Mazzini, il Risorgimento e l’Italia unita. Un’intervista…possibile!
Data: Domenica, 30 ottobre 2011 ore 09:00:00 CET
Argomento: Redazione


Per concludere degnamente il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, dopo aver sentito il generale Giuseppe Garibaldi, ci è sembrato doveroso incontrare anche l’altro grande eroe del Risorgimento, colui che più di tutti ha incarnato l’idea dell’unità nazionale e che per essa ha speso tutta la sua vita: Giuseppe Mazzini, filosofo, politico, patriota. Mazzini, “l’apostolo del Risorgimento italiano”, “il più autorevole rivoluzionario d’Europa”, ha vissuto un’intera vita da esule e da condannato a morte, lottando per un’Italia unita, indipendente e repubblicana.
Per intervistarlo, in diretta dal passato, lo abbiamo avvicinato, con molta discrezione, appena rientrato a Pisa, ospite di Janet Nathan Rosselli, figlia di Sarina, una sua vecchia amica, conosciuta ai tempi dell’esilio londinese. Mazzini è giunto in Italia, segretamente, da Lugano, dove si era nascosto, dopo essere stato, ancora una volta, a Londra.
Inviato: Finalmente, ci siamo riusciti a fare l’Italia, eppure lei, in suolo italiano, è ancora sotto falso nome. Perché?
Mazzini: “E’ una lunga storia. Sono venuto a Pisa, sotto il falso nome di George Brown, perché su di me pende ancora un ordine di arresto. Sono rientrato in Italia per rendermi personalmente conto delle condizioni morali, o meglio, immorali, in cui versa la mia patria sotto il dominio dei Savoia. Perché questa non è ancora la mia Italia, quella per cui ho tanto combattuto e sofferto. L’Italia di adesso è un quadro senza cornice; una casa senza mobilia. Dobbiamo ricostruire il movimento repubblicano, per rovesciare i Savoia e far trionfare la Repubblica italiana e, a tal proposito, ho già preso i primi contatti con i patrioti siciliani e napoletani, a cui ho inviato i miei messaggi, cifrati, naturalmente”.
Inviato: Ci parli delle sua giovinezza; è vero che ha fatto anche il giornalista?
Mazzini: “Vedo che lei è ben informato. Rispondo con piacere a questa domanda, anche perché mi fa ricordare gli anni belli della mia giovinezza. Dopo aver lasciato la facoltà di Filosofia, mi sono laureato in Diritto, nel 1827, iscrivendomi, in seguito, all’ufficio di avvocatura dei poveri ed esercitando, senza compenso, la professione legale per un paio d’anni”.
Inviato: Ho saputo anche che lei ama molto la musica?
Mazzini: “Vero. Ho amato molto la musica. Io stesso, accompagnato dalla chitarra di un amico, solevo cantare, divinamente, mi dicono! Ho anche scritto un saggio sulla musica,” Filosofia della musica”, pubblicato nel 1835, in cui affermo che i canti popolari sono l’espressione più genuina dell’animo umano. Di tutti i compositori italiani, ho una particolare ammirazione per il pesarese Gioacchino Rossini, da me definito “un titano di potenza e di audacia, il Napoleone d’un’epoca musicale”.
Inviato: Molti dicono, anche, che lei ha amato molte donne. È vero?
