Non tutto è perduto: Marco Rossi Doria al Miur riaccende la speranza
Data: Martedì, 29 novembre 2011 ore 19:33:17 CET Argomento: Rassegna stampa
Ricordate?: nel
1963 Mario Lodi scrisse un bellissimo libro (“C’è ancora speranza se
questo accade al Vho” di Piadena) nel quale descriveva le
esperienze di un giovane maestro , che rivoluzionò il modo tradizionale
di fare scuola , ponendo al centro del processo di
insegnamento/apprendimento l’esperienza dei bambini in una scuola
permeata dai valori della democrazia e dalla Costituzione.
Una bella notizia, del tutto inaspettata, arriva nelle nostre case
nella serata di lunedì 28 : il Consiglio dei Ministri ha nominato, tra
gli altri, sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria.
I professori, in questo caso, ci hanno veramente stupito.
Finalmente, nelle polverose stanze di viale Trastevere arriva uno che
di “strada” ne ha percorsa tanta nei quartieri spagnoli di Napoli. (di
Federico Niccoli da http://scuolaoggi.org)
Ha fondato, insieme ad altri, il “Progetto Chance” , chiamato
impropriamente progetto , perché è stata una vera scuola impegnata a
svolgere il programma previsto per la licenza di terza media per
giovani che l’hanno abbandonata.
Marco Rossi Doria appartiene a quel filo rosso di autentici maestri che
ha legato il Don Milani della “lettera a una professoressa”, il Mario
Lodi de “Il paese sbagliato” e che ha inciso indelebilmente nelle menti
e nei cuori degli operatori scolastici della mia generazione e di
quelle successive.
E’ una grande consolazione sapere che al Ministero svolgerà un ruolo
importante una persona, che insieme ad altri colleghi, costituì ,
grazie ad una donazione del Presidente Ciampi, l’associazione Onlus
“Maestri di Strada”.
Carla Melazzini, che insieme al marito Cesare Moreno e al gruppo di
Rossi Doria appartiene a quella associazione, scrive: “”un insegnante
di media cultura e umanità è presumibilmente disponibile a commuoversi
sul dramma del giovane principe di Danimarca e a riconoscerne le
ragioni dei suoi atti, anche i più estremi. Ma quanti insegnanti
sarebbero disposti a riconoscere la stessa legittimità ai sentimenti di
un adolescente di periferia che vive il tradimento della propria madre
con l’intensità e la consequenzialità del principe Amleto?”.
E’ di questi giorni la drammatica protesta della dirigente scolastica
di Napoli – denominata subito “Preside coraggio”- che racconta al mondo
intero che nella scuola di quegli stessi quartieri della città esistono
ben 27 cattedre libere e nessuno le vuole occupare. Sembra che anche in
questo caso il neo-ministro Profumo vorrà stupirci : ha promesso una
visita in quella scuola alla stessa velocità dei neutrini, che furono
infausti per Maria Stella.
In un articolo recentissimo, sulla Stampa del 20 novembre, Marco Rossi
Doria firmò un appassionato appello al Governo Monti : «« Si metta su
una squadra di persone che pensi - sulla base sì dei conti pubblici ma
anche dell’urgenza del riequilibrio e sulla scorta dell’esperienza
vasta che l’Italia possiede in questo campo - al come costruire un
nuovo grande sforzo a favore dei bambini e ragazzi poveri. Uno sforzo
insieme pubblico e privato. Da metter in campo entro due mesi. Per
ridare sostegno all’auto-impresa dei giovani, agli asili nido e alle
mense, alle famiglie e alle donne sole e alle scuole, innanzitutto
quelle di base, nelle aree dove si concentra la povertà minorile.
Programmi snelli, rigorose procedure di controllo. Cose realistiche
affidate a chi sa fare, secondo i modelli che hanno funzionato meglio
in questi anni»».
In questo mondo di speculatori, di spread volatile e volubile, di
ricchi evasori è bello sapere- senza eccessivi romanticismi- che nel
luogo centrale dove si decidono i destini della scuola italiana è
presente un maestro che ha a cuore la sorte degli “ultimi”.
Il Governo Monti ha dato una dimostrazione pratica che , oltre alla
competenza scientifica rilevante di molti membri del suo Gabinetto, è
necessaria anche la competenza umana e professionale di ministri come
Riccardi e di sottosegretari come Rossi Doria, che sono in grado di
introdurre una benefica contaminazione tra il rigore e l’equità.
