Le due non-riforme della Gelmini "boicottano" il concorso di Profumo
Data: Mercoledì, 04 gennaio 2012 ore 08:17:16 CET Argomento: Opinioni
Quali
sono le prospettive delle politiche dell’istruzione nell’era del
“governo tecnico”? Per rispondere a questa domanda occorre una qualche
preventiva terapia del linguaggio. “Governo tecnico” è, in realtà, il
nome dell’impotenza confessa della politica nel tempo presente. La
maggioranza di governo si è trovata paralizzata di fronte alla crisi di
origine interna e internazionale, con ciò aggravandone l’impatto ai
limiti dell’irreversibilità catastrofica. L’opposizione ha avuto paura
di andare alle elezioni, di rischiare di vincerle e di dover fare
quelle stesse scelte, la cui mancanza rimproverava al governo in
carica. Pertanto, maggioranza e opposizione hanno deciso
bypartisanamente di concedersi “un anno sabbatico”, delegando ad una
sorta di Comitato di salvezza nazionale le scelte che esse non erano in
grado di compiere.
Se si tratti anche di una sorta di “suicidio assistito” c’è da
sospettarne. In ogni caso ha prodotto a tutti gli effetti “un governo
di unità nazionale”. Déja vu! Negli anni 1976-78 questa scelta provocò
l’assassinio di Moro e l’avvio della fine della Prima repubblica.
Questa volta, meno tragicamente, il governo di unità nazionale chiude i
battenti della Seconda repubblica. Il governo Monti è un governo
politico per interposta persona ed è un governo a tempo. Porta la croce
altrui come il cireneo. Pertanto sia a coloro che la auspicano sia a
coloro che la temono va fatto notare che non è praticabile nessuna
scorciatoia tecnocratica per sbrigare le due pratiche che la Gelmini ha
lasciato sul tavolo. Tutto continua a restare in mano alle forze
politiche, lo vogliano o no.
La prima pratica è quella della realizzazione del tirocinio formativo
attivo (Tfa), il cui avvio era stato previsto nella lettera del
ministro Gelmini ai sindacati del 10 agosto 2011. Intanto: quali sono i
numeri esatti in ballo? La legge stabilisce che l’accesso al Tfa non
debba sforare il tetto dei posti effettivamente disponibili – dei quali
la metà spettante ai precari in graduatoria – maggiorato del 20 per
cento. Ora i posti disponibili sono certamente diminuiti. Voci
insistenti – di cui è doveroso qui dare conto – danno per certo un
rinvio del provvedimento sul tavolo del ministro da parte del Consiglio
di Stato a causa del mancato rispetto della legge, cioè per
“sforamento”. Finché continua la danza dei numeri, inaugurata dal
ministro Gelmini per accontentare – ma solo a parole – gruppi di
pressione interni alla ex-maggioranza, si rischia soltanto di far
ripartire il meccanismo perverso della riproduzione di precariato.
Abilitare tutti e dare il posto a pochi, significa, infatti, creare una
vasta “terra di mezzo” di abilitati senza posto, destinati a diventare
la base del nuovo precariato. Prima tutti i laureati si aspettavano il
posto. Ora tutti gli abilitati, per un’illusione di secondo livello. In
questo contesto la proposta del ministro Profumo di un ritorno ai
concorsi nazionali, decentrati per regione, suona come una fuga in
avanti, al netto delle commendevoli buone intenzioni. E non solo perché
il tempo del governo è breve. Il guaio è che il meccanismo dei concorsi
è da sempre rivolto al solo accertamento del possesso di conoscenze,
mai a quello della capacità di usarle nel contesto educativo e
didattico. Mentre le conoscenze si accertano mediante prove scritte e
orali – è il modello accademico classico – le competenze-chiave
professionali di un docente richiedono altre tecniche: presentazione di
portfolio professionale, osservazione diretta sul campo da parte di
ispettori, raccolta di giudizi dall’ambiente circostante, colloqui
personali.
