme...alle acque termali e minerali!
L’autonomia scolastica nasce in effetti come qualcosa di posticcio, da molti considerata un incidente di percorso da neutralizzare il più possibile; infatti, dal 2001 tutto si è fermato, eppure, poteva non essere così, se solo si fosse voluto.
Con la Legge 59/1997, Bassanini ha dato inizio ad un processo di decentramento amministrativo che si è mosso lungo due assi portanti, due forme diverse di sussidiarietà:
- la sussidiarietà verticale, una specie di devolution amministrativa, consistente nel decentramento di competenze dall’apparato ministeriale centrale a quello periferico e soprattutto in un passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni ed agli EE.LL.
- la sussidiarietà orizzontale, consistente nel trasferimento di competenze dagli enti politici generalistici alle “autonomie funzionali”, intese come “enti gestori” di servizi di natura specialistica.
Senza voler sottovalutare l’aspetto del decentramento amministrativo, l’aspetto più innovativo della Bassanini sta proprio in questo secondo aspetto; lo stesso passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni ed agli EE.LL. può essere considerato non solo un semplice decentramento, ma anche una forma sussidiarietà orizzontale, quello che già in Costituzione troviamo nella forma di valorizzazione delle autonomie locali.
L’autonomia scolastica è a pieno titolo frutto di questo “doppio movimento” di sussidiarietà:
-da una parte è un decentramento di competenze all’interno del MIUR, in quanto la gestione del servizio di istruzione passa dall’Amministrazione scolastica centrale e periferica alle singole istituzioni scolastiche
-questo passaggio di competenze però non è un semplice decentramento amministrativo, perché a tutte le istituzioni scolastiche viene conferita la personalità giuridica e viene attribuita l’autonomia i campo organizzativo e didattico, le scuole diventano cioè “autonomie funzionali”.
Va sottolineato che nel campo proprio dell’autonomia organizzativa e didattica né lo Stato, né le Regioni, né gli EE.LL. possono mettere bocca, naturalmente nel rispetto delle Leggi della Repubblica.
Questa netta e forte caratterizzazione dell’autonomia scolastica come autonomia funzionale in campo organizzativo e didattico, nel campo cioè della definizione e della gestione dell’offerta formativa, è la sua forza e al contempo la sua debolezza.
Per capirci: cos’è una scuola autonoma? Qual è la sua natura giuridico- istituzionale? Qual è il suo assetto gestionale interno? Quali sono i suoi rapporti con il Miur, le Regioni e gli EE.LL?
Domande senza risposta.
Dopo la Legge 59/1997 vengono emanati i provvedimenti che rendono possibile, almeno nelle sue linee essenziali, l’ esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica, addirittura nel 2001 l’autonomia scolastica diventa principio costituzionale, i cuori si aprono alla speranza...
Invece, tutto si ferma; di qui la nostra definizione dell’autonomia scolastica come un’incompiuta, o, se si preferisce, di un incidente di percorso.
A livello generale, la Riforma Costituzionale del 2001 rimane inattuata, tra tentativi di devolution, di nuove riforme costituzionali, di federalismo fiscale.
Nella scuola, anziché implementare e portare a compimento l’autonomia appena abbozzata, ci si incaponisce sulla riforma dai cicli, da Berlinguer alla Moratti, senza di fatto concludere niente; con la Gelmini e le ultime manovre siamo ai puri e semplici tagli, che per una strana eterogenesi dei fini potrebbero portare almeno ad una certa razionalizzazione del sistema, basti pensare alla generalizzazione degli istituti comprensivi nel primo ciclo.
Eppure, lo ripetiamo, si potevano seguire altre strade.
L’autonomia poteva diventare il principio base del sistema di istruzione e formazione, a tutti i livelli e in tutti i campi, applicando il principio di sussidarietà sia in senso verticale che in senso orizzontale.
Si potevano esplorare strade ampiamente praticate in altri settori, si poteva andare ad un’espansione dell’autonomia scolastica sul territorio, nella forma giuridica di un Consorzio/Associazione di natura istituzionale tra scuole di un determinato territorio, oppure di un’Agenzia sul modello di quelle definite dalla proprio dalla Legge 59/1997.
La Protezione Civile o l’Agenzia delle Entrate si, l’Autonomia Scolastica no.
Diciamo la verità: a parte qualche lodevole eccezione, a cominciare dai padri fondatori Bassanini e Berlinguer, le forze politiche di destra e di sinistra non ci hanno creduto, per non parlare delle forze sindacali che nella scuola hanno sempre avuto una specie di potere di veto.
Ci si permetta la citazione di due episodi piccoli, ma emblematici.
Nel 2007 il neo Ministro Fioroni, appena nominato, si domanda: cosa sono questi CSA? Torniamo ai Provveditorati di una volta, che almeno sappiamo cosa sono...
Molto prima, nel 1997, al congresso fondativo della Cisl-Scuola, interviene il Ministro Berlinguer e l’indirizzo di saluto viene affidato ad un Direttore Didattico di Roma, che inizia così il suo intervento: “Onorevole Ministro, adesso che ci avete appioppato l’autonomia, cosa volete fare...?”
Purtroppo, viene da pensare che effettivamente l’autonomia scolastica è stata “appioppata” ai dirigenti e al personale della scuola, ma il vero dominus del servizio di istruzione rimane il buon vecchio Ministero, non solo a livello centrale, ma anche sul territorio.
Di pari passo con la messa in un angolo dell’autonomia scolastica abbiamo assistito allo svilimento della figura professionale del Dirigente delle Istituzioni
Scolastiche: non solo la perequazione con le altre dirigenze è rimasta lettera morta, ma si è venuta addirittura a creare una sperequazione all’interno della categoria; del resto, autonomia scolastica e dirigenza sono nate insieme, la debolezza dell’una comporta la debolezza dell’altra.
Delle figure di sistema e della carriera docente meglio tacere, per carità di patria.
Forse, a questo punto è necessario fare un salto di qualità, perché continuare a ragionare seguendo le logiche di questi ultimi anni serve a poco, l’esperienza dimostra che non si va da nessuna parte; conviene provare a volare alto, come alcuni fecero all’inizio degli anni novanta del secolo scorso, quando si cominciò a parlare di autonomia e dirigenza, nell’ostilità generale.
Del resto, per diversi anni ci saranno solo lacrime e sangue, il tempo per impostare qualcosa di nuovo non manca di certo.
Questi per chi scrive i punti fondamentali su cui riflettere, lungo tre direttrici.
1-LA NATURA DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE
Il sistema di istruzione e formazione nei suoi indirizzi e connotati fondamentali deve rimanere “statale”, al fine di assicurare la fruizione di un diritto fondamentale a tutti i cittadini italiani, nel rispetto dell’art. 117    della
Costituzione.
Le Regioni devono adattare il sistema al loro territorio, definendone le caratteristiche a livello di legislazione concorrente e stabilendo i criteri per la distribuzione equilibrata dell’offerta formativa.
Gli EE.LL. devono avere funzioni di supporto nella gestione del servizio e di proposta nella definizione della domanda formativa
2-LA GESTIONE DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE
Il Ministero deve mantenere le sole funzioni di indirizzo e di controllo, un po’ come è oggi per il servizio sanitario nazionale.
La gestione del sistema deve passare in toto all’autonomia scolastica, l’amministrazione periferica del MIUR va superata, va integrata nell’ambito di quella che abbiamo in passato chiamato un’ espansione territoriale dell’autonomia.
Questa “espansione territoriale” potrebbe assumere varie forme, la più consona all’autonomia sembra essere un’Agenzia Statale per l’Istruzione e la Formazione di livello regionale, che preveda al suo interno l’istituzionalizzazione dell’associazionismo delle scuole.
L’Agenzia deve provvedere al reclutamento dei dirigenti, attingendo dal personale della scuola, superando così la divisione tra dirigenza amministrativa, dirigenza tecnica e dirigenza scolastica
3-L’ASSETTO ISTITUZIONALE DELLA SCUOLA AUTONOMA
Devono essere definiti la natura giuridica dell’istituzione scolastica autonoma ed il suo assetto di governo e di gestione, stabilendo le competenze degli OO.CC. e degli organi monocratici.
