Cultura valutativa
Data: Sabato, 07 gennaio 2012 ore 14:22:28 CET Argomento: Rassegna stampa
Nell’ambiente
scolastico la valutazione è praticata da diversi anni ma rimane carente
la cultura della valutazione: la valutazione è considerata un
adempimento imposto, una pratica burocratica, un inciampo,
non uno strumento che facilita la comprensione delle dinamiche in atto.
Diventa quindi prioritario dissipare molti pregiudizi intorno alla
valutazione, riconoscere che esiste una cultura della valutazione e
considerare preziosa una tale esperienza per i benefici personali e
professionali che si possono trarre. Sperimentando un processo
partecipativo di valutazione si apprendono gli aspetti della cultura
della valutazione e si impara a pensare ed ad agire “in modo
valutativo”.
La valutazione diventa
una vera e propria attività di formazione, la scuola diventa luogo in
cui costruire opportunità formative, “un organizzazione che apprende”:
apprende dalla propria esperienza, a partire dalla riflessione sul
proprio comportamento; utilizza le conoscenze incorporandole nelle
proprie pratiche quotidiane; modifica la propria strategia e le proprie
linee di azione in funzione dell’apprendimento avvenuto.
Un’organizzazione apprende quando i cambiamenti che giovano alla sua
efficacia ed efficienza si producono e restano a disposizione
dell’organizzazione stessa, anche quando le persone che compongono
quell’organizzazione cambiano e vengono sostituite da altre.
Ma per favorire la creazione e il mantenimento di una cultura condivisa
della valutazione è necessario coinvolgere gli insegnanti lungo
tutto l’arco del processo di valutazione: stabilire e mantenere la
credibilità del valutatore, interagire per discutere in merito ai
collegamenti fra valori ed obiettivi e alle relazioni che esistono tra
la definizione dei valori e l’identificazione dei risultati, per
chiarire il significato e l’importanza dei risultati della valutazione,
per un confronto sulle decisioni da prendere, per l’attuazione delle
alternative proposte, per integrare la valutazione nei processi
dell’insegnamento-apprendimento.
La responsabilità, affinché la valutazione venga considerata cultura
per l’apprendimento e il miglioramento organizzativo, è, in
misura diversa, spartita fra dirigenza e insegnanti.
Spetta al dirigente scolastico, come richiamato dalla C.M. del 18
ottobre 2011, (Servizio nazionale di valutazione – Rilevazione degli
apprendimenti per l’a,s, 2011/12. Trasmissione direttiva ministeriale e
indicazioni operative) e dalla D.M. n. 88 del 3.10.11, la messa
in opera di puntuali e capillari interventi di informazione e
formazione finalizzati a diffondere, all’interno della scuola e a
favore delle famiglie, una corretta conoscenza delle finalità della
rilevazione e del suo svolgimento, in particolare per quanto riguarda:
l’oggetto e le modalità della rilevazione, ampiamente evidenziata dalla
direttiva; la coerenza con gli obiettivi di apprendimento definiti a
livello nazionale; la qualità delle prove, adeguatamente pre-testate e
validate con procedure statistico-psicometriche; la necessità, per
ottenere dati affidabili, di una corretta somministrazione; l’utilità
che riveste per la singola istituzione scolastica il rapporto dei
risultati, che permette di apprezzare il valore aggiunto realizzato
dalla scuola e di promuovere in modo mitrato le azioni di miglioramento
della didattica.
Interventi di informazione e formazione costruiti in tempi e spazi dove
lavorare serenamente, con un impegno conoscitivo congruente con la
complessità dei cambiamenti in atto nelle nostre scuole e nella
società, rivedendo rappresentazioni interiorizzate e convinzioni legate
a determinati tempi, a determinati luoghi e diventate verità
indiscutibili e irrinunciabili.
Gli insegnanti devono affrontare qualche responsabilità verso se stessi
e verso i propri allievi, soggettivamente mettersi in gioco,
interrompere una logica assunta quasi automaticamente, aprirsi a nuove
comprensioni che favoriscano prospettive operative nuove, in
discontinuità rispetto alle modalità abituali. Non rassegnarsi in una
sorte di fatalismo; noi stessi siamo parte delle condizioni di lavoro
che viviamo e accettare di farsi coinvolgere nel processo
della valutazione prelude ad una opportunità per imparare
nuove cose riguardo ai punti di forza e di debolezza e a possibili
direzioni da imprimere nell’agire quotidiano. Il teaching to the test,
che può essere una sfortunata conseguenza della valutazione quando gli
insegnanti ignorano alcuni aspetti del curricolo per concentrarsi sugli
elementi che figurano come indicatori del successo della
valutazione, può anche diventare un mezzo per favorire un
cambiamento nella metodologia dell’insegnamento-apprendimento.
Mi piace condividere un aneddoto personale che molto mi ha fatto
riflettere sulle responsabilità soggettive dell’agire personale.
Torino, maggio 2011, convegno internazionale “La sfida della
valutazione” indetto dalla Fondazione per la scuola, Compagnia di San
Paolo; uno dei relatori, Andreas Schleicher, responsabile divisione
indicatori e analisi, direzione per l’istruzione OCSE, tematica
dell’intervento: “la valutazione su larga scala degli apprendimenti”.
Il relatore presentando i risultati ottenuti da alcuni paesi che hanno
partecipato all’indagine Ocse-Pisa, invita a considerare le
modalità di operare delle scuole che riescono ad ottenere buoni
risultati, competenze molto avanzate negli studenti indipendentemente
dall’origine sociale, in quanto l’analisi di Pisa si limita a far
conoscere i dati, gli elementi predittivi, e non a dare indicazioni
operative. Presenta situazioni dove gli insegnanti più bravi insegnano
nei contesti più difficili, individua i fattori di successo nella
qualità dell’insegnamento, nella disciplina nelle classi e nella
collaborazione con i genitori. Presenta anche un video sulle
scuole in Finlandia, un contesto d’insegnamento molto lontano dalle
nostre realtà lavorative. Mi era parso così illuminato nelle sue
considerazioni che non ho resistito dalla voglia di chiedergli come noi
in Italia, con le nostre risorse, i nostri contesti sociali e politici
potevamo operare per garantire migliori performance. Questa in sintesi
la risposta: quando gli ingegneri entrarono nelle fabbriche giapponesi
a lavorare a fianco degli operai, nacque il toyotismo, un insieme
di idee produttive fondate sull’innovazione organizzativa, sulla
qualità totale che portarono alla crescita della produttività. Voi
insegnanti, tutti laureati, non siete in grado di decifrare le diverse
difficoltà, di individuare modalità innovative per affrontarle?
Certo che siamo in grado, se, come i colleghi finlandesi, possiamo
incontrarci all’interno della scuola in piccoli gruppi, in una
prospettiva di lifelong learning, che passa anche attraverso la cultura
valutativa. (di Rosalia Garzitto da
http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=8144)
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