Caro Ministro della Pubblica Istruzione, se vuole bene alla scuola, si dimetta.
Data: Martedì, 20 dicembre 2011 ore 15:53:21 CET Argomento: Rassegna stampa
Caro Ministro della
Pubblica Istruzione, se vuole bene alla scuola, si dimetta. Non mi
riferisco ovviamente al Prof. Profumo, ma proprio al Ministro, al suo
ruolo e alla sua funzione. È una semplice constatazione: negli ultimi
vent’anni, se non ci fossero stati ministri dell’istruzione, la scuola
sarebbe andata sicuramente meglio. Tutte le grandi riforme annunciate e
attuate a metà sono andate contro la scuola e non hanno fatto altro che
aggravare una situazione di crisi permanente. La scuola, come del resto
la società italiana, ha resistito alle incompetenze e alle bizzarrie –
per usare un eufemismo – della politica. Ha resistito significa che ha
in sé il movimento vitale del tutto autonomo per continuare da sola e
la politica è stata semplicemente un corpo estraneo legittimato a
strapazzarla a seconda dei capricci dei potentati di turno. Ma
guardiamo all’oggi: tale regola purtroppo non aveva ancora la
possibilità di essere falsificata o riconfermata dal nuovo ministro, ma
sono bastati pochi giorni ed ecco che il brivido della falsificazione
dovrà attendere forse ancora qualche tempo: ‘concorso per 300.000
insegnanti entro il 2012; motivo: vogliamo i giovani!’
Le illustro il mio caso personale, perché la mia storia è comune a
molti. Le scrive un insegnante che all’età di 25 anni – quando era
giovane - si è abilitato all’insegnamento; oggi ne ha 34, ha una
famiglia e un lavoro precario. Per lo standard italiano è ancora
giovane, ma non troppo. Ha fatto un concorso (quiz, orale, scritto) per
frequentare la scuola di abilitazione (due anni a tempo pieno con
frequenza obbligatoria, esami e tirocinio) e un concorso (tesi,
scritto, orale) per uscire dalla stessa scuola con l’abilitazione.
Insegna da ben 9 anni. Attende pazientemente il suo turno in
graduatoria permanente per avere il ruolo. Bene: questo insegnante
dovrà fare un altro concorso per ottenere il posto che attualmente
ricopre, che gli spetta e che aspetta da 9 anni. Vogliamo farne una
questione formale? Il concorso siss non era formalmente un concorso a
cattedra? Obiezione accolta. Controbiezione: chi è in grado di
giudicarmi? Una commissione formata da insegnanti che magari hanno solo
qualche anno di anzianità in più di me e che potrebbero essere miei
colleghi? Qualche barone universitario che non ha mai messo piede in
una scuola? Non sto parlando di ‘valutazione’ dell’insegnamento, sto
parlando di continuare o meno a fare il mio lavoro.
La retorica dei ‘giovani’ è totalmente priva di senso: nella scuola
siamo entrati tutti da ‘giovani’, il problema è che siamo invecchiati
da precari. Il fatto che sfugge totalmente a questa boutade del
concorso è che il lavoro che gli insegnanti precari fanno da decenni
nella scuola vale zero, nulla. Io non ho assolutamente nulla di
differente dal mio collega di ruolo, se non il fatto che per motivi di
bilancio delle casse dello stato, non sono di ruolo. Cosa dovrei
dimostrare con il concorso, che so fare il lavoro che faccio da 9 anni?
La scuola non ha bisogno di ‘giovani’ in quanto giovani; il problema
della scuola è – come sempre quando si tratta di cultura – un problema
di senso. Un tecnico forse queste cose non le capisce, ma un professore
universitario dovrebbe almeno porsi il problema. Sì, proprio un
problema di senso. E come si risolvono i problemi di ‘senso’? Prima di
tutto ponendoseli.
Pensare di risolvere la cosiddetta crisi della scuola ricorrendo alla
vuota retorica del merito, ai test invalsi o alla metafisica della
palingenesi generazionale, significa continuare a mirare al bersaglio
sbagliato. Spero tanto che prima o poi le cartucce finiscano.
Emanuele Rainone da insiemeunaltrascuola@googlegroups.com
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