Politica del lavoro e non del posto di lavoro. Quando si confondono “diritti” e “doveri”
Data: Sabato, 29 ottobre 2011 ore 19:55:33 CEST
Argomento: Comunicati


I fatti recenti e le nuove  strategie proposte del Governo per rispondere alle richieste della Comunità Europea in questa difficile crisi economica  hanno fatto emergere diverse priorità  che, se male interpretate, producono notevole disagio sociale.
Una riflessione che sovrintende a tutto è la ricerca di una vera politica del lavoro che non vuol dire assicurare il posto di lavoro, anche a coloro che  non contribuiscono alla produttività sociale.
Il teorema Ichino, citato  da Berlusconi , non si alimento di  licenziamenti, ma formula proposte operative per una nuova “grammatica amministrativa del lavoro”
Lavorare benem, lavorare tutti e dimostrare i frutti del lavoro. Oggi in molti settori, specie della pubblica amministrazione, nessuno dei tre aggettivi può ritenersi obiettivo raggiunto.
Garantire il lavoro, “mission” delle organizzazioni sindacali, spesso si scontra con la difesa ad oltranza di lavoratori che non fanno il loro dovere e, mentre si batte per il posto di lavoro,  non  sostiene adeguatamente la tesi del lavoro produttivo.
La registrazione della “licenziabilità” per incentivare le assunzioni, una dell misure più controverse della lettera di intenti presentata a Bruxelles,  si scontra contro il principio dell’efficienza e della qualità dei servizi. Certamente non si parla di un licenziamento immotivato, ma è bene che alcuni rami secchi vadano opportunamente tagliati.
Il posto di lavoro, una volta ottenuto, va custodito lavorando, producendo, portando a termine arretrati e lungaggini burocratiche, e  non entrando nel bosco della copertura omertosa della complicità del “tanto lo fanno tutti” o peggio “chi me lo fa fare?”
Certi sprechi sono veramente inaccettabili nell’amministrazione pubblica e certe tipologie di contratti  definiti storici,  di fatto risultano dei  “cappi” che finalizzano il denaro pubblico in maniera inopportuna e per nulla corrispondente all’efficienza dei servizi  oppure  quando vengono stipulate delle convenzioni trentennali con enti e associazioni  che  non apportano un reale beneficio sociale o diventano doppione di altri servizi, che si potrebbero svolgere con minore spesa,  e maggiore efficacia, rilevano il marcio che si perpetua e produce attorno fango e fetore
Anche nel mondo della scuola, dove si confondono spesso  i diritti con doveri ci si imbatte in situazioni di forte contrasto come nel caso di Palermo dove il Preside dell’ITI Volta ha  opportunamente richiamato gli studenti  al dovere della frequenza delle lezioni e all’impegno nello studio , suggerendo che le attività esterne, comprese le manifestazioni di piazza venissero svolte al di fuori dell’orario delle lezioni.  La risposta a tale richiamo di responsabilità si è tramutata in manifestazione di contestazione e articoli di giornale che mettono in luce gli aspetti peggiori della scuola. I giornalisti non riescono a guardare la foresta che cresce, ma si soffermano a guardare e commentare il ramo che cade per terra.
La cultura dei diritti non potrà essere disgiunta dal rispetto dei propri doveri e tutto ciò è in contrasto con alcune prassi consolidate  nella scuola quali ad esempio le  assemblee svolte in orario di lavoro che  riducono il tempo scuola , licenziando le classi in anticipo , quasi una mezza vacanza, e nello stesso tempo non viene assolto il compito di partecipazione all’assemblea , motivo della riduzione dell’orario scolastico.
Quando poi si crea il disagio dell’annunciato sciopero che arreca scompiglio organizzativo  a mille famiglie e si constata che una sola persona ha aderito allo sciopero non si comprende quale logica del diritto prevale e quale difesa del lavoro si consegue.
La mancanza di valutazione del rendimento e del prodotto sociale che i servizi producono è la causa prima della crisi anche economica che stiamo attraversando.
Lavorare bene e costruire servizi dovrebbe costituire la ricetta salvifica per questo momento storico e non soltanto l’elevazione dell’età pensionabile. Si rischia, infatti, se non cambia la cultura del lavoro,  di mantenere in servizio dei pesi morti che non producono, persone stanche che non partecipano al lavoro,  le quali danno soltanto la forma e l’apparenza di un servizio che,  alla resa dei conti, risulta inefficace ed improduttivo
Nel mondo della scuola non dovrebbe contare l’età, né il punteggio degli anni di servizio, bensì l’efficienza  e  la qualità delle prestazioni, che non sono direttamente corrispondenti all’età anagrafica e tutto ciò dovrebbe scaturire da un sistema di valutazione che oggi ha un solo nome: “l’isola che non c’è”.

Giuseppe Adernò
Per la Dirpresidi
g.aderno@alice.it






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