Deve essere istituito un managment intermedio interno alla scuola, tramite l’istituzionalizzate delle “figure di sistema”, nel numero minimo di tre per ogni scuola, per l’area della gestione, dell’amministrazione e della didattica.
La scuola autonoma, in forma associata nell’Ambito dell’Agenzia per l’Istruzione e la Formazione, deve provvedere al reclutamento del personale docente ed ATA.
In questo numero della rivista affronteremo il secondo blocco di questioni, perché è il più vicino all’esperienza quotidiana delle scuole autonome e perché solo dalle scuole può ripartire un “movimento per l’autonomia”.
Un’importanza fondamentale può averla l’associazionismo delle scuole, che è stata l’unica forma organizzata di supporto all’autonomia, per quanto limitata ed molto travagliata in questi dieci anni.
Agli altri due blocchi dedicheremo i prossimi due numeri della rivista.

Pietro Perziani, perziani-at-libero.it; ,
past presidente della FNASA
Dal sito www.governarelascuola.it

L’AUTONOMIA COME PRINCIPIO DI SISTEMA

Dal sito www.governarelascuola.it
L’autonomia deve andare ben oltre la semplice autonomia funzionale, deve diventare il principio fondante, l’architrave giuridico/istituzionale di tutto il sistema di istruzione e formazione.
Per poter fare proposte per il futuro, non si può fare a meno di analizzare quanto già acquisito, per coglierne i punti di forza, i principi che vanno non solo difesi, ma anche sviluppati.
1- UN’ ANALISI DELL’AUTONOMIA SCOLASTICA
Ripartiamo dall’autonomia funzionale; per tentarne un’analisi, può essere utile partire da tre concetti fondamentali, ripresi dalle scienze economiche, ma ormai di uso comune anche nel mondo della scuola:
-l’offerta formativa
-la domanda formativa
-l’acquisizione e l’utilizzo delle risorse (umane, strumentali e finanziarie), che permette l’incontro tra domanda ed offerta.
I tre concetti sono strettamente interrelati: se c’è un’“offerta formativa”, necessariamente deve esserci una “domanda formativa”, e viceversa; l’incontro tra domanda ed offerta dipende dalle risorse disponibili.
La definizione dell’offerta formativa
La definizione dell’offerta formativa costituisce lo “specifico” delle scuole autonome, la loro natura fondante; con l’autonomia, le scuole diventano gli unici soggetti istituzionali deputati a gestire il servizio pubblico di formazione/istruzione, mentre gli altri soggetti pubblici (MIUR, Regioni, Enti Locali) svolgono una funzione di supporto.
La definizione della domanda formativa
Nella situazione pre-autonomistica era essenzialmente lo Stato centrale ad esprimere la domanda formativa, per via legislativa, tramite una definizione degli ordinamenti, dei curricoli e dei programmi molto rigida; la scuola italiana era (Ed è?) essenzialmente una “scuola degli ordinamenti e dei programmi”.
A partire dal1997, la riforma autonomistica cerca di centrare la scuola sul territorio, assegnandole il compito di captare la domanda di formazione e di istruzione che da esso proviene, espressa sia dai soggetti istituzionali che da quelli non istituzionali, a partire dagli alunni e dalle loro famiglie.
L’acquisizione e la gestione delle risorse
Nella gestione delle risorse finanziarie e strumentali, la riforma autonomistica apporta grosse novità, funzionali ad una organizzazione della scuola più flessibile; nell’acquisizione delle risorse le scuole autonome non hanno però praticamente voce in capitolo.
La fornitura e la gestione delle strutture edilizie, nonché delle suppellettili, a partire dal D.Lgs 112/1998 è competenza degli EE.LL..
Va sottolineato che la riforma costituzionale del 2001 assegna in tutti e tre gli ambiti una funzione fondamentale alle Regioni, funzione in gran parte rimasta sulla carta.
Rimane difficile capire come si possa veramente gestire il servizio:
-senza poter interloquire con i referenti istituzionali nella fase della definizione della domanda formativa
-senza aver voce in capitolo nella fase di acquisizione delle risorse, a cominciare da quella fondamentale, che nell’istruzione è senz’altro il capitale umano.
Non è qui in discussione la funzione e il ruolo dei decisori politici; sono loro che fissano gli obietti del sistema di istruzione e stabiliscono l’ammontare delle risorse messe a disposizione, in quanto (e non può essere altrimenti) è il “committente pubblico” che decide quanto investire nell’istruzione e nella formazione, in rapporto al tipo di servizio che vuole ottenere, fermo restando che negli ultimi anni si è proprio raschiato il fondo del barile.
In sostanza, le scuole continuano ad essere eterodirette; dipendono nella loro funzionalità da altri Enti, a cominciare dal MIUR, per cui la piena competenza in tema di “gestione dell’offerta formativa” rischia di restare una petizione di principio.
Eppure, se la legge 59/1997 non poteva andare oltre, per precisi vincoli costituzionali, con la riforma del Titolo V della Costituzione c’è stato il salto di qualità: è stata ridefinita la stessa architettura Costituzionale della Repubblica, la scuola e il sistema di istruzione nel suo complesso sono uno dei campi che più in profondità sono stati interessati dalla riforma.
Nell’ambito di un processo di attuazione della Riforma Costituzionale, che prima o poi dovrà pur partire, è possibile ipotizzare tre scenari per il futuro assetto del servizio di istruzione: uno neocentralista, uno a forte impronta regionalista, uno a forte connotazione autonomista.
Il neocentralismo
Le resistenze di vario tipo al decentramento autonomista in questi anni non sono di certo mancate, diciamo anzi che sono uscite vincenti; quanto abbiamo detto in questa stessa rivista in merito al rapporto tra autonomia scolastica e MIUR non lascia adito a dubbi.
Il regionalismo spinto
Un’altra tendenza che si è delineata con forza nella legislatura 2001-2006 e che sembra collocarsi all’opposto rispetto alla tendenza neocentralista è quella che si potrebbe definire di “regionalismo spinto” o di devolution.
Questa tendenza mira a ridurre al massimo le competenze dello Stato a favore delle Regioni, in varie forme; in Italia abbiamo una realtà dove questa tendenza è già legge, la provincia autonoma di Trento, ed una realtà dove vige una specie di sistema misto in applicazione dello statuto autonomistico, la Sicilia.
Possiamo dire che i risultati molto diversi non depongono a favore di un sistema che dovrebbe assicurare la piena fruizione di un diritto fondamentale su tutto il territorio nazionale.
Come vedremo in un prossimo numero della rivista, anche questa tendenza non può essere considerata pienamente autonomista, perché comporta il rischio di un centralismo regionale anche peggiore di quello statale.
L’autonomia come principio di sistema
La nostra posizione si basa su una precisa concezione del federalismo, che valorizza il principio di sussidiarietà sia in senso verticale che orizzontale: gli spazi di autonomia vanno allargati a tutti i livelli, in tutte le materie; se non si valorizzano gli Enti e le Istituzioni autonome ai diversi livelli territoriali, si va incontro a un...decentramento del centralismo!
Se si assumono questi principi, vanno rifiutate non solo le impostazioni neocentralistiche di tipo classico, cioè quelle stataliste, ma anche le posizioni che affidano alle Regioni un ruolo più o meno preponderante sia in campo legislativo che amministrativo.
L’impostazione autonomistica si basa su alcuni principi :
-lo Stato fissa per via legislativa solo norme e/o principi generali, in modo da assicurare a tutti i cittadini i livelli minimi di fruizione dei diritti costituzionalmente tutelati e stabilire un quadro di riferimento che permetta la creazione di sistemi regionali tra loro compatibili
-le Regioni determinano a livello legislativo l’assetto dei servizi nei rispettivi territori
-le competenze amministrative e gestionali vengono affidate ad agenzie/enti ad hoc (autonomie funzionali), in raccordo con gli EE.LL.
