Intervista a Elena Ugolini “Favoriremo l’ingresso in aula dei giovani prof
Data: Lunedì, 19 dicembre 2011 ore 08:44:17 CET Argomento: Rassegna stampa
Elena Ugolini,
sottosegretario all’Istruzione, che cosa può fare la scuola per dare
una risposta ai giovani che cercano sé stessi?
«Il problema riguarda innanzitutto noi adulti che non possiamo dare
quello che non abbiamo. I ragazzi chiedono sempre di essere aiutati “a
trovare il loro posto nel mondo”, ma siamo presi da talmente tante cose
che non ce ne accorgiamo, non lasciamo loro lo spazio per essere
presenti davanti a noi con la loro unicità. Nessuna legge potrà mai rendere un docente
capace di “aiutare un ragazzo ad essere sé stesso”, ma si
possono sicuramente porre le condizioni perché la scuola sia un luogo
dove questo desiderio è continuamente a tema tra insegnanti, genitori e
dirigenti».
Come deve rispondere un professore a questa domanda?
«Non deve smettere di
insegnare italiano, matematica, fisica o scienze per trasformarsi in
uno psicologo. Anzi. Proprio attraverso il lavoro quotidiano che si
dovrebbe fare leggendo un testo, imparando a scrivere, scoprendo una
legge fisica, facendo un’esperienza in laboratorio che si può prendere
sul serio le domande dei ragazzi fino al punto di aiutarli a “trovare
la loro strada”. Il più bel telegramma di congratulazioni che ho
ricevuto per la mia nomina è stato quello della mia docente di
Filosofia al Liceo. “Con antica stima”, c’era scritto. Avevamo idee
diverse ma era preparata e mi/ci stimava. I ragazzi sono il nostro
specchio. Le loro debolezze sono le nostre incertezze. È sugli adulti
che si deve lavorare».
E il ministero che cosa può fare?
«Aiutare i ragazzi a diventare grandi richiede energia, tanta pazienza
e passione: il Ministero deve
valorizzare i docenti, rimettere al centro delle riflessioni la loro
professionalità, e sostenere il loro lavoro. Sono loro che
possono fare la differenza nelle 1000 ore che i ragazzi passano in
media a scuola ogni anno. Per fare scuola occorre andare a scuola,
sempre. I docenti devono avere lo spazio per studiare, per riflettere
insieme sul lavoro che fanno, per aggiornarsi. Anche i genitori devono
fare la loro parte: il loro atteggiamento può aiutare i professori a
ritrovare il senso del loro lavoro».
Insomma, bisogna fare formazione. Ma è anche vero che la sensibilità
non si insegna. Non sarebbe più utile stabilire le caratteristiche che
un insegnante dovrebbe avere e selezionare su questa base i futuri
docenti?
«Le nuove modalità di formazione iniziale degli insegnanti segnano un
passo in avanti importante. Ma è solo entrando in una classe o in un
laboratorio che si può capire se l'insegnamento è la professione per
cui si è “vocati”, ed il giudizio sul tirocinio avrà un peso
fondamentale nell’esame finale. Questo provvedimento è ancora fermo e
da quattro anni i giovani laureati che desiderano insegnare non hanno
la possibilità di conseguire l’abilitazione. Se incrociamo questo dato
con il fatto che l’ultimo concorso per i docenti risale al 1999 e che
le graduatorie aperte da 11 anni sono diventate ad esaurimento, è
chiaro che ci sono tutte le condizioni per cambiare. È giusto che le persone in graduatoria
entrino, come previsto per legge, sul 50% dei posti disponibili, ma è
anche giusto prevedere l’ingresso di nuove forze e ripensare alla
modalità con la quale si reclutano gli insegnanti. È una delle
richieste che ci ha fatto l’Europa»
(da La Stampa di
Flavia Amabile)
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