Mozione finale VIII Convegno Internazionale: La Qualità dell'Integrazione Scolastica e Sociale. Andare oltre la paura e il disincanto perché il futuro è possibile
Data: Mercoledì, 23 novembre 2011 ore 14:10:45 CET Argomento: Comunicati
Gentile
ministro Profumo,
ci piace pensare che il suo cognome sia sinonimo del nuovo che chiede
il nostro Paese per i propri figli: aria fresca e pulita per la scuola.
Se Lei non fosse stato in questi giorni, doverosamente, al Parlamento
per la fiducia al nuovo governo, con umile presunzione siamo certi che
avrebbe iniziato con piacere la sua carriera di ministro
dell’Istruzione qui a Rimini, assieme a 3.000 tra insegnanti, genitori,
studiosi, associazioni, professionisti sociali. Persone che in questi
ultimi anni hanno tenuto duro, non si sono rassegnate alla deriva
darwinista, hanno continuato a lavorare credendo e facendo una scuola
buona per tutti.
Non si confonda se, in apparenza, il tema del nostro convegno — «la
qualità dell’integrazione scolastica e sociale» — potrebbe far pensare
a una nicchia minoritaria, un po’ romantico-buonista, o peggio ancora
specialistica, che si occupa di coloro che per la natura, il destino,
il fato potrebbero essere considerati un peso, un caso assistenziale,
vuoti a perdere, cui una società egoista e impaurita pensa solo con
caratteri compassionevoli.
Non è così: per noi la questione dell’integrazione non è una parte
della scuola, è il centro vitale e ineludibile del senso
dell’educazione nelle moderne società.
Abbiamo invece avuto il mito perverso di una scuola che, per una
maldestra idolatria del merito e per tagli orizzontali ciechi, rischia
oggi di essere non solo ingiusta per alcuni, ma disintegrativa di
tutti, anche di coloro che si volesse eleggere eccellenti e che in
realtà corrono il pericolo di essere aridi burattini di una società di
cattivi e solitari lupi.
La questione della scuola e del sistema formativo oggi è l’eccellenza
per tutti, è quel cosiddetto «capitale sociale» che si forma non nelle
singole teste degli alunni, magari messi in gara uno contro l’altro, ma
nell’interazione plurale tra stili, attitudini, desideri, competenze di
cui ogni nostro studente è pieno. Pieno e non vuoto. È nella qualità
dell’interazione tra differenze (non in una formalistica integrazione
come somma di sedie riempite da alunni/studenti) il destino di una
scuola che si ponga l’obiettivo delle cittadinanze sociale e
individuale di persone libere, creative, responsabili, capaci di dare a
sé e al mondo un senso di futuro possibile.
Noi ogni giorno andiamo oltre, oltre anche la paura che un futuro
migliore non sia più possibile, legato ai fantasmi delle crisi, non
solo quelle economiche ma anche quelle ben più gravi di natura
valoriale. Noi non abbiamo paura del futuro e non siamo neppure tanto
disincantati da pensare cinicamente solo al nostro privato. Sappiamo
invece che usciremo dalla crisi, da tutte le crisi, se saremo uniti.
Ci occupiamo di integrazione scolastica perché vogliamo cambiare la
scuola per tutti e a nome di tutti gli alunni, non solo di quelli con
disabilità.
Non ci piace resistere passivamente, né indignarci con narcisistico
snobismo, né restare a guardare il mondo dall’alto del nostro ego
valoriale soddisfatto.
In questo convegno abbiamo trattato molto anche questioni concrete sul
«che fare», riflettendo su processi organizzativi, di sistema, di
sviluppo che rendano concreta la qualità. I toni e gli argomenti sono
stati dialettici, articolati, vivi anche di sfumature e positivi
contrasti. Ma è così che si cresce.