Se si accettano questi principi, l’autonomia scolastica deve essere a fondamento di qualsiasi assetto che il servizio di istruzione possa assumere. 2-L’ESPANSIONE TERRITORIALE DELL’AUTONOMIA SCOLASTICA
L’ assetto gestionale ottimale del servizio di istruzione si deve basare su un’espansione dell’autonomia scolastica a livello territoriale, attribuendo a questa “espansione territoriale” la gestione dei sistemi di supporto che la legge 59/1997 suddivide tra Uffici periferici del MIUR, le Regioni e gli EE.LL.
L’art. 118 della Costituzione porterebbe ad assegnare, a seconda delle materie, la competenza in questo campo ai Comuni, eventualmente alle Province e alle Regioni, ma c’è anche la possibilità di operare nel senso della sussidiarietà orizzontale.
Abbiamo parlato in questa rivista di associazionismo delle scuole, il primo passo dovrebbe essere la sua istituzionalizzazione, finalizzandolo all’arricchimento dell’offerta formativa; il solo associazionismo delle scuole però non basta, è necessaria una struttura amministrativa che assicuri una gestione efficiente delle risorse e sia in grado di interloquire con tutti i referenti istituzionali e con il territorio nella definizione della domanda formativa, una struttura che non può non collocarsi a livello regionale.
Come appena accennato, queste espansioni territoriali dell’autonomia di carattere amministrativo-gestionale dovrebbero operare istituzionalmente in stretto raccordo con lo Stato, gli EE.LL e le Regioni, essere una loro interfaccia, salvaguardando le loro prerogative, secondo le diverse competenze previste dalla Costituzione
La struttura amministrativa da noi indicata servirebbe anche a tutelare al meglio i principi contenuti nella prima parte della Costituzione, in merito alla libertà di ricerca e di insegnamento, e a salvaguardare la prerogativa statale di indicare i livelli essenziali di fruizione del diritto all’istruzione.
Naturalmente dovrebbe essere anche presente un vero sistema di valutazione, indipendente ed efficiente.
Di nuovo, che forma giuridico-istituzionale dare a questa “espansione territoriale dell’autonomia”?
Potrà sembrare strano, ma questo oggetto misterioso esiste già nell’ordinamento, anche se solo sulla carta, sin dal 1999.
La legge 59/1997 e il conseguente D.Lgs. 300/99 hanno inoltre introdotto, o meglio definito rispetto al passato, due nuove modalità organizzative gestione dei Ministeri: i dipartimenti e le agenzie.
Il modello organizzativo dell’Agenzia (Art.8 del D.Lgs 300/99) è molto più innovativo rispetto a quello del dipartimento; l’Agenzia è infatti una struttura autonoma che svolge un’attività di carattere tecnico-operativo precedentemente esercitata direttamente dal Ministero : è un’ autonomia funzionale.
Vediamo le caratteristiche dell’Agenzia, come definite nel citato art. 8 del D.Lgs 300/99.
Comma 1:
“Le agenzie sono strutture che, secondo le previsioni del presente decreto legi¬slativo, svolgono attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in atto esercitate da ministeri ed enti pubblici. Esse operano a servizio delle ammi¬nistrazioni pubbliche, comprese anche quelle regionali e locali.”
Emergono con chiarezza le caratteristiche dell’autonomia funzionale: un servizio specialistico viene affidato ad una struttura ad hoc, “ a servizio” di una Pubblica Amministrazione, Stato, Regioni ed EE.LL.
Comma 2:
“Le agenzie hanno piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge e sono sotto¬poste al controllo della Corte dei conti ...Esse sono sottoposte ai poteri di indi¬rizzo e di vigilanza di un ministro...”
Nel loro campo, le Agenzie hanno piena autonomia operativa, il Ministro ha poteri di indirizzo e di Vigilanza; qui si sta parlando dei Ministeri, è chiaro che in un’Agenzia regionale i poteri di indirizzo e di Vigilanza sarebbero esercitati magari da un assessore.
Nei commi successivi dell’art.8 e nell’art.9 vengono analiticamente indicate le caratteristiche dell’Agenzia:
- è guidata da un direttore generale
- ha un proprio statuto e un proprio regolamento
- il direttore generale e i dirigenti sono responsabili della gestione e dei risultati ottenuti, in rapporto agli obiettivi fissati dal Ministro e delle risorse assegnate
- ha un comitato direttivo, formato da un massimo di quattro dirigenti, che ha il compito di coadiuvare il direttore generale nella gestione dell’Agenzia stessa
- i poteri di indirizzo e controllo del Ministro si esplicitano in:
*approvazione dei programmi di attività e dei bilanci
*emanazione di direttive con l’indicazione degli obiettivi da raggiungere *indicazione di eventuali specifiche attività da intraprendere
*acquisizione di dati e notizie ed effettuazione di ispezioni
- l’Agenzia si organizza ed agisce sulla base di un’apposita convenzione stipulata con il Ministro competente
- l’Agenzia può stipulare convenzioni con altri Enti, sulla base di una convenzione-quadro stabilita dal Ministro competente
- è prevista la possibilità per il direttore generale di proporre al Ministro competente, di concerto col Ministro del Tesoro, l’adozione di un regolamento contabile ispirato a principi privatistici, in deroga alle disposizioni di contabilità pubblica.
Come detto, le Agenzie hanno le caratteristiche proprie dell’autonomia funzionale, siamo cioè nello stesso ambito giuridico dell’autonomia scolastica. Certo, le Agenzie sono ancora strutture ministeriali, mentre come ben sappiamo nel servizio di istruzione e formazione si incrociano le competenze di Stato, Regioni ed EE.LL., per cui il modello appena descritto è senz’altro un vestito troppo stretto per l’autonomia scolastica e il servizio di istruzione e formazione in generale.
Il D.Lgs 300/1999 prevede però all’art. 10 uno status particolare per due agenzie che hanno avuto un grande successo: le Agenzie Fiscali e la Protezione Civile. Tutti conosciamo queste Agenzie, ma il Decreto prevede anche la costituzione di un’Agenzia specifica per il sistema di istruzione e formazione, che nessuno conosce per il semplice motivo... che non è mai stata realizzata!
L’art. 88 istituisce l’ “Agenzia per la formazione e l'istruzione professionale”; ri¬portiamo i primi tre commi:
“1. È istituita, nelle forme di cui agli articoli 8 e 9 del presente decreto, l'agen¬zia per la formazione e l'istruzione professionale.
2.    All'agenzia sono trasferiti, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, i compiti esercitati dal ministero del lavoro e previdenza sociale e dal ministero della pubblica istruzione in materia di sistema integrato di istru¬zione e formazione professionale.
3.    Ai fini di una compiuta attuazione del sistema formativo integrato e di un equilibrato soddisfacimento sia delle esigenze della formazione professionale, connesse anche all'esercizio, in materia, delle competenze regionali, sia delle esigenze generali del sistema scolastico, definite dal competente ministero...” E’ chiaro che oggi queste sembrano norme da “archeologia giuridica”, ma nel 1999 erano estremamente innovative; nell’unico campo dove c’era un’interazione tra MIUR e Ministero del Lavoro, l’istruzione e soprattutto la formazione professionale, veniva prevista la costituzione di un’Agenzia che permettesse la gestione integrata di competenze diverse.
Se ritorniamo ai nostri giorni, il sistema di istruzione e formazione è ormai un puzzle di competenze di fatto inestricabile, che va avanti per forza d’inerzia lungo i vecchi canali statali e regionali, separati, come se niente fosse successo dal 2001 ad oggi, salvo le sentenze della Corte Costituzionale, che rimangono però anch’esse un flatus vocis in base al principio della continuità dell’azione amministrativa.
Convinti come siamo che l’autonomia scolastica sia la sola, vera ed unica innovazione della scuola italiana, innovazione che peraltro rischia sempre più di essere soffocata in un contesto anti-autonomistico, riteniamo che un’Agenzia sia la forma giuridica migliore per la gestione del servizio di istruzione, in quanto l’Agenzia è per definizione anch’essa espressione di autonomia funzionale.
Certo, non può essere una semplice Agenzia ministeriale, deve essere espressione dei diversi Enti che anno competenza sul sistema di istruzione e formazione: Stato, Regioni ed EE.LL.
Del pari, come detto, l’Agenzia si dovrebbe basare in primo luogo sull’autonomia scolastica e sull’associazionismo delle scuole, anch’esso naturalmente istituzionalizzato.
