La riforma deve partire dalla scuola media
Data: Martedì, 06 dicembre 2011 ore 07:13:28 CET Argomento: Rassegna stampa
Due o tre
riflessioni sulla scuola media e l'università
Nel 2010 il Partito Democratico ha formulato 10 proposte per la scuola
di domani che sonototalmente condivisibili. Rappresentano la
piattaforma strumentale minima per una scuola che funzioni
dignitosamente. Ma, per entrare nel merito di una riforma (con la R
maiuscola) della scuola media, bisogna innanzitutto battere la cultura
dell'attuale ministro che mostra di portare il Paese nella direzione
opposta a quella auspicabile. Il ministro ha, infatti, moltiplicato il
numero dei licei (sei almeno) ed ha riformato (più esattamente, ha
consolidato) gli indirizzi e le funzioni degli istituti tecnici e
professionali. Prevale ancora una volta il pensiero di Gentile delle
separatezze culturali e delle gerarchie sociali. Croce e Gentile hanno,
infatti, prefigurato ed attuato una scuola con due principali
caratteristiche: - ordina gli studi in ragione degli interessi di una
classe dominante che privilegia la "sua" scuola (il liceo classico);
risponde modestamente alla domanda di progresso tecnologico (con il
liceo scientifico) nonché alla necessità di quadri intermedi (istituti
tecnici) e di operatori qualificati (istituti professionali). Si
sentono forti gli echi del pensiero aristotelico che distingue tra
sapienza, saggezza e técne e di quello medievale che distingue tra
"arti liberali" e "arti meccaniche".
Alla faccia della modernità!; separa nettamente la cultura
storico-filosofico-letteraria da quella scientifica. Scrive Bruno
Arpaia che l'80% degli interlocutori "intellettuali" dichiara di non
essere interessato ai temi della scienza, ma non ammette buchi nelle
conoscenze "umanistiche": una scissione esasperata dalla metà del XIX
secolo. Croce, sulla scia di Hegel, affermava che la scienza non ha
valore conoscitivo e quindi, con Gentile, si permetteva di umiliare
qualunque matematico che osasse prendere la parola nei dibattiti
filosofici. E' uno dei presupposti sui quali Gentile ha fondato la
scuola media attuale. Sul rapporto tra le "due culture" si è ora
riaperto con autorevolezza sul domenicale del Sole24ore un dibattito
che ogni tanto cade colpevolmente in letargo.
Questa volta l'innesco proviene dall'area universitaria (Claudio
Giunta) e parte dalla considerazione che troppi studenti si iscrivono
alle facoltà storico-filosofico-letterarie e delle scienze umane, sia
per mancanza di un loro interesse definito sia perché sono facoltà
(apparentemente) più facili, benché è di tutta evidenza che non vi
saranno sbocchi lavorativi sufficienti. Nel tempo si sarebbe costituita
una convergenza di interessi diversi e nient'affatto nobili. in capo a
ministeri, università, docenti e famiglie. che spinge i giovani verso
le facoltà anzidette.
La diagnosi è certamente condivisibile e ben nota a chi insegna
all'università da oltre quarant'anni e ne ha registrato il progressivo
deterioramento generale, fatta salva qualche isola felice. Altrettanto
condivisibile è l'idea che la "cultura diffusa" non può sopperire
all'istruzione scolastica, ordinata per gradi crescenti di
approfondimento. Meno condivisibile è l'idea che l'attuale situazione
possa essere contrastata a partire dall'università. L'università,
infatti, è un recapito finale e non bisogna alimentare l'illusione che
essa possa sopperire alle carenze di base, specie se non esistono
filtri d'ingresso adatti a selezioni basate su attitudine, competenza e
merito.
Non condivisibili sono anche le ibridazioni proposte da qualche docente
(Vittorio Marchis) tra corsi di laurea scientifici e materie
"umanistiche". Si rischia che diventino iniziative portatrici di
ulteriore frammentazione e destinate ad aumentare il numero già
eccessivo dei corsi di laurea. Meglio accentuare i caratteri distintivi
di ogni percorso di studi, dimagrendolo sino ai soli fondamentali
vecchi e nuovi, e lasciare ai dottorati, ai master, agli interessi dei
singoli e alla cultura diffusa il compito di mettere in relazione aree
di studio anche distanti.
Al centro di questa situazione di crisi delle sedi e dei percorsi
formativi; delle idealità, delle aspirazioni e dello spirito di
sacrificio dei giovani; dello scarso interesse e delle incertezze
educative delle famiglie, sta la scuola media, inferiore e superiore,
vecchia ma oggetto di continue innovazioni casuali e pasticciate,
indotte da scopi eterogenei, più iscrivibili nelle varie aree
funzionali che in quella pedagogica.
