Quei «tecno-buonisti» che rivogliono la scuola democratica
Data: Martedì, 13 dicembre 2011 ore 11:11:53 CET Argomento: Rassegna stampa
Come ha
osservato Pietro De Marco, il governo Monti, in quanto governo tecnico
«del Presidente della Repubblica», fruisce di un «esonero» pro tempore
dalle regole di rappresentanza politica, ma il suo mandato volto
all'emergenza economica esclude che l'«esonero» possa estendersi ad
attività ministeriali diverse da questa, quanto meno in forme troppo
innovative.
Osserva De Marco che può nascere la tentazione di operare al di là di
questi limiti ma questo «sovrappiù sarebbe politicamente un abuso di
autorità».
È già assai opinabile che esistano scelte economiche tecniche prive di
valenza politica, ma ciò è assolutamente escluso in tema di istruzione,
dove le scelte sono culturali e mai riducibili a questioni di
efficienza gestionale. Purtroppo già emerge la tentazione di riprendere
il percorso «virtuoso» di un certo progressismo «donmilanista» che gli
ambienti della cosiddetta «scuola democratica» lamentano sia stato
interrotto o compromesso in questi anni. La stampa ha dato ampio spazio
ai propositi del nuovo sottosegretario Marco Rossi Doria di trasformare
le procedure della sospensione scolastica: il ragazzo torna a scuola,
viene separato dal resto della classe, fa qualche piccolo lavoretto
(cancellare una scritta) per poi riaprire un discorso con l'insegnante
e seguire le lezioni separatamente.
Può essere una buona idea - ha osservato Paola Mastrocola - trasformare
la sospensione in attività scolastica, ma non nella presa in giro di
premiare magari chi ha provocato migliaia di euro di danni con qualche
lavoretto occasionale assortito di lezioni private: tuta e guanti, i
lavori non mancano. E sudi il doppio per recuperare lo studio perduto.
V'è chi pensa che la punizione sia soltanto dannosa. V'è chi pensa che
l'accoglienza e il dialogo non servano se non sono assortite
dall'esercizio della giustizia, che è essenziale nella formazione della
coscienza del cittadino. Un grande pensatore cattolico come Arturo
Carlo Jemolo ha ricordato che la colpa deve avere come risposta al
contempo la carità e la punizione assortita di una componente
«afflittiva». Sono opinioni diverse, ma il tema è delicatissimo e un
governo tecnico non può assumersi la responsabilità di schierarsi sulla
linea di dottrine pedagogiche che si sentono dotate di una sorta di
investitura divina.
Nascono perplessità analoghe su altri temi. La Fondazione Agnelli ha
prodotto uno studio sulla scuola media individuandola come il buco nero
della scuola, proponendo di ristrutturarla secondo il modello della
scuola primaria, vista come un modello di successo, e muovendo verso
l'eliminazione della lezione frontale, un tema anche questo avanzato da
Rossi Doria. La questione è assai controversa. È tutt'altro che
evidente che la scuola primaria funzioni bene. A mio avviso, e di molti, è la vera matrice
del disastro della scuola. I vizi della scuola media non sono dovuti
alla sua funzione istitutiva che, al contrario, è preziosa, quanto a
specifici difetti, tra cui la pessima preparazione degli insegnanti di
scienze: a questi e altri ha proposto valide soluzioni il nuovo
regolamento per la formazione degli insegnanti che però da tre anni è
scandalosamente boicottato, e in questo periodo più che mai. Ci si
attende che il governo tecnico rimuova questo boicottaggio e che invece
si tenga alla larga da scelte impegnative e dotate di fortissima
valenza culturale come il «cooperative learning». Tanto più sarebbe
sbagliato farlo sulla base di studi che hanno il solito difetto di
basarsi su statistiche e test senza entrare mai nel merito di cosa e
come viene insegnato effettivamente a scuola.
Non si può chiedere a istituzioni confindustriali e bancarie di avere
le competenze circa cosa e come si debba insegnare la matematica o la
storia. Ma allora il loro grande
interesse per la scuola dovrebbe essere esercitato con discrezione,
senza dare l'impressione di voler esercitare una sorta di potere
consolare sul sistema dell'istruzione.
È un discorso che vale anche per l'università dove spesso si sentono
sconcertanti sentenze circa l'inutilità della scienza teorica e la
necessità di ancorare le università alle aziende e al tessuto
produttivo del territorio. Tutto ciò può essere positivo entro certi
limiti, ma fa ridere il pensiero che l'università di Harvard sia di
qualità perch’ è connessa al tessuto produttivo circostante e non
perch´ è una grande istituzione scientifico-culturale internazionale.
Sarebbe disastroso curare il sistema dell'istruzione proprio con i
limiti e i provincialismi del nostro sistema produttivo. Un governo
tecnico dovrebbe avere la sensibilità di muoversi con estrema cautela
su un terreno tanto delicato, altrimenti davvero si pone un problema di
democrazia. (di Giorgio Israel da http://www.ilgiornale.it/)
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