In un periodo come quello che stiamo vivendo, è chiaro che l’istituzione dell’Agenzia non deve comportare un aggravio di spesa, a cominciare dal personale.
L’Agenzia deve avvalersi del personale dell’attuale Amministrazione Periferica del MIUR e di quello delle Scuole, sia a livello impiegatizio che dirigenziale, unificando gli organici e superando la distinzione tra dirigenza amministrativa e dirigenza scolastica, ricondotte ad un unico ruolo.
Similmente, svolgendo l’Agenzia funzioni anche per Regioni ed EE.LL., anche questi Enti devono contribuire alle spese, in termini di risorse e di personale. Non vogliamo qui entrare nella questione degli assetti gestionali dell’Agenzia o delle nomine, fermo restando che andranno contemperate le competenze di Stato, Regioni ed EE.LL.

Pietro Perziani, perziani-at-libero.it; ,
past presidente della FNASA
Dal sito www.governarelascuola.it

L’AUTONOMIA SCOLASTICA LA DEFINIZIONE GIURIDICA E L’ASSETTO ISTITUZIONALE

Dal sito www.governarelascuola.it
Iniziamo dalla conclusione: alla fin fine, la scuola autonoma è un oggetto giuridicamente misterioso; può suonare strano, ma è così.
Per dimostrarlo, ripercorriamo il cammino dell’autonomia scolastica, intesa come “fatto giuridico”, dal 1997 ad oggi.
1-LA LEGGE 59/1997
E’ universalmente noto che l’autonomia scolastica è stata istituita dalla Legge 59/1997; se però proviamo a fare un’analisi strutturale della Legge, sembra che questa si occupi di tutt’altro.
L’escamotage di Bassanini e Berlinguer
Iniziamo dalla rubrica della Legge:
“Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”
Come si vede, le materie oggetto della legge sono tre:
-Conferimento di funzioni compiti alle regioni e agli EE.LL.
-Riforma della Pubblica Amministrazione
-Semplificazione Amministrativa
Passiamo all’articolazione della Legge, che si suddivide in quattro Capi.
Il primo Capo tratta del conferimento di competenze alla Regioni e agli EE.LL., la prima delle materie indicate nella rubrica; questo Capo costituisce la vera novità della Legge, perché viene introdotto nell’ordinamento quello che è stato chiamato il “Federalismo a Costituzione invariata”
Il secondo Capo tratta del riordino e della modernizzazione della P.A.; di fatto, si tratta di un aggiornamento ed una continuazione della Legge 421/1992 e del D.Lgs 29/1993; vengono qui riprese la seconda e la terza delle materie indicate nella rubrica.
A rigor di logica, la Legge dovrebbe finire qui, avendo esaurito gli argomenti indicati in rubrica; invece, ci sono altri due Capi, per la verità molto particolari.
Il terzo Capo è costituito da un solo articolo, potrebbe essere rubricato come “Disposizioni Finali”: si tratta del tentativo di rendere permanente e strutturale il processo di delegificazione, semplificazione e decentramento tramite un disegno di legge da presentare annualmente in Parlamento.
Di nuovo, la Legge non si ferma qui, c’è un quarto Capo fatto di due soli articoli, che riguarda il decentramento di alcuni funzioni dello stato centrale; l’art. 21 riguarda l’autonomia scolastica, il 22...le acque termali e minerali!
Crediamo che l’analisi della Legge 59/1997 confermi quello che abbiamo detto nell’Editoriale: l’autonomia scolastica è un provvedimento “posticcio”, inserito come di straforo in una legge strutturale di riforma della Pubblica Amministrazione, legge molto importante, che ha segnato il dibattito politico e la produzione legislativa dal 1997 ad oggi, sia livello di produzione legislativa ordinaria che di riforma costituzionale.
Attenzione: non vogliamo dire che l’autonomia sia un corpo estraneo nel contesto della Legge 59/1997, anzi; il fatto però di averla inserita come provvedimento particolare nel contesto di una legge di sistema non ha permesso di darne una definizione compiuta e articolata in tutti i suoi aspetti.
La legge 59/1997 si è limitata a definire l’autonomia funzionale, organizzativa e didattica, è questa la sua debolezza di origine, un “peccato originale” che non è stato sanato nella legislazione successiva.
In un unico articolo, sia pure formulato come una delega, non poteva infatti essere delineata nella sua completezza e in tutti i suoi aspetti una realtà nuova, per certi versi rivoluzionaria rispetto all’assetto precedente del sistema di istruzione e formazione; se fosse stato un punto di partenza, tutto bene, ma così non è stato, di qui un’altra nostra definizione: l’autonomia scolastica, un’incompiuta.
Ma perché Bassanini e Belinguer ricorsero a questa specie di escamotage per introdurre nell’ordinamento l’autonomia scolastica? Molto semplice: se fossero ricorsi ad un disegno di legge ad hoc, non avrebbe mai visto la luce!
La definizione giuridica dell’ autonomia
L’autonomia entra nella Legge 59/1997 ex abrupto, all’art. 21, comma 1: “L'autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell'intero sistema formativo”
L’autonomia scolastica si inserisce in un processo più ampio, quello della realizzazione dell’autonomia e della riorganizzazione del sistema formativo; a parte che non si capisce in che cosa consista l’autonomia del sistema formativo,è invece molto chiaro l’altro aspetto: la Legge 59/1997 compie una profonda riorganizzazione del sistema formativo, lungo due direttrici:
-decentramento (Sussidiarietà verticale) di molte competenze dal vertice alla base dell’Amministrazione, decentramento che ha come terminale ultimo la scuola autonoma
-laterilazzazione di altre competenze (Sussidiarietà orizzontale) dallo Stato alle Regioni ed agli EE.LL.
A livello giuridico-istituzionale, l’autonomia scolastica è quindi un decentramento di competenze dal centro alla periferia:
“Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le funzioni dell'Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione ... sono progressivamente attribuite alle istituzioni scolastiche”
Anche qui, la formulazione non è delle migliori, ma il senso è chiarissimo: viene decentrata dall’Amministrazione, centrale e periferica, alle istituzioni scolastiche la gestione del servizio di istruzione; questo è il contenuto essenziale dell’autonomia scolastica, naturalmente a livello giuridico/istituzionale, lo ribadiamo.
Per rendere possibile il decentramento di funzioni, viene adottato un provvedimento essenziale:
“attuando a tal fine anche l'estensione ai circoli didattici, alle scuole medie, alle scuole e agli istituti di istruzione secondaria, della personalità giuridica degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d'arte ed ampliando l'autonomia per tutte le tipologie degli istituti di istruzione, anche in deroga alle norme vigenti in materia di contabilità dello Stato”.
Viene estesa a tutte le istituzioni scolastiche la personalità giuridica di cui già godevano gli istituti tecnici, gli istituti professionali e gli istituti d'arte; l’autonomia scolastica non viene quindi definita tramite una nuova figura giuridica, ma tramite una semplice generalizzazione di qualcosa di già esistente nell’ordinamento.
E’ pur vero che si parla di ampliamento dell’autonomia, addirittura anche in deroga alle norme della contabilità di stato, ma questa è rimasta una petizione di principio.
Verrebbe da dire: fin qui, niente di nuovo: una pura e semplice devolution di competenze, sen’altro molto importante in un quadro di assoluto centralismo, ma senza alcuna vera innovazione.
L’autonomia funzionale
La vera novità non sta certo a livello giuridico, ma a livello di funzionamento; il decentramento di funzioni alla scuola autonoma si attua innovando profondamente le modalità di erogazione del servizio, a livello organizzativo e didattico.
Al comma 7 viene istituita l’autonomia organizzativa e didattica:
“Le istituzioni scolastiche ... hanno autonomia organizzativa e didattica, nel ri¬spetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livel¬lo nazionale.”
Al comma 8 è definita l’autonomia organizzativa:
“L'autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell'efficienza e dell'efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all'introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell'unitarietà del gruppo classe e delle modalità di orga¬nizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell'at¬tività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei comples¬sivi obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un'apposita programmazione plurisettimanale.”