Insomma, se una riforma della scuola media e superiore si vuol fare, si
deve partire dalla riforma del suo profilo pedagogico; servirà anche
all'università. Qualche osservazione elementare può aiutare e la
espongo partendo dalle esperienze personali di un docente della facoltà
di architettura (dove si entra da qualunque provenienza!); questa
precisazione è essenziale perché l'architettura fonda su entrambe le
due culture, legate in modo inscindibile (cosa che la distingue
sostanzialmente dall'ingegneria). Orbene: è ammissibile che un giovane
che entra nell'università sappia qualcosa (o anche tanto) di Leopardi,
ma non conosca il significato della forza di gravità o la natura della
corrente elettrica? Oppure che sappia cos'è una proporzione (e
addirittura un integrale), ma non abbia nozioni minime di storia
dell'arte? Che sia abile a tornire un corpo metallico, ma non sappia
come funziona l'attrito (e magari ha ottenuto la patente
automobilistica)? Che manovri agevolmente la partita doppia ma non
conosca la Costituzione? Che abbia studiato proficuamente Kant ma non
sappia dov'è il fegato e a cosa serve?
Non si pensa mai abbastanza al fatto che molti incidenti sul lavoro e
molti di quelli che accadono in casa o in ufficio dipendono, a ben
guardare, da carenze nelle conoscenze di base in fisica, in chimica,
anatomia ecc. ecc. ; che molti equivoci e difficoltà quotidiane nei
rapporti sociali
dipendono da altrettante carenze di base in giurisprudenza, assetti
istituzionali, disposti costituzionali e così via.
Domanda conseguente: l'attuale scuola media e superiore rende eguali i
cittadini di fronte alla necessità di sapere, alla vita quotidiana,
alle occasioni di lavoro e alla vita in generale? Non si può rispondere
affermativamente e se una riforma si deve fare questo è il vero punto
d'attacco. Non è utile, infatti, rincorrere l'attuale ministro sulle
sue proposte, finalizzate ad obiettivi che poco spartiscono con i
bisogni del vivere; è più utile contrastarne le decisioni con un
progetto
del tutto innovativo che rimetta in campo categorie fresche, adatte ad
un rinnovamento della società. Si può pensare, ad esempio, ad un
progetto che riarticoli gli otto anni delle scuole medie e superiori in
modo da ottenere due risultati:
a. un ciclo quinquennale obbligatorio, che parifichi tutti i cittadini
in termini di conoscenze di base: un percorso di preparazione alla vita;
b. un ciclo di specializzazione triennale che prepari varie uscite sul
mercato dellavoro e/o sia una ragionata premessa alla scelta degli
studi universitari. Gli esperti sapranno scegliere e dosare le materie
idonee alla finalità generale.
La proposta parte anche dalla conoscenza dei risultati ottenuti con i
cosiddetti diplomi di laurea, inopinatamente soppressi; parte da un
assoluto rammarico per le scelte sostenute dalla sinistra in materia di
corsi di laurea triennali e materie semestrali (combattuti da alcuni in
tutti i
modi possibili!). La giusta preoccupazione di anticipare l'entrata dei
giovani nel mercato del lavoro poteva non mortificare gli studi
universitari, ma fermarsi alle scuole medie superiori adeguatamente
riordinate. Al proposito, sarebbe utile censire il numero degli
studenti che si fermano alla laurea triennale, per capire quanto la
speranza di anticipare il tempo del lavoro sia stata velleitaria. Come
sembra dicesse il noto Guerzoni, "ogni mamma italiana ha diritto ad un
figlio laureato"; ma per laurea quella mamma non intende certo la
triennale!
Se dopo i cinque anni di base si avesse un ciclo triennale con vari
indirizzi specialistici, questi potrebbero tranquillamente aprire le
porte al mondo del lavoro in una vasta serie di occupazioni di secondo
livello, ma del tutto soddisfacenti, nei settori: giuridico,
bibliotecario, museale, ospedaliero, della ricerca scientifica, ecc,
ecc. D'altra parte, non è già così per i geometri e i ragionieri? Un
successivo accesso all'università sarebbe più selettivo e molto
facilitato dalle conoscenze acquisite; ridurrebbe quella necessità che
oggi abbiamo di contrastare l'analfabetismo
che pesa sui primi anni accademici. Delineando un percorso formativo
siffatto, forse riusciremmo anche ad eliminare l'idea devastante che un
giovane e la sua famiglia possono prescindere da qualsiasi progetto di
futuro, da ideali e responsabilità verso se stessi e la società, perchè
tanto si può entrare in qualunque (o quasi) facoltà, cambiare idea in
qualsiasi momento del percorso scolastico ed avanzare a tentoni, secondo
la convenienza contingente, tra debiti e crediti e altre invenzioni che
mal si conciliano con il penoso stato organizzativo (e fisico) della
scuola e delle università italiane.
Massimo Bilò
redazione@aetnanet.org
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