Sono sicuro che Rossi Doria sarà assediato dai postulanti di vario
genere, che chiederanno più insegnanti di sostegno, più mediatori
culturali, più operatori scolastici in genere. Spero che sia
consapevole del fatto che la qualità della prestazione non è
direttamente proporzionale al “numero” delle persone impiegate.
La montagna del debito pubblico italiano è figlia , “anche”,
dell’enorme dispendio di risorse pubbliche per spese di personale senza
il necessario investimento in ricerca e formazione.
I maestri di strada , in genere, sanno trovare soluzioni adeguate alla
crescita equilibrata delle persone con le quale si cimentano
quotidianamente.
Speriamo che Rossi Doria, senza estremismi corporativi ma con la
necessaria determinazione, sappia introdurre nei freddi , ma necessari,
calcoli del rigore la giusta dose di solidarietà (non di
assistenzialismo) che meritano i ragazzi portatori di bisogni educativi
speciali
Marco Rossi Doria scrive: "Quale
scuola vogliamo davvero"
di Marco Rossi Doria
Sì, c’è la crisi economica, quella di governo e della politica in senso
vero, ampio. Che vuole dire, però, la vita della società e delle
persone. Ed è su questa che va mantenuta la sbarra della riflessione
collettiva. A tal proposito ecco cosa ho detto (file word 45k) al
congresso nazionale di Legambiente – scuole e formazione
Solo una parte dell’apprendimento
avviene a scuola. E’ stato sempre così. Ma, nel tempo, si sono
anche perduti alcuni decisivi apprendimenti. I quali da un lato
afferivano più direttamente alla relazione tra uomo e natura e,
dall’altro, erano appresi non in un luogo separato ma entro le comunità
di appartenenza. Nelle società umane, da quelle dette primitive fino a
metà del secolo scorso, l’apprendimento
largo ha affiancato quello che avveniva a scuola.
Le pagine nelle quali i ragazzi di Barbiana mostrano il loro sapere
sulla terra, sulle coltivazioni, sul bosco e sugli uccelli sono gli
ultimi echi di questo “mondo dell’apprendere” che era largo. E che poteva riverberarsi in una scuola
ben fatta, consolidarsi in sapere scientifico, scrittura, calcolo e
rappresentazione. Senza svilire quel piano primo dell’imparare. Era un
apprendere nel quale la scuola era una parte, con suoi canoni distinti,
che assumevano l’insieme più esteso degli apprendimenti.
L’urbanizzazione non ha smentito completamente questa scena.
Piuttosto la ha trasferita e modificata. E anche nelle città vi erano
costanti attività dove i ragazzi erano in giro ad imparare, in vera
autonomia, a fare cose e a misurarsi con socialità e conflitto, libertà
e responsabilità, fuori dalla scuola. Certo, c’era la durezza del
lavoro infantile. Ma c’erano, al contempo, esplorazioni, costruzioni,
cacce, aquiloni, combattimenti. Vi è stato, dunque, un mondo di
avvenimenti complessi, carichi di saperi e competenze che venivano
svolti altrove dalla scuola. In modo per lo più auto-organizzato. E
dove era possibile provare e provarsi. Molti di questi apprendimenti
hanno sempre anche comportato la verifica “naturale” della competenza.
“Sono bravo a…” Il mondo adulto era parte di tale riconoscimento,
grazie ai riti di passaggio, comunitari e sapeva dire ai ragazzi: “Ora
tu sai, ora tu sai fare”. E gli adulti - una volta riconosciuto ciascun
sapere e apprendimento - delegavano compiti, funzioni, responsabilità
diretta.
Ancora oggi la maggioranza dei bambini
e ragazzi del pianeta conoscono queste cose nella loro esperienza di
apprendimento. Invece, nei nostri luoghi – che sono una minoranza del
mondo – la scuola ha progressivamente imposto il monopolio dei codici e
dei metodi di apprendimento. Questo ha relegato in spazi secondi
e terzi il corpo, l’autonoma organizzazione, il contatto diretto con le materie e la
loro trasformazione, il rischio di fare, disfare, scegliere, provare
conseguenze dei gesti, assumere presto compiti, eseguire opere. Ma
questo ha recato un lutto e una nostalgia. E’ possibile
elaborare quel lutto e rendere desiderio quella nostalgia. E’ possibile
riscoprire l’apprendimento diffuso, basato sul compito, autonomo, in
diretto rapporto con le cose del mondo. Ma solo se la scuola, insieme alle altre
agenzie educative, ritrovano il modo di educare al rapporto con la
natura, alla scoperta della biosfera e, insieme, al senso delle
relazioni umane che servono a custodirla.