Al comma 9 è definita l’autonomia didattica:
“L'autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad appren¬dere. Essa si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, stru¬menti, organizzazione e tempi di insegnamento, da adottare nel rispetto della possibile pluralità di opzioni metodologiche, e in ogni iniziativa che sia espres¬sione di libertà progettuale, compresa l'eventuale offerta di insegnamenti opzio¬nali, facoltativi o aggiuntivi e nel rispetto delle esigenze formative degli studen¬ti. A tal fine...sono definiti criteri per la determinazione degli organici funziona¬li di istituto, fermi restando il monte annuale orario complessivo previsto per ciascun curriculum e quello previsto per ciascuna delle discipline ed attività in¬dicate come fondamentali di ciascun tipo o indirizzo di studi e l'obbligo di adot¬tare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi.”
Al comma 10 viene definito l’ampliamento dell’offerta formativa e viene affer¬mata l’autonomia di sperimentazione e ricerca:
“Nell'esercizio dell'autonomia organizzativa e didattica le istituzioni scolastiche realizzano, sia singolarmente che in forme consorziate, ampliamenti dell'offerta formativa che prevedano anche percorsi formativi per gli adulti, iniziative di prevenzione dell'abbandono e della dispersione scolastica, iniziative di utilizza¬zione delle strutture e delle tecnologie anche in orari extrascolastici e a fini di raccordo con il mondo del lavoro, iniziative di partecipazione a programmi na¬zionali, regionali o comunitari e, nell'ambito di accordi tra le regioni e l'ammi¬nistrazione scolastica, percorsi integrati tra diversi sistemi formativi. Le istitu¬zioni scolastiche autonome hanno anche autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell'autonomia didattica e organizza¬tiva.”
C’è poco da dire: l’ autonomia funzionale in campo organizzativo e didattico è una vera e propria rivoluzione copernicana rispetto al precedente assetto rigido e centralizzato del servizio di istruzione; non è più semplice sussidiarietà verticale, siamo nel campo della sussidiarietà orizzontale al massimo livello.
Il fatto è che il vino nuovo è stato messo nell’otre vecchio e, come ci insegna il Vangelo, la cosa non funziona.
Alcune innovazioni istituzionali e gestionali
Ogni istituzione scolastica avrà una dotazione finanziaria (ordinaria e perequativa) dallo Stato per il funzionamento amministrativo e didattico, senza vincolo di destinazione, purché impiegata per i fini istituzionali (Commi 5 e 14).
Ai Capi d’Istituto è conferita la qualifica dirigenziale, contestualmente all’acquisizione della autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà d’insegnamento e in connessione con l’introduzione di nuove figure professionali del personale docente, disposizione quest’ultima mai applicata; il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree (Commi 16 e 17)
Di tutta la complessa struttura dell’istituzione scolastica, vengono affrontate solo i due aspetti appena riportati; tanto per dire, nel comma 15 si parla di una riforma degli OO.CC. territoriali peraltro mai attuata (In questo caso, meno male...), ma non si affronta la questione delle ridefinizione degli OO.CC. di istituto.
Del pari, per quanto riguarda la ridefinizione delle competenze tra Ministero, Regioni, EE.LL. e Scuola Autonoma, si fa riferimento solo all’armonizzazione delle competenze del Ministero con quelle di Regioni ed EE.LL., che peraltro costituisce il tema centrale della Legge 59/1997 (Comma 18).
L’impressione che il vino nuovo sia stato messo nell’otre vecchio si rafforza.
Di sicuro la dirigenza dei Capi di Istituto è un’innovazione fondamentale, ma anche questa è stata introdotta con il freno a mano tirato.
A parte le limitazioni delle prerogative dirigenziali, pochi oggi ricordano il comma 17:
“Il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di con-trattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree.”
La Legge dice che i dirigenti rimangono nel comparto scuola, non si parla di area contrattuale autonoma, ma di area autonoma all’interno del contratto di comparto, come già era nel CCNL 1995/1999; per fortuna (Almeno degli interessati...) nella realtà si andò alla definizione di una contrattazione di Area dirigenziale, ma in un’Area autonoma, la famosa riserva indiana!
2 – L’ATTUAZIONE DELLA RIFORMA
Come abbiamo appena visto, il nocciolo duro dell’autonomia scolastica consiste nell’attribuzione alle scuole della gestione del servizio di istruzione, in termini autonomistici la definizione e la gestione dell’offerta formativa.
Per assolvere al proprio compito, le scuole hanno bisogno di un apparato amministrativo-gestionale ed hanno bisogno di risorse, a cominciare dalla risorsa principale, che è il personale.
In attuazione della Legge 59/1997, alcune funzioni amministrative e gestionali sono state attribuite direttamente alle scuole, altre sono rimaste all’esterno, suddivise tra strutture periferiche del MIUR ed EE.LL.
Per quanto riguarda le risorse, le scuole dipendono dai suoi “committenti”, essenzialmente lo Stato e sempre più Regioni ed EE.LL., in quanto la sostanziale gratuità della scuola pubblica, non solo quella dell’obbligo, fa si che le scuole possano reperire risorse e servizi dal privato, a cominciare dall’utenza, solo in via residuale.
Quanto appena detto è stato definito in diversi provvedimenti emanati in attuazione della Legge 59/1997, che è una Legge –Delega; l’assetto definito da questi provvedimenti permane a tutt’oggi, essendo state le modifiche successive veramente minime.
In linea con l’impostazione che abbiamo scelto, ci limiteremo ad un’analisi agli aspetti giuridico-istituzionali e di gestione.
Il D.Lgs 112/1998-Le competenze di Stato, Regioni ed EE-LL.
Il D.Lgs 112/1998 ha un’importanza fondamentale nella redistribuzione di competenze tra Stato, Regioni ed EE.LL.; come detto nell’Editoriale, dedicheremo a questi temi un prossimo numero della Rivista.
Per il discorso che qui stiamo facendo, basti ricordare le materie che rimangono di competenza dello Stato:
-criteri e parametri per l'organizzazione della rete scolastica
-assegnazione delle risorse a carico del bilancio dello Stato -assegnazione del personale
Il DPR 233/1998-La dimensione ottimale della scuola autonoma
In merito alla prima delle competenze appena citate, il DPR 233/1998 fissa la dimensione ottimale della scuola autonoma in termini di numero degli alunni; viene fissato un parametro flessibile, da 500 a 900 alunni, con deroghe in alto e in basso a seconda della natura del territorio dove sono collocate le singole scuole( piccole isole, comunità montane, grandi comuni).
La questione viene ripresa nei provvedimenti di quest’anno, per la verità in termini di contenimento della spesa più che in termini di assetto ottimale di una scuola autonoma; si tratta di provvedimenti non ancora attuati ma che avranno sicuramente un effetto sulla gestionale delle scuole, per cui riprenderemo anche questa questione in un prossimo, apposito, numero della Rivista.
Il DPR 275/1999-Le funzioni amministrative e di gestione
Nel 1989 viene emanato il più importante dei provvedimento attuativi della Legge 59/1997: il DPR 275/99, che determina l’assetto della scuola come autonomia funzionale in campo organizzativo e didattico.
il DPR 275/99 però non si occupa solo di autonomia funzionale, contiene un Titolo II la cui rubrica è “FUNZIONI AMMINISTRATIVE E GESTIONE DEL SERVIZIO DI ISTRUZIONE”: siamo pienamente nell’ambito di interesse di questo numero della Rivista.
All’art. 14, comma 1 vengono definite le materie di natura amministrative e contabile che passano dall’Amministrazione Centrale e Periferica alle istituzioni scolastiche autonome:
-carriera scolastica e rapporti con gli alunni
-amministrazione e gestione del patrimonio e delle risorse finanziarie
-stato giuridico ed economico del personale, con esclusione delle materie indicate nel'articolo 15 del medesimo DPR o in altre specifiche disposizioni, che rimangono di competenza all'amministrazione centrale e periferica.
