Valorizzare il merito, la "meritocrazia" lasciamola perdere
Data: Martedì, 20 dicembre 2011 ore 13:04:33 CET
Argomento: Opinioni


La tentazione del "governo dei saggi" è di antichissima data. Nella modernità essa è stata tradotta in programma concreto dall'Illuminismo e potrebbe essere riassunta con il motto del celebre marchese di Condorcet: «Ogni società che non è governata da filosofi è condannata a cadere nelle mani di ciarlatani». E qui "filosofo" è sinonimo di "sapiente". È fuor di dubbio che ciò che legittima il potere è soltanto la conoscenza, il sapere, la competenza (diremmo oggi). Il sapere è il solo strumento che può consentire di adattare le norme alle sinuosità e complessità del reale e quindi a realizzare una conciliazione tra le istanze particolari e l'oggettività delle leggi, ma soltanto in linea di tendenza. Una simile conciliazione non potrà mai essere concretamente realizzata in modo completo: soltanto l'onniscienza potrebbe consentirlo, e siccome l'onniscienza non è di questa terra, un governo di sapienti che ritenesse di possedere la verità sarebbe soltanto un governo di tiranni.              
 Difatti, l'onniscienza si sostituirebbe alle leggi, le quali, per il fatto stesso di avere carattere generale non possono mai applicarsi in modo perfetto a tutte le situazioni particolari, mentre l'onniscienza sarebbe capace di farlo, per definizione. Ma – come ha osservato Alexandre Koyré – «una scienza siffatta non è cosa umana. Il politicós ideale dovrebbe essere un saggio: ancor di più, un dio. Se fosse un uomo, ovvero se un uomo si ponesse al disopra della legge, sarebbe assolutamente un tiranno». Per questo la democrazia è – come fu detto da Churchill – la peggior forma di governo eccetto tutte le altre sperimentate finora. Quante volte ciascuno di noi, ascoltando dei commenti politici rozzi dettati da ignoranza, ha avuto la tentazione di pensare: «Ma perché mai un simile ignorantaccio dovrebbe avere a disposizione un voto al pari di altri più capaci di intendere»? Eppure da una simile tentazione le persone ragionevoli si ritraggono prontamente. Non è soltanto per lo spettacolo di tanti saggi la cui sapienza si mostra così poco saggia: si pensi ai tanti dotti di economia che dall'alto dei loro allori dispensano le ricette più banali, peggiori di quelle che avrebbe potuto escogitare la persona più incompetente nella dottrina economica. Se ne ritraggono per un motivo più profondo: la conoscenza deve avanzare in tutta la società e non essere il monopolio di un'aristocrazia di onniscienti, in quanto tali detentori ideali del potere. Per questo l'istruzione pubblica è così importante: è lo strumento che più di ogni altro fa progredire la democrazia. Questo discorso non mira a dire che ogni governo dei "tecnici" o dei "competenti" è potenzialmente antidemocratico (anche a questo mira, s'intende), ma a un'osservazione più circoscritta. Nel documento di Comunione e Liberazione La crisi, sfida per un cambiamento ricorre un'espressione: «valorizzazione del merito». Ho riflettuto all'ambiguità profonda che è presente nel termine ricorrente "meritocrazia". Mi rendo conto di averlo utilizzato anch'io e voglio fare una promessa: non ne farò mai più uso e incito chiunque a fare altrettanto. Difatti, un conto è valorizzare il merito, cioè stimolare tutti a migliorare, a primeggiare, premiare chi fa meglio, anziché frustrarlo e umiliarlo appiattendolo sui nullafacenti. Altro conto è parlare di "meritocrazia", ovvero di governo di coloro che primeggiano. Le parole sono pietre e "meritocrazia" è una parola profondamente ambigua che, non a caso, piace ai tecnocrati. "Valorizzazione del merito" è una bella espressione, tanto lontana dall'egualitarismo di marca totalitaria, quanto aperta e inclusiva.               di Giorgio Israel http://gisrael.blogspot.com/

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