Intervista a Marco Rossi Doria: «Un salto rispetto al passato: apriamo le porte ai giovani»
Data: Martedì, 20 dicembre 2011 ore 14:38:40 CET Argomento: Rassegna stampa
Da maestro di
strada Marco Rossi Doria, se ripensa al “suo” ingresso nella scuola,
ancora oggi non trattiene l’entusiasmo: «È un mestiere bello, anzi
direi esaltante, io ho iniziato a farlo che avevo ventun’anni...». Da
neo-sottosegretario all’Istruzione però quando parla di ridare ai
giovani la possibilità di diventare insegnati, misura parole e numeri.
Sa cosa vuol dire, dopo tredici anni, tornare ad annunciare un concorso.
Quando sarà bandito? «Attenzione:non siamo ancora a questo. Ma c’è uno
studio intenso negli uffici del ministero per capire come applicare
finalmente le normative esistenti. Metà dei docenti di cui la scuola
avrà bisogno, come prevede la legge124 del 1999, saranno reclutati
attraverso le graduatorie permanenti, l’altrà metà, come prevede la
legge del 244 del 2007, attraverso concorso. Così è stabilito dalle
norme che già esistono. Da una parte ci sono le esigenze di fatto e di
diritto di chi è già inserito in graduatoria, dall’altra però occorre
anche rispondere all’esigenza di fare entrare nuove persone giovani
nell’insegnamento».
Di quanti posti stiamo parlando? «Certo non abbiamo trecentomila
cattedre da ricoprire come hanno scritto alcuni giornali. Ci sono
quelle che si libereranno man mano che la gente andrà in pensione,
tenendo conto che con le nuove norme anche gli insegnanti andranno in
pensione più lentamente. Io, per esempio, ci dovevo andare nel 2013 e
ci andrò invece nel 2019. Comunque dei posti si libereranno e si
faranno ripartire i concorsi perché metà di quelle cattedre saranno
assegnate per concorso. Questa è l’ipotesi di studio».
Si può fare almeno una stima? «I numeri di quanti posti si
libereranno nella scuola nei prossimi tre anni sono allo studio dei
nostri tecnici. È un computo complesso. Dobbiamo recepire le nuove
normative per la pensione, vedere quante sono le cattedre nelle diverse
discipline e nei diversi segmenti del sistema scolastico. È un lavoro
già in atto. Ma finché non sarà terminato non possiamo parlare di
numeri. Tanto meno di 300mila cattedre a disposizione. Purtroppo
saranno molte di meno».
Oggi il ministro parlava di 25mila l’anno. I sindacati temono che
possano essere anche meno con le norme sulla pensione. «Il lavoro che
stiamo facendo è proprio di controllare quel numero. Posso però dire
che se fosse 25mila, 12.500 insegnanti sarebbero presi dalle
graduatorie permanenti e l’altra metà da nuovi concorsi. La modalità di
questi concorsi e la loro durata non sono ancora stati decisi.
Certamente c’è un problema e questo governo ha deciso di affrontarlo.
Dopo 13 anni è un fatto epocale «È una grande notizia. La terza
in pochi giorni. La prima è che non si parla più di tagli per la
scuola, per ora. La seconda è che sono stati dati dei soldi, 974milioni
per l’edilizia scolastica, per le infrastrutture informatiche e per la
lotta alla dispersione. La terza è questa del concorso per gli
insegnanti».
Quanti saranno gli aspiranti? «Su questo si sono cimentati in tanti. Io
mi sottraggo. Che faccio vado in giro a chiedere ai giovani: vuoi fare
l’insegnante? Lo troverei bizzarro ».
I sindacati dicono che si rischia di dare loro false speranze. «Io
penso che il mondo della scuola che attende notizie dal ministero sia
adulto: sa quante sono le complessità, come e quanto questo mondo è
stato fermo e quanto ci vuole per rimetterlo in moto. Trattiamo tutti
da adulti. Diciamo cosa vogliamo fare e in che direzione ci si sta
muovendo. False illusioni questo governo non ne vuole dare».
C’è il rischio che sei posti a disposizioni non saranno molti si
generi un conflitto? «Ripeto: abbiamo due esigenze da contemperare,
salvaguardare le legittime aspettative di chi è precario e
salvaguardare il principio che dei giovani e giovanissimi devono poter
accedere a questo mestiere. Dobbiamo fare le due cose insieme. Molto
spesso nella vita bisogna tenere insieme due principi e noi proveremo a
farlo. L’esperienze e le nuove energie servono entrambe».
Quelli che ce la faranno in che scuola si troveranno a insegnare?
«Si troveranno a insegnare in una scuola in trasformazione che ha nuove
funzioni di guida rispetto ai giovani, dal momento che siamo dentro una
crisi che è anche crisi di modelli educativi. Guidare i giovani
all’apprendimento e a misurarsi con se stessi e con il mondo in
generale è un mestiere esaltante».
Quando lei ha iniziato a insegnare si pensava che la scuola potesse
cambiare i disequilibri sociali è ancora così? «Certo che si può ancora
pensare perché in tutto il mondo e anche in Italia l’istruzione, lo
dicono i dati di Bankitalia, continua ad essere il principale fattore
di contrasto delle diseguaglianze. Se riesci a scuola hai più
possibilità di migliorare rispetto alla condizione di vita dei tuoi
genitori».
Anche in questo Paese? «Anche in questo Paese, anche in questo
tempo».
(da L'Unità)
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