L’art. 15, come detto, stabilisce le materie attinenti la gestione del personale che rimangono di competenza ministeriale:
-le graduatorie permanenti di livello provinciale/regionale
-il reclutamento del personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato; -la mobilità esterna alle istituzioni scolastiche e utilizzazioni
-esoneri dal servizio, comandi, utilizzazioni e collocamenti fuori ruolo;
Molto importante: per quanto riguarda il reclutamento del personale, è esclusa la competenza solo per le assunzioni a tempo indeterminato, per cui le scuole hanno competenza per il reclutamento del personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, ivi comprese le supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche.
La formazione delle graduatorie provinciali e/o regionali rimane però di competenza ministeriale, per cui le due norme entrano in conflitto...
In effetti, con la Legge 333/2001 e successive modifiche ed integrazioni, è stata affidata ai dirigenti scolastici il conferimento delle supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche, ma solo nel caso che gli Uffici Provinciali non riescano a provvedere entro il 31 agosto; inoltre, i dirigenti dovrebbero assumere in base alle graduatorie provinciali, cosa chiaramente impossibile, per cui con una semplice circolare senza alcun fondamento normativo sono state inventate le “scuole polo” che a tutt’oggi sono in funzione, creando tra l’altro disfunzioni non indifferenti.
La timida apertura del DPR 275/1999 sull’assunzione del personale con contratto a tempo determinato da parte delle scuole non solo è stata vanificata, ma, per salvare la forma, è stato creato un disservizio.
Il D. I. 44/2001 e il D.M. 21/2007-La gestione amministrativa e contabile Con il D.I. 44/2001 vengono stabilite le modalità di gestione amministrativa e contabile della scuola autonoma, in applicazione di quanto disposto dalla Legge 59/1997 e dal DPR 275/1999.
Vengono introdotte importanti novità rispetto al regime pre-autonomistico:
-il “Bilancio” diventa “Programma” per affermare il principio che l’amministrazione e la contabilità sono funzionali alla didattica, alle priorità deliberate dalla scuola autonoma.
-viene abrogata la struttura rigida di bilancio per capitoli, le entrate vengono distinte solo in base alla provenienza (Stato, Regione, Provincia, Enti, privati, ecc.) ed eventualmente in base al fatto che siano soggette a vincoli di destinazione, le uscite si diversificano solo in alcune categorie fondamentali: funzionamento generale, compensi al personale, spese in conto capitale e progetti.
-si prevede la possibilità che la scuola abbia “entrate proprie”, tra cui anche i contributi volontari o finalizzati dei genitori...
-rimane comunque la gestione “per competenza”, anziché “per cassa”; ogni spesa deve avere una sua giustificazione, una sua “razionalità”, fermo restando che le finalità vengono stabilite dalla scuola.
-l'approvazione del programma annuale da parte del Consiglio di Istituto è un atto definitivo
-la competenza della realizzazione del programma annuale è del dirigente; il controllo da parte del C.d.I avviene unicamente a livello di conto consuntivo.
Successivamente, viene emanato il D.M. 21/2007, in applicazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007); queste le principali novità:
-viene istituito il famoso “Capitolone”: tutte le risorse attribuite dal MIUR alle scuole vengono unificate in un’unica voce, o meglio in due grandi capitoli, spese per funzionamento e spese per il personale
-la quantificazione delle risorse spettante ad ogni scuola avviene sulla base di alcuni parametri fissi
-l’assegnazione delle risorse viene effettuata direttamente dal Ministero alle scuole
Il D.M. 21/2007 è sulla carta un passo avanti in senso autonomistico, ma i parametri fissati per l’assegnazione delle risorse sono del tutto fuori dalla realtà, per cui la dotazione ordinaria risulta molto inferiore alle reali necessità di ogni scuola.
Di conseguenza, si è instaurato poco a poco un sistema di “colmatura” del fabbisogno a saldo, che sfugge ad ogni razionalità e ad ogni controllo.
Con il nuovo Governo, a partire dal 2008, le cose sono peggiorate nettamente; a parte l’insufficienza delle risorse a seguito dei continui tagli, si instaura una specie di “gestione di cassa”, per cui il Ministero non attribuisce alle scuole i fondi loro spettanti in base a criteri oggettivi, ma in base allo scoperto di cassa, indipendentemente dai motivi per cui una scuola si trova in attivo ed un’altra in passivo.
Emblematica la vicenda dei Residui Attivi che non vengono versati o delle voci che semplicemente scompaiono, come l’indennità di funzioni superiori spettante ai docenti vicari.
Abbiamo parlato in passato di “Finanza Creativa”, la realtà è che le scuole da almeno tre anni non sono in grado di programmare alcunché, devono solo sperare che a consuntivo i “buchi” vengano colmati.
3 - LA RIFORMA DEL MINISTERO E LE SCUOLE
Per il discorso che stiamo facendo, è chiaro che la questione fondamentale è la riforma del Ministero, o meglio la ri-definizione del rapporto tra Ministero, inteso come Amministrazione centrale e periferica, e scuola autonoma.
Il modello imperante prima dell’autonomia era quello piramidale, i poteri decisionali erano in alto, ogni decisione scendeva dall’alto in basso (Ministero→Provveditorato→Scuole), la circolare regnava sovrana; la scuola (Ministero→Provveditorato→Scuole), la circolare regnava sovrana; la scuola (Ministero→Provveditorato→Scuole), la circolare regnava sovrana; la scuola era il terminale esecutivo del potere centrale.
Quanto è cambiato questo modello?
In applicazione della legge 59/1997 sono stati emanati diversi provvedimenti di riordino dei Ministeri, uno di carattere generale, il D.Lgs 300/1999, ed altri per i singoli Ministeri; quello riguardante il MIUR è il DPR 347/2000.
Per le competenze rimaste di competenza del MIUR, si può dire che si è proceduto ad una riorganizzazione generale del Ministero, a livello centrale sono rimaste le funzioni di indirizzo e controllo mentre quelle gestionali sono state decentrate in periferia, agli Usr; noi qui analizzeremo non tanto la struttura del Ministero, quanto il rapporto Ministero-Scuole.
All’art. 49, comma 3 del D.Lgs 300/1999 è riportata una frasetta che farà molta strada, fino ad arrivare in Costituzione:
“È fatta altresì salve l'autonomia delle istituzioni scolastiche e l'autonomia delle istituzioni universitarie e degli enti di ricerca, nel quadro di cui all'articolo 1, comma 6, e dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204.”
Viene fatta salva l’autonomia delle Istituzioni Scolastiche insieme a quella degli Enti di Ricerca.
L’art. 75, comma 3 stabilisce che il MIUR, per quanto attiene alla sola istruzione non universitaria, ha un’organizzazione periferica che si articola in uffici regionali di livello dirigenziale generale, uffici che hanno un’autonoma responsabilità amministrativa.
Tra i compiti degli USR c’è quello di dare “supporto alle istituzioni scolastiche autonome” e di provvedere “alla assegnazione delle risorse finanziarie e di personale alle istituzioni scolastiche”, anche se, come detto, dal 2007 l’assegnazione delle risorse è effettuata direttamente dal Ministero.
Vengono abolite le Sovrintendenze e i Provveditorati, per cui il livello regionale sostituisce quello provinciale nella gestione del sistema di istruzione a livello periferico; particolarmente interessante la formulazione dell’abolizione dei Provveditorati, ripresa poi dal DPR 347/2000:
“...in relazione all'articolazione sul territorio provinciale, anche per funzioni, di servizi di consulenza e supporto alle istituzioni scolastiche, sono contestual¬mente soppressi i provveditorati agli studi.”
Il DPR 347/2000 è il Regolamento che definisce la nuova strutturazione del Ministero; l’art.1, comma 1 stabilisce:
“Il Ministero della pubblica istruzione, di seguito denominato "Ministero", è ar¬ticolato, a livello centrale, in due dipartimenti e tre servizi di livello dirigenziale generale a norma dell'articolo 75 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”
L’art. 1, comma 4 stabilisce:
 “Il Ministero è articolato, a livello periferico, in uffici scolastici regionali di li¬vello dirigenziale generale, uno per ciascuna regione. Tali uffici, a norma del¬l'articolo 6, comma 2, si organizzano per funzioni e, sul territorio provinciale, per servizi di consulenza e supporto alle istituzioni scolastiche.”
