Duello sulla scuola. ''Oltretevere'' mette a confronto pro e contro ai finanziamenti pubblici alle scuole private
Data: Lunedì, 02 gennaio 2012 ore 14:47:11 CET
Argomento: Rassegna stampa


Maria Grazia Colombo, lei è presidente della dell’Associazione genitori scuole cattoliche (Agesc). Il Papa chiede di investire sull’educazione, ma, in una fase di tagli alla spesa la scuola pubblica non statale è un «lusso» o una risorsa per lo Stato?
«La scuola non statale o paritaria. E’stata riconosciuta dalla legge firmata nel 2000 da Berlinguer che ha istituito il sistema nazionale unitario di istruzione, composto da scuola statale e paritaria. Sia l’una che l’altra sono da considerarsi pubbliche, in quanto svolgono un servizio a favore di tutti i cittadini. La scuola paritaria è una risorsa per lo Stato, perché in essa si attua l’autonomia responsabile, cioè la possibilità di optare per le formule organizzative più adeguate. Cioò manca nel sistema scolastico statale poiché non è ancora stata attuata la legge sull’autonomia scolastica del 1997. Sotto il profilo dell’organizzazione, il modello scolastico delle paritarie è interessante per l’intero sistema nazionale dell’istruzione in quanto razionalizza dle risorse».
In che modo?  «A partire da un piano di offerta formativa condiviso da tutti i soggetti della comunità scolastica. Mi riferisco a insegnanti, studenti e genitori. Proprio in questo momento di crisi economica, il sistema paritario costituisce un elemento di novità. Nonostante ciò, veniamo penalizzati. Per ogni allievo della scuola statale dell’infanzia lo Stato spende ogni anno 6.116 euro, contro i 584 per allievo che frequenta la scuola paritaria. Nella primaria (elementari) lo scarto è di 7.366 euro contro 866, nella secondaria di primo grado di 7.688 euro contro 106, nella secondaria di secondo grado di 8.108 euro contro 51 euro».
Quanto risparmia lo Stato?
«Queste differenze, tra spesa per alunno che frequenta la scuola statale e alunno della paritaria, generano per lo Stato un risparmio sulla spesa complessiva destinata alla scuola di 6.245 milioni di euro all’anno, di cui 3.436 nella scuola dell’infanzia, 1.202 nella primaria (elementare), 496 nella secondaria di primo grado (medie inferiori) e 1.110 nella secondaria di secondo grado. E’ evidente che il mantenimento e lo sviluppo del sistema paritario risulta una voce a favore dello Stato, in quanto attua un vero e proprio sistema sussidiario all’incontrario. Mediamente dal 2002 il capitolo di spesa per la scuola paritaria è stato fra i 520 e i 530 milioni di euro (tranne per il 2011 dove si è fermato a 497 milioni), di cui 355 circa per l’infanzia, 160 per le primarie (elementari), 6,9 per le secondarie (medie e superiori), 10 milioni come integrazione per alunni portatori di handicap, 4,5 milioni assegnati dalla direttiva annuale attuativa della Legge 440 del 1997».
E per il 2012?
«La previsione è di 523 milioni. Gli alunni delle scuole paritarie sono pari al 12,1% della popolazione scolastica (in crescita nel 2010 sul 2009 dell1,3%), ma incidono sul bilancio del ministero dell’istruzione in ragione dell’1,2%. Il disequilibrio nella ripartizione delle risorse è evidente. Noi siamo favorevoli al “buono scuola” anche se aperti ad altre forme di finanziamento, come la detrazione d’imposta.Ma oggi il punto fondamentale per noi è quello di ottenere uno strumento di finanziamento certo, sia per garantire lo sviluppo della scuola paritaria sia per assicurare una condizione di equità reale tra genitori di alunni della scuola statale e quelli della paritaria, questi ultimi allo stesso modo cittadini come i primi».
Cosa danno le scuole cattoliche in più rispetto a quelle statali?
«Non si tratta di contrapporre le due esperienze educative, anche se differenti.La ricchezza del sistema nazionale di istruzione è data oggi dalla diversificazione dell’offerta formativa. E’ necessario, piuttosto, rimettere al centro e discutere i contenuti. Mi riferisco principalmente alla modalità in cui nel mondo scolastico si vivono le relazioni tra insegnanti, studenti e genitori, che allo stesso titolo formano la comunità scolastica. Occorre ritornare a fare dialogare le parti sgombrando il campo da ogni posizione ideologica e cercando di lavorare insieme, ognuno all’interno del proprio ruolo, per una scuola veramente aperta alla realtà. E l’articolo 33 dell Costituzione afferma che “la legge deve assicurare piena libertà alle scuole non statali che chiedono la parità, e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni della scuola statale”.

Livia Turco(Pd),qual è la priorità per l’istruzione?
«Ora lo Stato deve investire nella scuola pubblica. La priorità assoluta è risollevare l’istruzione pubblica, gravemente impoverita da un’epoca di tagli indiscriminati. C’è da recuperare il terreno perduto nel recente passato».
E le scuole private?
«Bisogna valutare caso per caso quali svolgano effettivamente un servizio pubblico. E cioè va verificato se le scuole private rispettino standard e criteri di qualità e interloquiscano con le istituzioni. La Costituzione affianca all’indispensabile sistema scolastico statale il diritto a istituire scuole private senza oneri per lo Stato.
Sono una risorsa o un lusso?
«Nell’istruzione come nella sanità va superata la contrapposizione pubblico-privato. C’è un privato religioso che di fatto svolge una funzione pubblica. Alle materne mio figlio ha frequentato un istituto cattolico, quindi conosco personalmente queste realtà. Fa bene il Papa a richiamare il valore dell’educazione».
Perché lo Stato deve investire nella scuola pubblica?
«Soprattutto nella scuola di primo grado, il ruolo dell’istruzione pubblica è fondamentale. Lo Stato deve garantire alle giovani generazioni pari opportunità nella formazione. Ed è qui che va inserito un percorso educativo anche sulle religioni. Viviamo in una società multireligiosa, perciò non ha più senso l’esonero dall’ora di religione come quando in classe si insegnava solo il cattolicesimo. Una sana laicità valorizza nella dimensione pubblica la religione e non la confina nella sfera privata. La globalizzazione ha cambiato la società e in Italia non c’è più una sola fede».
L’educazione è un antidoto alla povertà?
«Sì.In Italia, a differenza del resto dell’Europa, la povertà riguarda in modo particolare i minori. Secondo l’Istat, gli individui con meno di 18 anni che vivono in famiglie relativamente povere sono 1 milione e 728 mila (il 17,1 per cento). Il 72% dei minori poveri vive nel Mezzogiorno, dove risiede il 40% o del totale dei minori; al contrario, nel nord dove risiede il 42% dei minori, vive appena il 16,5 per cento dei minori poveri. Lo Stato deve garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale un’istruzione adeguata e in linea con i parametri europei».
C’è il rischio di un’istruzione di serie b?
«Sì. Particolarmente critica e in peggioramento nel corso degli anni è la situazione delle famiglie con tre o più minori,che sono povere nel 30,2% dei casi. Sono necessari interventi per contrastare le povertà minorile e bloccare la trasmissione della povertà da una generazione all’altra attraverso un adeguato sostegno al reddito delle famiglie e lo sviluppo di una rete di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Proprio perché le risorse sono limitate, occorre prioritariamente investire nella scuola pubblica. Il ruolo dell’istruzione nella formazione dei giovani è così importante da non consentire ulteriori errori»(da http://www.lastampa.it)

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