Intanto, oggi sta avvenendo qualcosa che disegna un nuovo gigantesco
apprendistato cognitivo. Che è
globale. Che proietta tutte le discipline del sapere fuori
dalle mura scolastiche, su un piano di libero accesso, in mille forme e
in ogni luogo. Con la possibilità di essere rapidamente manipolate,
variate, confuse, confrontate, espanse. Lo stesso funzionamento del
cervello umano viene chiamato in causa: organizzazione della memoria,
presenza simultanea di molti codici e dispositivi che stimolano i
diversi sensi insieme, compresenza di procedure analogiche e logiche,
relazione immediata tra produzione costruita e fruita, tra rapidità e
pazienza, tra rigore e invenzione.
Di fronte a questo scenario - una
volta consolidati i saperi irrinunciabili durante l’infanzia – l’idea
di scuola non può che mutare radicalmente.
Perché il tema centrale
dell’apprendimento umano passa dai modi della trasmissione del sapere
in un tempo-luogo dati a tutt’altro: intreccio complesso tra nuovi
media e salvaguardia del rigore del metodo, cura del sapere di base
insieme a graduale acquisizione delle procedure di ricerca, sviluppo
del protagonismo personale in risposta al rischio di subalternità ai
gadgets. L’intero dibattito delle neuroscienze sul come si
apprende, il rapporto tra teoria e operatività, tra modelli e
laboratorio, tra apprendimento individuale e co-costruzione di
competenze insieme agli altri, tra conoscenze fondative delle
discipline e conoscenze atte a guardare ai grandi problemi del mondo
entro campi di sapere pluri-disciplinari, complessi, con ampie zone di
cerniera tra saperi, tra certezze da conquistare e dubbi indispensabili
per farlo: è tutto questo che può
essere oggi spostato in uno spazio x, che si trova in bilico perenne
tra scuola e fuori.
Siamo già dentro questo nuovo orizzonte. Da trasmettitori di saperi ci stiamo
facendo metodologi della loro selezione. Da detentori di un
corpus di nozioni stabilite e rigidamente divise in discipline stiamo trasformandoci in esploratori e
co-produttori di ricerca, sorveglianti di procedure, esperti dei
rapporti mutanti tra forme e contenuti, tra acquisizioni e
comunicazioni, tra aree diverse di sapere che hanno rimandi e campi
comuni. Per farlo scopriamo che stiamo agendo in almeno tre
direzioni tra loro complementari. Prima:
ricostruire in altro modo i riferimenti fondativi delle discipline e
far riscoprire i “classici” in ogni area di conoscenza. E anche i mezzi
classici: il buon libro, il vocabolario, gli appunti, l’atlante, il
calibro, la china, l’acquarello. Seconda: condividere una navigazione
curiosa attraverso le scritture on line, i giochi di ruolo, i programmi
di simulazione, scovando il sapere economico, geografico, storico,
giuridico, scientifico e i passaggi logici che contengono o esplorare
insieme gli immensi giacimenti informatici di letteratura mondiale o
matematica, scienze, arte, musica. Terza: produrre opere in ogni campo,
promuovere prove d’opera, creare produzioni e scambi globali.
E’ tutto questo che sta accadendo. Ed è così che siamo costretti ad imparare a spezzare il
nesso rigido e il controllo deterministico tra l’informazione erogata
(il testo, la lezione) e l’informazione richiesta (il test,
l’interrogazione) e a fare ingresso nei campi proficui delle procedure
di ricerca: l’elaborazione di progetti e produzioni, la decodificazione
e l’interpretazione, l’analisi e l’attribuzione di significati,
l’espressione di giudizi personali entro procedure sorvegliate e
legittime, la validazione di ipotesi e percorsi.
E’ un universo. Che ha bisogno urgente di una nuova
scuola.
http://scuolaoggi.org/ministro/marco_rossi_doria_scrive_quale_scuola_vogliamo_davvero
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