Per la verità, vorremmo dirLe che per superare molti dei problemi
dell’integrazione scolastica e sociale delle persone con disabilità non
ci vorrebbero affatto nuove leggi, né nuovi decreti, e neppure solo
(anche se servono) nuovi e ulteriori fondi. Ci sono già buone leggi, ma
non ci sono corrispondenti buoni comportamenti a tutti i livelli del
sistema scolastico e sociale: dal governo alle realtà locali, alle
scuole, fino alle singole classi. Quando lo scarto tra leggi e
comportamenti non adeguati è così aspro, si corre il rischio del
ridicolo, e non quello di diventare solitari tormentoni del moralistico
dover essere. Noi vogliamo andare oltre anche a questo. Chiediamo a noi
in primis, e a tutti gli altri poi, comportamenti veramente adeguati
alle leggi. Ci dispiace farLe notare che questa sembra un’ovvietà, ma
in questo strano Paese non lo è affatto. Da noi tra il dire e il fare
ci sono di mezzo la politica, l’etica, i soldi, le responsabilità
spesso confuse, retoriche, false. Noi invece puntiamo a comportamenti
centrati sulla responsabilità, individuale e collettiva.
In questo documento non intendiamo stendere una sorta di cahier de
doléance dei punti critici, né sindacalizzare ogni singolo piccolo
interesse di una qualche categoria. Le proponiamo invece quattro
questioni strutturali, sulle quali siamo pronti a collaborare «oltre la
paura e il disincanto».
1. La questione economica
Ci fa molto piacere sentire dal presidente del Consiglio Monti che il
governo intende far pagare la crisi a chi finora ha pagato di meno.
Anzi, abbiamo imparato da don Luigi Ciotti, nel suo intervento al
nostro convegno, che si dovrebbe anche far pagare a chi ha rubato il
presente e il futuro di molte parti del nostro Paese.
La scuola, dalla sua parte, ha già dato!
Troppi alunni per classe, insegnanti mal formati, mal pagati, risorse
ridotte al lumicino non sono una «riduzione degli sprechi», ma
semplicemente spesa differita nel tempo, perché i danni sociali,
civili, culturali di una scuola arida si riverberano nel futuro in una
società più stupida. Vorremmo che Lei lavorasse con noi a stimare i
costi dell’ignoranza, che sono molto alti. Alti come i costi causati
dal pericolo di una deriva sociale, dai giovani che rischiano di
restare senza un futuro, che non sia quello di seguire le strade
perverse proprio di coloro che rubano il futuro al Paese.
Ma sappiamo che la scuola non ha bisogno di finanziamenti a pioggia:
noi vogliamo osare proporLe la capacità selettiva e qualitativa di una
politica economica che non sia meramente distributiva (come meramente
orizzontali sono stati i tagli) ma di sostegno e sviluppo dei punti
reali di qualità e di difficoltà.
La scuola è un investimento, che deve essere pensato e gestito come fa
il buon contadino che compra buoni semi, usa buon concime, cura con
amore la terra perché i frutti siano buoni nell’estate dei nostri
figli. Ma per fare questo estirpa anche la gramigna.
2. La scuola come opportunità civile per tutti
Una scuola delle opportunità educative per tutti pensa al futuro e va
oltre la paura. Il futuro già presente oggi ci parla di un forte
aumento dell’eterogeneità sociale, individuale, economica, esistenziale
dei nostri alunni. Non vogliamo correre il rischio di continuare a
separare i bambini per categorie ognuna titolare di un cosiddetto
«problema» o «disturbo». Tale eterogeneità chiede invece oggi non solo
meno alunni/studenti per classe, ma un approccio aperto alle ricerche
didattiche e all’organizzazione curricolare: flessibilità, competenza
creativa, insegnanti come comunità professionale e non solitari
esegeti, «capitale sociale» dove tutti gli alunni/studenti, ognuno con
la sua identità, si facciano colleghi, maestri e allievi dei compagni.