Mazzini: “Anche questo è vero. Ho forse è più giusto dire che molte donne sono rimaste affascinante dalla mia personalità poliedrica e dal mio pensiero. La donna più importante della mia vita è stata la Sig.ra Giuditta Bellerio Sidoli, “bellissima e pericolosissima”, come l’hanno definita in molti. L’ho conosciuta durante la mia permanenza a Marsiglia nel 1831, ne rimasi ammaliato, soprattutto, per le sue idee e la volontà di libertà e d’indipendenza, cose alquanto difficili, per quei tempi, anche perché era vedova e madre di tre figli. Mi aiutò tantissimo, insieme fondammo la rivista “La giovine Italia”, di cui lei divenne responsabile e contabile. Dalla nostra relazione è nato anche un figlio, Adolphe, che però, con nostro enorme dispiacere, morì precocemente. In seguito, durante la mia lunga permanenza a Londra, ho avuto modo di conoscere un’altra donna straordinaria, Giovanna Welsh, appassionata d’arte e della sua città; con lei ho anche imparato ad amare la metropoli inglese. In quel periodo, per me, molto difficile, ma esaltante, frequentavo anche altre donne, che, bontà loro, condividevano le mie stesse idee liberali; un gruppo di amiche, da me definito, scherzosamente, “il mio clan”, Clementina Taylor, le sorelle Winlwoerth, Margherita Fuller, Aretuhusa Miller e altre. Poi sono diventato molto amico della famiglia londinese, Ashurst, una coppia invidiabile, il marito era un noto avvocato del foro cittadino, sua moglie è stata per me come una seconda madre, e le loro tre figlie, Elisa, Emilia e Carolina. Emilia, addirittura, mi ospitò, sovente a sua casa, ed in seguito, “innamorata” delle mie idee, scese in Italia, sposandosi con un ufficiale garibaldino. Anche un’altra cara amica, Sara Levi Nathan, detta Sarina, mi aiutò tantissimo, ospitandomi sia a Londra, che, nel 1865, a Lugano, che, in seguito, anche in Italia”.
Inviato: Parliamo di cose più interessanti; dicono che lei abbia fatto parte della Massoneria?
Mazzini: “Mio padre era un massone, affiliato alla Loggia genovese, “Gli indipendenti”. Io, invece, da giovane, mi ero iscritto alla Carboneria, diventando “Maestro”, un ruolo che ho espletato con grande abilità e riscuotendo tanta stima da parte di molti giovani studenti. Ma non sono mai stato membro della Massoneria, anche se, per motivi politici, ho avuto molti amici massoni, in Italia e in Europa, con i quali sono stato in costante contatto. La mia appartenenza organica alla Massoneria non è mai stata provata ed io non sono massone, benché qualche male lingua continui a dire il contrario. Diciamo, per chiudere quest’argomento, che io, pur condividendo le finalità spirituali, non ho mai nutrito simpatia per la Massoneria, forse, anche, per il carattere troppo elitario e settario della congregazione, contrario ai miei principi democratici e repubblicani”.
Inviato: Parliamo di politica, adesso. Quali difficoltà ha incontrato per far diffondere l’idea di nazione italiana.
Mazzini: “Io sono stato il primo che ho affrontato la “questione italiana” in un’ottica nuova, ho parlato di Stato unitario, dichiarando, inequivocabilmente, la mia avversione  alla monarchia e la preferenza per una forma di Stato repubblicano, più moderno e meglio rispondente alle esigenze ed alle aspettative del popolo. Agli inizi del periodo risorgimentale, voglio ricordare che neppure il conte Cavour parlava di nazione e che, invece, si opponeva tenacemente all’idea di un’Italia unitaria, intendendola tale, solo dopo i fatti del 1860-61, come il semplice ampliamento del vecchio Regno di Sardegna; né il Cattaneo, che chiamando il proprio giornale, pubblicato nel 1848, “Il Cisalpino” e non “L’Italiano”, restringeva l’orizzonte del proprio progetto politico federalista al solo Nord sviluppato; e neppure il Gioberti che, ne “Il Primato”, si faceva promotore di un’anacronistica alleanza tra Stato e Chiesa di Roma, che sembrava, quasi, potersi avverare con l’elezione al soglio pontificio di Pio IX, che, all’inizio, sembrò un papa liberale”.
Inviato: Si parla tanto dei suoi rapporti con il tedesco Carl Marx e con il suo nascente movimento politico, il socialismo.
 Mazzini: “Con Marx ho avuto un rapporto difficile e burrascoso. Dopo aver pubblicato, nel 1848, insieme a Engels, il “Manifesto del Partito Comunista”, Marx, nel 1864, fondò, a Londra, la “Prima Internazionale Socialista”, a cui ho aderito anch’io, insieme ai miei amici ed a molti altri esuli e pensatori di mezza Europa. Successivamente, il filosofo tedesco, scatenò, contro di me, una virulenta polemica, mi accusò, persino, “di leccare il culo ai borghesi liberali”. Si, proprio così mi disse! Ma la mia posizione, sin dall’inizio, era stata molto differente dalla sua: pur accettando le istanze di giustizia sociale che sono alla base del socialismo marxista, io rifiutavo, decisamente, il concetto di lotta di classe e di violenza come strumento di lotta politica. Nel 1870, ho anche criticato, aspramente, le note vicende francesi, che hanno portato alla caduta di Napoleone III ed alla nascita della Comune di Parigi”.
