La scuola non argina più l'ignoranza.
Data: Venerdì, 28 ottobre 2011 ore 07:37:17 CEST Argomento: Recensioni
Che cosa vogliamo lasciare all’Italia che verrà? Che cosa
il mondo adulto organizzato vuole che sappiano le nuove generazioni, in
Lombardia come in Sicilia? E a monte: la cultura riguarda la nostra
vita? ha a che fare con il modo di passare le giornate, con la capacità
di convivere civilmente? Come convincere i ragazzi che serve? Come
gettare un ponte percorribile tra le loro menti e ciò che di meglio
l’umanità ha prodotto, senza ingessarsi su modelli di cent’anni fa?
Quali saperi restano, quali si sostituiscono?Come conciliare elementi
di lungo periodo con elementi la cui utilità è legata a fattori
transitori?
NESSUN CONFRONTO SERIO Da anni non conosciamo un dibattito serio
su quale debba essere la formazione più idonea per giovani che
appartengono interamente al XXI secolo. In un contesto di de
finanziamento selvaggio, di classi superpopolate, di demotivazione e
disaffezione dei docenti e degli allievi; in una società afflitta da
crescenti dualismi sociali, da divaricazioni crescenti tra Sud e Nord,
ricchi e poveri, garantiti e non garantiti, giovani e vecchi;
nell’esasperazione di una conflittualità politica a tutt’altro rivolta;
con un’opposizione parlamentare smarrita e confusa oltre il lecito; in
un clima di generale incertezza e insicurezza… di fronte al tenore
delle sfide che incombono, alle naturali difficoltà della scuola a
riorganizzare la propria azione, alle comprensibil”i preoccupazioni
delle famiglie (…) sarebbe necessaria una progettualità di alto livello
e di larghi orizzonti (…) Il governo sceglie invece la strada di un
messaggio implicito semplificante e rassicurante: se la scuola è in
difficoltà non dipende dalle ardue sfide cui deve far fronte, è solo
perché le innovazioni scolastiche erano sbagliate; tolte queste
innovazioni, restaurata la tradizione scolastica, i problemi si
risolveranno. (dal libro M. Baldacci, Frabboni La Controriforma della
scuola FrancoAngeli)
RITESSERE I FILI Per ritessere un filo tra scuola e mondo ci sarebbe
bisogno di una voglia di rimettersi in gioco, di un recupero d’orgoglio
difficile da imprimere a questa grande organizzazione che pare giunta
esausta al capolinea, logorata da un martellare di messaggi
contraddittori. Come possiamo accingerci a un’operazione ciclopica di
cambiamento, quando ci rendiamo conto che tutto ciò che ci sta intorno
spinge in direzione contraria e a nessuno importa niente degli sforzi
che facciamo? Se ci si interroga con tanta insistenza sulla natura
dell’identità è perché si ha la sensazione di avere a che fare con
qualcosa di sfuggente o di perduto. Lo dico con smarrimento, poiché ho
insegnato tutta la vita. La posta in gioco è però troppo importante per
rassegnarsi; non ci possiamo permettere il lusso di aspettare che la
società italiana riconosca se stessa allo specchio, smettendo di
galleggiare sugli ammortizzatori e di ignorare la distruzione
ol’emarginazione di una parte determinante del proprio capitale umano.
È un’urgenza che interpella tutti, e potrebbe trovare praticabilità in
un’energia collettiva in grado di vincere declino, inerzia, disordine,
demagogia. È evidente che dalla crisi si potrà cominciare ad uscire
solo quando si darà respiro e speranza alla crescita intellettuale e
civile delle giovani generazioni, oggi senza prospettiva. Bisogna farsi
carico – con uno sguardo un po’ più lungo di una campagna elettorale –
dei luoghi e dei modi in cui si genera il senso: senza di che insegnare
e imparare sono parole vuote, stanche routine, note senza musica.
Servono visioni strategiche, scelte che possano dare risultati
tangibili fra anni, non fra mesi o giorni. La distruzione del sistema
pubblico d’istruzione e il soffocamento della ricerca scientifica non
sono fenomeni passeggeri e non sono rimediabili nell’arco di una
generazione. Altro che norme nascoste nelle pieghe di leggi finanziarie
o di decreti milleproroghe, o provvedimenti muscolari che creano
l’illusione di facili riconquiste di credibilità ed autorevolezza!
PRIORITÀ NAZIONALE Siamo ad un punto in cui solo una radicale
inversione di tendenza, che ponesse la scuola come grande priorità
nazionale in termini sociali, politici ed economici, potrebbe
rivitalizzarla. Sapendo che essa nonha più il monopolio della
riproduzione culturale. Assumendo l’onere laico e realistico di
definire quale sia la sua specificità, insieme al fatto che
l’educazione non può essere questione esclusiva degli addetti ai
lavori. Difendendo a tutti i costi la scuola pubblica perché è rimasta
il solo luogo comunitario diffuso, quotidiano, aperto, solidale dove
diverse età condividono tempo, spazi, parole, fatiche, speranze, sogni,
successi e delusioni. L’ultimo che si ostina a non produrre consenso.
L’ultimo dove i bambini e i ragazzi non sono visti come consumatori e
non sono divisi per potere d’acquisto. L’unico laboratorio di
integrazione delle diversità. L’unica istituzione che toglie ai vecchi
per dare ai giovani. Com’è possibile che manchi il denaro per garantire
queste conquiste? Scrive nel suo Maestri d’Italia. Rapporto sulla
scuola ItaliaFutura (associazione confindustriale, non covo di
sovversivi): “l’Italia e la sua scuola si interpretano a vicenda: nella
crisi del sistema educativo si può leggere un disorientamento
collettivo più generale”. Non si possono trovare risposte a tutte le
domande; non ci sono tesi da dimostrare, bandiere da impugnare; ma è
triste che di temi così importanti per l’avvenire del Paese discuta
solo un’élite sofisticata e smaliziata, che spesso si parla addosso
avvitandosi in ingegnerie riformistiche, astrazioni pedagogiche,
perorazioni programmatiche, e sempre si divide per appartenenze
accademiche o politiche.
SPAZIO ALLA SPERANZA È ancora possibile che il corpo sano della società
riscopra un’energia corale che ci consenta di liberarci dalla
rassegnazione e dall’indifferenza, di ridare spazio all’impegno e alla
speranza?●
(da L'Unità di Graziella Priulla-Università di Catania)
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