In questa nuova eterogeneità sociale, figlia della globalizzazione,
anche l’integrazione dei nostri alunni/studenti con disabilità prende
nuova spinta: non è una nicchia a sé, da trattare con la compassione, e
neppure nei tribunali, ma uno dei punti forti delle relazioni che aiuta
tutti a crescere. Per questo ci piace provare a fare integrazione con
una prospettiva che sappia anche eliminare la G, e consideri
interessante l’integrazione — appunto — come interazione tra tutti.
Non abbiamo dunque timori a chiederLe di lavorare per un metodo di
valutazione dinamico del nostro sistema scolastico, smettendola di
valutare in una specie di gara tra poveri; un metodo capace di aiutare
chi fa fatica a trovare la strada migliore, che riconosca le scuole di
eccellenza come buone pratiche da socializzare e condividere. Riteniamo
anche sia urgente saper riprendere una ricerca pedagogica e didattica
oggi desueta, perché soffocata dalla numerologia valutativa che provoca
nel nostro Paese non una seria docimologia, ma solo una docimologia
dannosa.
In questo scenario aperto, abbiamo molte cose da osare ancora, sapendo
che la scuola o sarà capace di armonizzare le eterogeneità senza
condizionare nessuno, o sarà solo un tritacarne selettivo, nuovo
strumento di darwinismo sociale.
3. Gli insegnanti
Sugli insegnanti, gentile ministro, vorremmo proporre almeno una
moratoria sulle tante/troppe chiacchiere circa il loro valore o il loro
fare o non fare nulla. Gli insegnanti, come tutti gli esseri umani,
hanno bisogno di uno scopo e di un sogno, nel loro caso professionale e
civile.
Per questo lavoriamo per una revisione positiva di questo profilo,
partendo dalla considerazione che il docente deve interagire con
l’alunno/studente in quanto persona e non perché appartenente a
determinate categorie. Questa relazione ci obbliga a superare
artificiose distinzioni e separazioni tra insegnanti di sostegno e
insegnanti curricolari, per una effettiva corresponsabilità e
partnership educativa del progetto che è di tutta la classe. Consente
invece — e finalmente — di affrontare la classe come comunità e non
come semplice somma di individui. Una positiva interazione tra tutti
gli insegnanti e tutti gli alunni/studenti permette un fare scuola
ponendo il cosiddetto «programma scolastico» nella giusta dimensione di
strumento e non di fine. Insomma, è giunta l’ora, dopo un secolo e più
di disillusioni, di affermare chiara e forte l’esigenza di rivedere la
formazione iniziale degli insegnanti sotto l’aspetto della pedagogia
come «scienza primaria della professione docente», cioè come
precondizione di ogni didattica generale e disciplinare. La
reintroduzione della formazione in servizio obbligatoria diventa,
ovviamente, un tassello ineludibile. La formazione obbligatoria per
tutti, pur con la dovuta concertazione sindacale, deve avere il
coraggio della radicalità diventando un dovere professionale «normale»
a cui non si può rinunciare. Da qui ne derivano le giuste forme di
incentivazione e di riconoscimento nello sviluppo della carriera
professionale, non necessariamente solo economiche.
Noi non temiamo, anzi chiediamo una seria valutazione dei processi
formativi, che non può non comprendere anche una onesta e rigorosa
valutazione degli insegnanti, non per spirito di punizione e neppure di
competizione, ma perché sono attori molto importanti del successo o
meno della formazione.
Una scuola che investe sulla formazione ha il dovere di mettere in
campo, strutturalmente, un percorso valutativo sull’efficacia e
l’efficienza dei risultati che preveda un coinvolgimento anche delle
famiglie come dirette interessate, nella prospettiva di recuperare la
partecipazione di tutti in quanto migliora ogni singolo componente
della comunità educativa, senza darsi reciprocamente i voti.
