Il disastro della scuola di base consente un credito al nuovo ministro.
Data: Martedì, 22 novembre 2011 ore 19:22:59 CET
Argomento: Opinioni


La scuola di base di questi tempi vive una situazione di discreto disastro. Le classi sono – nei grandi centri urbani e nei comuni ad essi periferici – ben oltre i 25 alunni, anche in presenza di bambini con disabilità. Non si chiamano supplenti, e quindi capita ai bambini di essere divisi per le classi della scuola. Non ci sono più ore di contemporaneità, e quindi diventa impossibile promuovere laboratori di qualunque tipo (comprese le tanto sbandierate attività di informatica, che – quando va bene – si riducono a lezioni frontali con il computer usato come fosse un televisore). Il sostegno è allo sbando, con un’assegnazione ridotta di insegnanti, e anche con un supporto fortemente diminuito da parte delle Asl e degli enti locali (anch’essi vittime dei tagli governativi). E se un genitore, con un ricorso al Tar, ottiene un maggior numero di ore di sostegno, quale è la soluzione alla quale ricorre la scuola ? Ridurre le ore agli altri bambini, distribuire cioè diversamente la torta complessiva del sostegno disponibile in quell’istituzione scolastica. Progetti, fondi per il funzionamento, operatori tecnologici e psicopedagogici ? Non scherziamo.
La cura da cavallo dell’economia ricalca quella fatta in Gran Bretagna a partire dai tempi della Thatcher. Peccato che i governi inglesi di oggi si mordano le mani venendo al pettine i nodi dei disastri fatti allora. In Germania, più pragmatici, hanno avuto per l’istruzione un occhio di riguardo, nonostante il governo conservatore. Qualcuno si è fatto venire in mente – evidentemente – l’obiettivo di Lisbona, l’80% di diplomati entro il 2020.  Quell’obiettivo è stato condiviso anche da  qualche reazionario, ma senz’altro abbastanza lungimirante: se la produzione manifatturiera si sposta verso i paesi poveri, alla vecchia Europa restano la ricerca e l’innovazione, le produzioni immateriali, oltre al trasporto, al software, alla distribuzione, alla produzione di gamma alta, tutte attività ad alto contenuto di istruzione. E l’istruzione non è soltanto addestramento: richiede competenze che si formano a partire dalla scuola dell’infanzia.
Avevamo un’ottima scuola di base, in Italia. Mario Lodi, Bruno Ciari, andando indietro fino a Maria Montessori, ne sono stati – come dire – i padri fondatori. Innestata su un filone forte di attivismo cattolico e socialista, su una battaglia per l’istruzione che si è combattuta per cent’anni contro resistenze di ogni tipo. Il nerbo solido dell’Italia unita, nord con sud, città con campagna, fino alla grande conquista della legge 517/1977 con l’inserimento  degli alunni disabili nella scuola di tutti; e fino all’altra grande battaglia ancora in corso, quella per l’inserimento dei “nuovi italiani”.
Non l’hanno ancora del tutto sfasciata, questa scuola di base. Vive di iniziative di ogni tipo, di mille corsi d’aggiornamento, di aiuto solidale fra insegnanti, fra loro e i genitori, con le comunità locali. Presenta un modello cooperativo più forte della televisione: basta farsi un giro su internet per vederne programmazioni, documenti, “patti” fra scuole e famiglie, giornalini curati dai bambini, recite, piani di un’offerta formativa ricca ed articolata.
Dopo quanto ha fatto il governo precedente, occorre dare un (breve) credito al governo nuovo. A chi dice che gli insegnanti italiani sono tanti, tanti da far ballare l’euro, merita di rispondere che l’euro balla ben di più in una società priva di conoscenza diffusa. Il rischio è dietro l’angolo. Che ci sia di nuovo chi agisce e chi comanda perché ha in mano le chiavi della conoscenza: che prima erano linguistiche, legislative, filosofiche, ora sono anche informatiche, biochimiche, fisiche. Ma è un cattivo calcolo, perché ora la conoscenza è così tanta da rendere non più indifferente il numero dei possessori delle chiavi (anzi: prima, per chi comandava, meno erano e meglio). La società è moderna è ricca perché allarga le reti del sapere, non perché le concentra in pochi iniziati. Chi crede nel capitalismo, venga anche lui con noi a difendere la scuola pubblica.
Lorenzo Picunio





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