Come non reclutare lo si potrebbe evincere mettendo sotto la lente il
recentissimo concorso per dirigenti. Alla fine della trafila quiz –
prove scritte – prove orali, nessuna competenza-chiave del dirigente
sarà accertata, salvo eccezioni. Il meccanismo dei concorsi della
Pubblica Amministrazione – di cui la scuola continua a far parte – è
iper-obsoleto. Riproporlo nell’anno 2012 la dice lunga sulla resistenza
ostinata del blocco storico conservatore bypartisan e sulla geometrica
potenza del pensiero unico statal-burocratico. Questo meccanismo
centralistico si espone, già ora, alle forti ed efficaci pressioni
spartitorie e corruttive di partiti, di sindacati e di associazioni
professionali. Nell’ipotesi che soggetto reclutante divenissero le reti
di scuole, senza che venisse cambiato radicalmente il sistema di
accertamento – dalle conoscenze alle competenze – la permeabilità
all’intervento corruttivo esterno aumenterebbe smisuratamente. Ogni
comunità educante ha il dovere – e perciò il diritto – di reclutare
personale coerente con il proprio progetto educativo e formativo. A due
condizioni: che si accertino in modo pubblicamente inoppugnabile le
competenze professionali del candidato; che il dirigente scolastico,
cui spetta la decisione finale di assunzione, sia valutato e paghi
immediatamente le conseguenze di scelte cattive.
Qui si sfoglia il dossier della seconda pratica importante rimasta
aperta sul tavolo del ministro Gelmini. Quella della valutazione
esterna degli studenti, degli insegnanti, dei dirigenti, delle scuole.
L’Invalsi è tutto ciò che abbiamo. Esso accerta alcuni
apprendimenti-chiave di fasce di classi e in alcuni passaggi decisivi
(terza media – prossimamente la maturità), li elabora, li restituisce a
livello nazionale e alle singole scuole. Una valutazione esterna pare
necessaria, soprattutto in conseguenza del fatto che i parametri di
quella interna sono totalmente saltati tra Nord e Sud, tra settori e
indirizzi, tra classe e classe. Il valore legale del titolo di studio
condiziona pesantemente in senso negativo la qualità della valutazione
interna. Ma resta che la valutazione esterna, puramente statistica, va
incontro a parecchi inconvenienti.
Per valutare il funzionamento di una scuola o le capacità di un
insegnante o di un dirigente, non bastano i test: occorre
l’osservazione prolungata diretta. A suo tempo, nel luglio 2001, la
Moratti decise che il modello Ofsted degli inglesi, fondato
sull’ispettorato, non fosse praticabile in Italia. E scelse il metodo
Invalsi. Ciononostante, anch’esso fu ostacolato da un basso
investimento iniziale in risorse finanziarie e umane. I dati delle
singole scuole non furono mai resi pubblici. Senza pubblicità dei dati,
senza trasparenza non nasce nessuna consapevolezza da parte dei
genitori e dei ragazzi, e perciò non si accumula nessuna massa critica
per le riforme. La scuola resta una turris eburnea. Alla buona notizia
che il ministro Profumo ha dato circa la futura trasparenza e
pubblicità dei dati relativi alle scuole si dovrebbe aggiungere anche
quella della obbligatoria pubblicità dei risultati delle valutazioni.
Quanto alla valutazione dei docenti – finito nelle nebbie ministeriali
il Sivadis per valutare i dirigenti – il Progetto Valorizza è rimasto
fumo negli occhi ed è fallimentare. Deve essere solo chiuso – almeno
per quanto riguarda i docenti – nonostante le pressioni interessate
delle tre Fondazioni, che chiedono di continuare a tenerlo in piedi per
un altro anno. Rifiutato con pessime intenzioni, ma con fondati
argomenti, dai Collegi dei docenti e dalle organizzazioni sindacali,
esso è servito a non affrontare la questione decisiva: quella della
carriera e dello stato giuridico dei docenti. Vari progetti di legge
sono stati presentati in questo decennio in Parlamento,
bypartisanamente concorde sul rinvio permanente. E poiché l’unico
documento ancora vivo nella Commissione cultura della Camera è il Pdl
953, di lì occorre ripartire. I tempi tecnici ci sono.
Sul tavolo pubblico del Paese resta aperta, nonostante i timidi
cambiamenti della cosiddetta “riforma” Gelmini, l’intera questione
educativa e formativa: le riforme istituzionali, curriculari,
ordinamentali e del personale sono solo enunciate e, alla fine,
rinviate. Che esse passino hic et nunc sul tavolo del governo Monti
pare essere irrealistico. Le LIM e tutta la tecnologia digitale restano
solo “quisquiglie e pinzillacchere”, se non si avviano quelle riforme.
Su queste sarebbe almeno auspicabile che le forze politiche, liberate
dalle necessità del consenso quotidiano, si confrontassero in
quest’anno cruciale, sabbatico per loro, ma non per il Paese.
(di Giovanni Cominelli da
http://www.ilsussidiario.net)
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