La formulazione è chiarissima: il Ministero ha due livelli, uno centrale ed uno periferico di livello regionale.
L’Amministrazione centrale di fatto non ha rapporti con le istituzioni scolastiche in quanto tali; gli unici riferimenti sono i seguenti:
“Il servizio per gli affari economico-finanziari...fornisce le indicazioni necessarie per la gestione amministrativa e contabile delle istituzioni scolastiche.”
“Il servizio per l'automazione informatica... provvede alla definizione di standard tecnologici e alla consulenza alla scuole in materia di strutture tecnologiche”
Come detto, il livello regionale si articola per funzioni; è prevista anche un’articolazione territoriale a livello provinciale (Art.6, comma 2):
“L'ufficio scolastico regionale, sentita la regione, si articola per funzioni e sul territorio; a tale fine sono istituiti, a livello provinciale, con possibilità di arti¬colazione a livello subprovinciale, servizi di consulenza e supporto alle istitu¬zioni scolastiche, anche per funzioni specifiche.”
Le articolazioni territoriali dell’USR, di livello provinciale e sub provinciale non sono sovraordinate rispetto alle scuole, hanno funzioni di supporto e di consulenza, non per niente verranno chiamati “Centro di Servizi Amministrativi” - CSA -; per la scuola è una vera rivoluzione, l’onnipotente Provveditorato scompare.
L’USR, in rapporto alle istituzioni scolastiche autonome, ha tre competenze (Art. 6, comma 3):
“fornisce assistenza e supporto alle istituzioni scolastiche e vigila sul loro funzionamento nel rispetto dell'autonomia ad esse riconosciuta;”
“assegna alle istituzioni scolastiche le risorse finanziarie;”
“assegna alle istituzioni scolastiche le risorse di personale ed esercita tutte le competenze in materia, ivi comprese quelle attinenti alle relazioni sindacali, non attribuite alle istituzioni scolastiche o non riservate all'amministrazione centrale;”
Negli ultimi anni, il Ministero ha cambiato spesso nome, da MIUR a MPI a MIUR, ma la sostanza non è cambiata, anche nell’ultimo Regolamento, il DPR 17/2009; diciamo che il Regolamento del 2009 ha un tono più dirigista rispetto a quello del 2000...
Comunque, va notato che:
-dal 2007, la competenza nell’assegnazione delle risorse è tornata a livello centrale
-sin dal 2004, con la sentenza n.13, la Corte Costituzionale ha stabilito che la distribuzione del personale sul territorio è di competenza delle Regioni.
A conclusione, possiamo dire che l’Amministrazione periferica del MIUR, rispetto alle istituzioni scolastiche autonome, ha essenzialmente funzioni di supporto e di vigilanza; se consideriamo che queste ultime funzioni potrebbero più proficuamente e correttamente affidate ad un “vero” Istituto Nazionale di Valutazione, che funzione hanno oggi gli USR? Detta brutalmente: ha ancora senso un’Amministrazione periferica del MIUR?
Di più: da quanto finora detto, dovrebbe emergere con chiarezza un fatto che a pieno titolo possiamo definire sconvolgente: l’istituzione scolastica autonoma non esiste, almeno non esiste nell’ambito del MIUR.
I Regolamenti che abbiamo citato dicono che esiste un’Amministrazione centrale e periferica che ha funzioni di supporto e vigilanza nei confronti delle scuole autonome, ma non dicono che cosa siano queste scuole e dove si collochino nella struttura del MIUR, addirittura da nessuna parte è detto che sono dentro la struttura del MIUR.
La carta intestata dell’istituto a suo tempo diretto da chi scrive risultava come sotto riportato:

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL LAZIO
Istituto Comprensivo “E. Q. Visconti”
C. F. 97198370583 – COD. Mecc.RMIC818005
Via della Palombella, 4-00186 Roma IR 066833114 fax 0668803438 rmee13000p-at-istruzione.it

Ritroviamo la struttura gerarchica da cui siamo partiti; abbiamo infatti quattro livelli, dall’alto in basso, quindi in ordine gerarchico:
-la Repubblica, indicata dallo stemma
-il Ministero, indicato come MPI, oggi sarà tornato MIUR
-l’USR del Lazio
-l’I.C. Visconti di Roma
Domanda: qual è la fonte normativa che giustifica questo ordine gerarchico? Attenzione: chi scrive è ben convinto che in effetti è così, la domanda vera è: cosa sono le scuole autonome rispetto al MIUR, all’USR in particolare? Un
ufficio periferico, un organo, un ente, un istituto? La vigilanza e il supporto si esercitano nei confronti di qualcosa che è esterno...
Sopra, abbiamo riportato l’art. 49, comma 3 del D.Lgs 300/1999:
“È fatta altresì salve l'autonomia delle istituzioni scolastiche e l'autonomia delle istituzioni universitarie e degli enti di ricerca, nel quadro di cui all'articolo 1, comma 6, e dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204.”
Il fatto è che l’Università e gli Enti di Ricerca hanno una specifica definizione giuridica che ne stabilisce la natura istituzionale, gli assetti di governo e di gestione, i rapporti con il MIUR e gli altri Ministeri, le interazioni con le Regioni e gli EE.LL., gli interscambi con il privato.
Tutto questo per l’istituzione scolastica autonoma manca, ci sono norme frammentarie e poco chiare: alla fin fine, la scuola autonoma è un oggetto giuridicamente misterioso.
Recentemente, il DDL 953 presentato alla camera dall’On. Aprea ha affrontato la questione, ridefinendo l’assetto istituzionale/gestionale della scuola autonoma e soprattutto ipotizzando la costituzione delle scuole in Fondazioni; non è il merito delle proposte che qui interessa, ma il fatto che si sia voluto affrontare un problema che evidentemente non esiste solo per chi scrive.
Diciamo che l’accoglienza non entusiastica (Eufemismo...) che il DDL ha avuto in Parlamento, testimonia del livello di sensibilità autonomistica che accomuna le diverse forze politiche italiane.

Pietro Perziani, perziani-at-libero.it; ,
past presidente della FNASA
Dal sito www.governarelascuola.it


L’ASSOCIAZIONISMO DELLE SCUOLE

Dal sito www.governarelascuola.it
E’ impossibile per chi scrive essere “oggettivo” parlando di associazionismo delle scuole; le vicende che si andranno ad analizzare lo hanno infatti visto protagonista, dall’inizio fino ad oggi.
Questo articolo costituisce quindi una testimonianza, dove si cerca di adottare un punto di vista che in Antropologia Culturale viene chiamato di “osservazione partecipante”: essere dentro il fenomeno e nel contempo descriverlo e studiarlo, usando gli strumenti delle scienze sociali.
A maglie molto larghe, è quello che si cercherà di fare in questo articolo, con il vantaggiato che scrive è ormai fuori dai giochi, per cui un pochino di oggettività in più è possibile raggiungerla.
La nascita dell’associazionismo
Sin dalla promulgazione della legge 59/1997 e del D.Lgs 275/1999 è apparso chiaro che l’autonomia scolastica rischiava di nascere appesa un filo, senza un riferimento territoriale che le permettesse di interloquire con i molteplici soggetti cointeressati alla gestione del servizio di istruzione.
Questi ragionamenti chi scrive ha incominciato a svilupparli all’interno del Consiglio Scolastico Provinciale di Roma; gli organi collegiali territoriali possono sembrare oggi veramente cose di altri tempi, anche se in teoria dovrebbero esistere ancora seppure in forma diversa, basti leggere l’attuale Regolamento del MIUR (Art. 8, comma 2 del DPR 17/2009) e il CNPI in effetti è ancora funzionante, per effetto di un’infinità di proroghe.
Gli OO.CC. territoriali davano una voce alla scuola, sia pure nella forma corporativa della rappresentanza allora imperante; se ripensiamo alle lunghe procedure per la definizione dei piani di dimensionamento di quei tempi, ai diversi soggetti che venivano coinvolti, si può senz’altro dire che si trattava di procedure estremamente democratiche messe a confronto con quanto sta succedendo in questi giorni in merito alla ridefinizione della rete scolastica che deve concludersi entro il mese corrente.
