Il paradosso dei docenti in esubero. Duecento gli stipendi pagati a vuoto. La proposta: mobilità verso gli enti che lamentano carenze di personale
Data: Venerdì, 11 novembre 2011 ore 08:31:13 CET
Argomento: Rassegna stampa


I tempi di crisi e i suoi paradossi. Nel mondo della scuola cosentina le difficoltà sono innumerevoli, a partire dai professori precari da decenni e dal personale non docente rimasto senza un posto di lavoro. Eppure, di fronte a quest'enorme disagio occupazionale, accadono fenomeni capaci di suscitare qualche perplessità. Nell'intera provincia, a causa dei tagli agli organici generati dalla riforma che porta il nome del ministro Mariastella Gelmini, ci sono infatti ben duecento insegnanti di ruolo (quindi con un regolare contratto a tempo indeterminato) finiti nella sgradevole lista degli esuberi.                         
 Fin qui nulla di strano: il prezzo delle ristrettezze economiche purtroppo è anche questo. Il problema nasce dal fatto che i duecento professori rimasti senza cattedra, pur percependo regolarmente il loro stipendio ogni mese, si sono ritrovati improvvisamente a starsene con le mani in mano. Nella maggior parte dei casi, i docenti sono rimasti nelle scuole d'origine, pronti a intervenire in caso di qualche assenza dei colleghi. Oppure danno una mano al personale amministrativo. Insomma, i presidi cercano di tenerli impegnati trasformandoli in una sorta di "tappabuchi", condizione che tuttavia difficilmente incide in modo positivo sull'andamento dell'attività scolastica. Una fase di stallo imbarazzante, che genera non pochi malumori in quei colleghi che il tanto agognato posto fisso lo vedono ancora come una chimera.
Tutto questo accade proprio mentre tante altre amministrazioni pubbliche lamentano impressionanti carenze d'organico, non riuscendo neanche a sostenere l'ordinario funzionamento degli uffici. Una soluzione ci sarebbe pure, ma in pochi sembrano avere la volontà di farsene carico. I duecento docenti in esubero potrebbero infatti andare a coprire proprio quelle caselle mancanti in altri enti, avvalendosi della normativa sulla mobilità all'interno della pubblica amministrazione. Un provvedimento indolore, in quanto i lavoratori – tutte persone qualificate – continuerebbero a ricevere lo stipendio senza l'evidente spreco causato dalla loro fase di stallo. Basterebbe soltanto il nullaosta dell'ente di appartenenza e gli insegnanti potrebbero subito cominciare ad operare.
Una proposta del genere venne fatta l'anno scorso da Michelina Grillo, ex direttrice dell'Ufficio del Tesoro bruzio. La dirigente statale, di fronte all'enorme massa di precari della scuola rimasti con un pugno di mosche in mano, chiese se fosse possibile reimpiegare alcuni di loro nei suoi uffici sommersi di lavoro. L'iniziativa rimase lettera morta a causa di un problema insormontabile: chi avrebbe pagato gli stipendi? Ora le condizioni sono totalmente ribaltate, e l'idea potrebbe risultare fattibile.
In caso contrario, però, ci sarebbero anche soluzioni differenti. Adele Sammarro, sindacalista dell'Anief, ne propone una interessante: tenere aperti gli istituti durante il pomeriggio per avviare attività riservate agli studenti non strettamente didattiche. «Questi docenti – dice la Sammarro – potrebbero essere utilizzati meglio, evitando così l'ormai diffuso fenomeno della dispersione scolastica. I giovani hanno infatti bisogno di essere accolti».     (da http://www.gazzettadelsud.it di Fabio Melia)

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