«Va male a scuola. Che sia stupido?»
Data: Giovedì, 01 dicembre 2011 ore 07:56:54 CET Argomento: Rassegna stampa
Il dottor Masoni ci
spiega come l'intelligenza dei bambini suggerisca loro un modo per
sopravvivere a un ambiente ostile. Altro che stupidità
Che domanda atroce, e che pericoli ha messo in piedi la scuola se ha
fatto sì che si creda che chi non si adatta ai suoi tempi e alle sue
modalità sia stupido! Innanzitutto la rimando ad un servizio già
pubblicato su Style.it che può darle un po' di coraggio, provocarle un
sorriso e instillarle dubbi sulla liceità della sua domanda: Asini o
geni?
Poi vorrei metterla al corrente di una sorta di "mantra"
che utilizziamo da anni (perché evidentemente è stato molte volte
confermato): I ragazzi che da sempre vanno male a scuola sono spesso
intelligenti, sensibili, e hanno sofferto molto.
E ora, dato che la scuola appare spesso ai bambini e ai ragazzi una
sorta di genitore non ufficiale e un po' usurpatore ( perché dà
ordini) ma affettivamente importante, le porto un terribile
esempio di intelligenza e sensibilità infantile. Un esempio che ci
consentirà di capire qualcosa dell'andar male a scuola.
Immaginiamo che un bambino senta di trovarsi in un ambiente nel
quale non è "voluto". E immaginiamo che quell'ambiente sia la
scuola. Il bambino sente che lì, gli altri intorno a lui, col volto,
coi gesti, con la voce, gli comunicano di non amarlo. Non è detto che
sia proprio così, ma può accadere che a lui "sembri" così (ecco perché
occorre, da parte degli insegnanti, imparare ad acquistare anche il
punto di vista dei loro allievi).
Il piccolo alunno soffre, e dato che spesso gli mancano le parole,
soffre, alla lettera, di un dolore indicibile. Ma la sua intelligenza
gli suggerisce un modo per sopravvivere: inizia a dirsi, per esempio
"Io sono cattivo".
In questo modo tutto acquista un senso: quell'ambiente è duro e freddo
con lui perché lui è cattivo, non perché non lo ama. E le cose, viste
in questo modo, restano pur sempre dolorose, ma divengono accettabili.
Questo, descritto nell'esempio è uno dei modi con i quali si può
costruire un comportamento costante e coerente di "disturbatore".
Potrei portare decine di esempi, tutti molto diversi da loro, ma uniti
da un unico filo: l'identità. Se il bambino o il ragazzo scopre di aver
messo a punto un modo di esistere che rende sopportabile la sua
esistenza e gli fa assumere un ruolo in mezzo agli altri (il cattivo,
il disturbatore, il disattento, lo svogliato, ecc.) egli sarà
costretto a difendere e a consolidare questo ruolo, perché solo questo
è l'abito che ha imparato ad indossare. Le cose andranno così fino a
che non ci saranno incontri, con persone che vedranno oltre, e gli
consentiranno di scoprire che non bisogna sempre "sbagliare" perché gli
altri si accorgano di lui. (da http://www.style.it di
Marco Vinicio Masoni)
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