Inviato: Parliamo d’altro. Si racconta, spesso, dei suoi scritti criptati che lei utilizzava per comunicare con i suoi amici italiani ed europei.
Mazzini: “Caro signore, lei vuol sapere davvero troppo. Ma mi è simpatico con quel suo colorito, quasi, bronzeo, mi ricorda qualcuno! Allora le confido una cosa: per comunicare con i miei amici, che, noi sapevamo, erano costantemente controllati da polizia, spie, ed agenti segreti infiltrati, io inviavo lettere e informazioni in codice segreto, incomprensibili, così, nel caso che fossero stati intercettate, non veniva scoperta la nostra rete. Io, inoltre, mi premunivo di spiegare ai destinatari la chiave di lettura, per decodificarli all’occorrenza. Mandai molti dispacci del genere a Rosolino Pilo, ai fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, a Brizi, alla Nathan ed a tanti altri. Ma, adesso, non mi chieda di decifrarli, lascio questo segreto, in eredità, ai miei posteri”.
Inviato: Generale, un’ultima domanda, parliamo di attualità, cosa ne pensa della situazione politica italiana…
Mazzini: “…per carità, lasciamo perdere, che è meglio,…anche perché, a tal riguardo, ho poche notizie di prima mano. Posso solo dire che spesso sento un gran parlare di federalismo e di Padania, io voglio solamente ricordare a lor signori, che strillano sui campi sempreverdi di Pontida, che la patria non è un territorio, ma un’idea che si riversa su di esso. Chi propugna le strampalate idee di un’Italia divisa è fuori dalla storia. La mia Italia è, e sarà sempre, una, libera, indipendente e repubblicana. Dio e Popolo, Patria e Umanità: sono stati, da sempre, il mio credo politico e filosofico. Senza una patria libera, nessun popolo può realizzare, né compiere, la missione che Dio gli ha affidato”.
Giuseppe Mazzini giunse a Pisa, segretamente, nel febbraio del 1872, accolto e assistito amorevolmente, in casa Rosselli, da Janet Nathan Rosselli, la figlia della sua vecchia amica londinese, Sarina. La polizia italiana, dopo ben 11 anni d’unificazione nazionale, lo cercava ancora, perché lo considerava un “pericoloso sovversivo”. Le cronache dicono, che era diventato magro, emaciato, con i capelli bianchi, accusava dolori e tosse che non gli davano tregua. Le sue condizioni peggiorarono ai primi di marzo, anche se, ancora, con notevole fatica, continuava a scrivere lettere ai suoi compagni di partito; i Rosselli, allora, fecero chiamare un medico, amico del Mazzini, il dott. Agostino Bertani, a quel punto, la polizia, intercettò il telegramma e si mise subito sulle tracce del ricercato, ma ormai era troppo tardi. Giuseppe Mazzini morì il 10 marzo 1872, con il pensiero rivolto all’Italia repubblicana, confortato da Janet e da due genovesi, amici di tante battaglie, Felice Dagnino e Adriano Lemmi.
Dopo la morte di Mazzini, iniziò un’inestricabile vicenda medico – politica – giudiziaria, dai contorni, oscuri e misteriosi. La Massoneria s’impossessò del suo corpo, tentando, con un’inedita e segreta tecnica di pietrificazione, di conservarne le spoglie per l’eternità, trasformandolo, per motivi politici, in una sorta di “reliquia laica, di icona incorruttibile del repubblicanesimo”. L’operazione riuscì solo parzialmente, tanto che in occasione del primo anniversario della sua morte, i repubblicani esposero la salma in pubblico; avrebbe dovuto essere fatto ogni anno, ma visto lo stato di conservazione del corpo, annunciarono che quella sarebbe stata l’ultima “ostensione” pubblica. Da allora il corpo di Giuseppe Mazzini è stato riesumato ed esposto al pubblico, solamente, nel giugno 1946, quando, in occasione dei festeggiamenti per la nascita della Repubblica, è stato consentito al popolo italiano di rendere omaggio al “Padre della Patria”.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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