Il punto di partenza della nostra riflessione fu comunque fu proprio il superamento della rappresentanza per componenti, andava creato qualcosa che desse rappresentanza alla scuola in quanto istituzione autonoma.
Apparve subito evidente che un appiglio normativo esisteva: l’art. art. 7 del D.Lgs 275/1999 che istituisce le reti di scuole.
La rete permetteva alle scuole di uscire dall’isolamento, di passare da una congerie di isole/monadi separate l’una dall’altra ad un arcipelago ricco di reciproci contatti ed interscambi.
Anche la rete, però, era un’espressione di autonomia funzionale, una logica espansione dell’autonomia scolastica intesa come auto-organizzazione nella gestione del servizio di istruzione; si pose subito il problema della natura giuridica della “Rete”, di come dargli un solido fondamento che le permettesse di essere presente a tutto campo sul territorio, di interloquire con le altre istituzioni da pari a pari.
La cosa era del tutto nuova, non si sapeva veramente dove ancorarsi; l’esempio poteva venire dalle Regioni e dagli EE.LL. che, in forma associata, hanno acquisito una valenza politica che singolarmente non avrebbero mai avuto. Ma come fare?
Ad un dirigente scolastico del XVI Distretto Scolastico di Roma, dove la discussione era iniziata da diverso tempo coinvolgendo pressoché tutti i Capi di Istituto del territorio, venne in mente di seguire la via più tradizionale: porre un quesito all’Avvocatura dello Stato.
La risposta dell’Avvocatura ha fornito la base giuridica per la costituzione delle Associazioni di Scuole, dato che ha individuato appunto nella forma giuridica dell’associazione di diritto privato la veste giuridica migliore per formalizzare su solide basi la semplice “Rete di servizio” prevista dal D.Lgs 275/1999.
Se si passa dalla forma giuridica ai contenuti, l’associazionismo delle scuole è partito da un’esigenza di “mutuo soccorso”, in termini più elevati dall’esigenza di creare sinergie tra le scuole al fine di migliorare l’offerta formativa; subito però è emersa anche un’esigenza più alta, quella di dare rappresentanza istituzionale alle scuole autonome.
A tal proposito, si riporta l’apertura della Relazione tenuta da chi scrive alla prima Assemblea Plenaria dell’ASAL:
“Su tutto il territorio nazionale si stanno sviluppando forme di associazionismo di varia natura tra scuole autonome: reti, associazioni, consorzi. Esse hanno finalità, forme giuridiche e dimensioni molto diverse tra di loro, ma tutte esprimono il bisogno di far uscire le scuole dall’isolamento, percorrendo l’unica strada possibile: quella associativa.
Bisogna valutare se questo fenomeno esprima solo una semplice esigenza di “mutuo soccorso” tra le scuole, oppure qualcosa di più profondo: la volontà e la necessità di essere presenti in quanto soggetti autonomi sulla scena sociale, politica ed istituzionale.”
Ultimo passaggio: a che livello territoriale collocare l’Associazione di scuole? Fermo restando che reti, associazioni e consorzi di servizio potevano essere collocati ai più diversi livelli territoriali, da quello distrettuale a quello nazionale, a seconda delle diverse esigenze, se si voleva dare una rappresentanza istituzionale alle scuole non ci si poteva collocare che a livello regionale, data la riforma del Titolo V appena approvata.
Il 16 maggio 2001 è così nata la prima ASA (Associazione di Scuole Autonome), quella del Lazio, denominata appunto Associazione delle Scuole Autonome del Lazio-ASAL.
Chi scrive, fu designato come primo Presidente Provvisorio; è pur vero che ci sentivamo forti del parere dell’Avvocatura dello Stato, ma alla fin fine non eravamo molto sicuri della reale portata di quello che stavamo facendo, per cui la sede legale dell’ASAL fu fissata presso...l’abitazione privata del Presidente Provvisorio, non sapendo bene dove collocarla.
Il passaggio al livello nazionale.
Il livello regionale era però per noi solo il primo livello, era necessario stabilire una rappresentanza delle scuole autonome anche a livello nazionale.
Nello Statuto dell’ASAL era previsto che l’Associazione del Lazio si facesse promotrice della costituzione di altre ASA nelle diverse Regioni e soprattutto della costituzione di una rappresentanza di livello nazionale.
In effetti, per iniziativa di quattro ASA regionali (Lazio, Campania, Abruzzo e Puglia) il 27 luglio 2001 fu costituita la FNASA-Federazione Nazionale delle Associazioni delle Scuole Autonome.
Fu scelta la forma della Federazione perché si voleva mantenere l’ispirazione autonomistica: come le scuole autonome danno vita ad Associazioni territoriali, queste si uniscono a livello nazionale in forma di federazione delle diverse realtà regionali.
A livello di sede legale si fece un bel salto di qualità: la sede dell’ANCI, in via dei Prefetti a Roma; non si trattava però di un riconoscimento politico, ma della sensibilità personale dell’allora Segretario Generale dell’Anci, oggi Presidente della Provincia di Rieti.
Il passaggio a livello nazionale ha comportato una mutazione profonda nella costruzione dell’Associazionismo delle Scuole; si passò da un’azione spontanea dal basso ad una egemonizzata da una precisa associazione sindacale, la Fnasa fu di fatto costituita sotto l’egida dell’Anp, che sin dal Congresso del 1999 aveva individuato nell’associazionismo delle scuole un punto importante della sua azione associativa.
Si poteva scegliere un’altra strada? Certo, si poteva continuare con l’azione dal basso, ma come riuscire ad essere presenti in tutte le Regioni, per poi passare al livello nazionale?
Chi scrive e coloro che parteciparono a quella prima fase fondativa si muovevano nell’alveo del binomio “Autonomia e Dirigenza”, per cui, pur provenendo da esperienze diverse, trovarono naturale appoggiarsi all’Anp per cercare di fare il salto di qualità, dallo spontaneismo di livello locale ad una forte struttura di livello nazionale.
Del resto, nonostante molti tentativi, non fu possibile coinvolgere i sindacati confederali, salvo che in Piemonte, dove l’Asapi nacque con l’accordo di tutte le forze sindacali; solo in Lombardia sono nate della realtà associative molto forti al di fuori dell’influenza sindacale.
Perché questa insistenza sul ruolo dei sindacati? Perché in Italia tutto quello che si muove nella scuola non può prescindere dai sindacati, allora come oggi; questa è la realtà, anche se il pansindacalismo non è mai piaciuto a chi scrive; vedremo se le vicende degli ultimi anni che hanno senz’altro indebolito i sindacati apriranno la strada ad altre forze associative, per non parlare delle forze politiche che dovrebbero riappropriarsi del loro ruolo, nel senso naturalmente di una politica con la P maiuscola.
La crisi dell’associazionismo delle scuole
Comunque, oltre alla Fnasa, furono costituite ASA in tute le Regioni; alcune si rivelarono subito un bluff, altre si consolidarono nei loro territori e a tutt’oggi sono un punto di riferimento per le scuole autonome, forse negli ultimi anni il più importante, se non l’unico.
A livello nazionale, non si è andati invece molto avanti, la Fnasa non è riuscita ad affermare la presenza dell’autonomia scolastica nello scenario politico e sociale italiano; del resto, come ben sappiamo, il processo autonomistico si è sostanzialmente bloccato nel 2001.
Va anche detto che ben presto si è fatta sentire l’ambivalenza originale, tra autonomia e tutela sindacale, fino ad arrivare nel 2007 ad una spaccatura della Fnasa dovuta a motivi che con l’associazionismo delle scuole non hanno nulla a che fare.
Oggi sembra che tutto si sia fermato; anche l’Anp nell’ultimo congresso ha di fatto cantato il De Profundis all’associazionismo delle scuole.
Come detto, esistono però diverse Associazioni regionali forti e ben radicate; chi scrive è convinto che sia possibile e necessario ricominciare a lavorare per dare una rappresentanza nazionale delle scuole autonome, possibilmente ripartendo da quanto di buono, seppur poco, fatto in passato.

Pietro Perziani, perziani-at-libero.it; ,
past presidente della FNASA
Dal sito www.governarelascuola.it






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