4. L’integrazione, l’autonomia e il territorio
E, infine, gentile ministro, richiamiamo la Sua attenzione sul fatto
che una buona integrazione scolastica e sociale non la fa il ministero
ma il territorio. L’integrazione è un processo a valore orizzontale, in
cui scuola, famiglia, servizi sociosanitari, volontariato, enti locali
sono attori di qualità se sanno integrarsi e interagire tra di loro.
Noi vogliamo andare oltre le pigrizie, le deleghe dall’alto, e puntare,
osare, per una massima valorizzazione degli aspetti orizzontali
dell’integrazione.
Quindi: Le chiediamo vivamente di restituire l’autonomia alle scuole,
quell’autonomia soffocata sul nascere e che per anni è stata
mortificata da una gestione centralistica, che ha bloccato la
creatività pedagogica, la libertà didattica. Abbia fiducia nelle scuole
e nei suoi operatori.
Abbia fiducia nei loro dirigenti scolastici, troppo spesso in questi
anni ridotti a sergenti del ministero, di cui ci piace segnalarLe la
necessità di dotarli del più importante carisma oggi chiesto a un buon
dirigente scolastico: il carisma pedagogico, non solo quello meramente
organizzativo. Quindi anche per loro la formazione permanente è
decisiva.
Se mortificate dal centralismo le nostre scuole inaridiscono, se
valorizzate nell’autonomia fioriranno. E non abbia paura, in cambio di
molta autonomia restituita alle scuole, di attivare un sistema di
controllo, monitoraggio e valutazione, che abbia valore di sviluppo, ma
che non abbia paura di punire chi sbaglia o non fa.
Altrettanto La preghiamo di valorizzare la crescita di una governance
territoriale in cui tutti si sentano vincolati e obbligati dal dovere
di collaborare, senza supremazie l’uno sull’altro, ma nella
considerazione che ciò che conta davvero sia quel «progetto di vita»,
che comincia con la nascita, si sviluppa a scuola, e nell’età adulta ha
un vero successo se parla di lavoro e di vera cittadinanza sociale per
tutti.
Il progetto di vita è di titolarità di ogni persona, in particolare di
quella con disabilità, cui va dato protagonismo, partecipazione,
autodeterminazione e, da parte di tutti gli operatori, quell’umana
simpatia e rispetto tali da non diventare noi, operatori del
territorio, la loro vera e principale barriera.
Gentile ministro, La preghiamo di tirar fuori dai cassetti, dove è
stata dimenticata, per applicarla con urgenza, la preziosa Intesa
Stato/Regioni del 20 marzo 2008 proprio sull’integrazione delle
competenze territoriali, la governance locale e la semplificazione
della burocrazia certificativa. Come vede, non c’è da inventarsi molto
di nuovo.
Ciò vuol dire anche governance tra ministeri, perché sanità, welfare e
istruzione siano partner di un processo di qualità della vita per
tutti, restituendo al territorio autonomia e responsabilità.
L’autonomia e la responsabilità chiedono venga ripristinato
l’Osservatorio nazionale sull’integrazione scolastica e sociale, meglio
ancora se in modo interministeriale.
Le auguriamo buon lavoro, sappiamo che sarà dura. Crediamo però che
nessuna difficoltà sarà insormontabile se sarà presente in Lei e in noi
una visione generale delle cose, una visione che vada oltre il
presente, che sappia osare, desiderare. Progettare il futuro, con il
coraggio di andare oltre la paura.
E infine, gentile ministro, Le vorremmo offrire un piccolo ma
essenziale promemoria che parte dal nome. Il nome del ministero
italiano che si occupa di formazione/educazione/istruzione è sempre
ambiguo e cambia con le epoche politiche. Ci piacerebbe proporLe,
questa volta, di chiamarlo «Ministero del futuro». A cui aggiungeremmo,
per passione civile, «pubblico». Cioè buono, ovviamente, per tutti.
www.convegni.erickson.it/qualitaintegrazione
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